Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 6 dicembre 2007 – 25 gennaio 2008, n. 1690
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma accolse la domanda proposta dal S. – contro il G. , la soc. A. Italiana e la soc. S. Ass.ni – per il risarcimento del danno da sinistro stradale, riconoscendo alla vittima (tra l’altro) il risarcimento del danno patrimoniale per ridotta capacità lavorativa.
La Corte di Roma, in parziale accoglimento dell’appello della compagnia assicuratrice, ha respinto la domanda della vittima (un medico) diretta al riconoscimento del menzionato danno patrimoniale. In particolare, il giudice d’appello, rilevato che il S. , a seguito dell’incidente occorsogli, era stato sollevato dal servizio in sala operatoria, ma era comunque rimasto alle dipendenze dell’ospedale, addetto alle attività ambulatoriali e di corsia nel reparto chirurgico, ha ritenuto non provata la riduzione della capacità di guadagno.
Propone ricorso per cassazione il S. a mezzo di tre motivi. Risponde con controricorso la compagnia. Il ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.
Motivi della decisione
Nel primo motivo il ricorrente sostiene che il giudice avrebbe violato il principio dell’art. 112 c.p.c., in quanto la controparte, sia nei motivi d’appello, sia nelle conclusioni rassegnate in quel grado, s’era limitata a chiedere la riforma della prima sentenza limitatamente alla misura liquidata per le varie voci di danno. Sicché, la Corte d’appello avrebbe pronunziato oltre la domanda laddove ha escluso la riconoscibilità del danno da ridotta capacità di guadagno.
Nel secondo motivo è censurata la contraddittorietà in cui sarebbe incorsa la motivazione, avendo il giudice, per un verso, accertato che il danneggiato era stato sollevato dall’attività di routine in sala operatoria e che aveva subito la riduzione della sua capacità lavorativa specifica nella misura del 75%, e, per altro verso, escluso che da ciò potesse derivare un danno patrimoniale futuro rispetto alle frustrate aspirazioni economiche e di carriera.
Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 2729 c.c, per avere omesso il giudice di dedurre in via presuntiva la riduzione della capacità di guadagno. I motivi secondo e terzo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. Il giudice del merito, nell’escludere il danno da ridotta capacità di guadagno, dichiara di adeguarsi al principio secondo cui, provata la capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante e la relativa prova incombe al danneggiato (sul punto è fatto riferimento a Cass. 27 luglio 2001, n. 10289). Osserva, poi: che il professionista danneggiato, benché non esplichi più l’attività di chirurgo, continua a prestare servizio nel medesimo ospedale d’appartenenza (addetto alle attività ambulatoriali e di corsia del reparto chirurgico); che il danneggiato non ha provato una sensibile riduzione di reddito, né, qualora non si fosse verificata tale ipotesi, di non aver potuto usufruire di un reddito ancor più rilevante per la perdita di opportunità di lavoro nello specifico settore di chirurgia; che, inoltre, il S. non ha prodotto “alcuna situazione comparativa fra i guadagni percepiti nel periodo precedente e quello successivo al sinistro stradale”. La sentenza ha, dunque, concluso di non poter concedere “ad un autonomo risarcimento come danno patrimoniale, non essendo stata fornita nessuna dimostrazione, nemmeno di carattere presuntivo, che la riduzione della capacità lavorativa specifica abbia dato luogo ad una riduzione della capacità di guadagno” (qui è fatto riferimento a Cass. 22 giugno 2001, n. 8599).
A questo punto è possibile rilevare che il giudice, affrontato e risolto negativamente il problema della riduzione del reddito nel periodo strettamente a cavallo della verificazione del sinistro (e, dunque, il problema del danno emergente), ha del tutto trascurato la questione relativa al danno patrimoniale futuro, ossia del lucro cessante costituente conseguenza probabile della subita invalidità permanente. Non ha tenuto conto che questo danno, proiettandosi nel futuro, è da valutare su base prognostica e che il danneggiato, nell’ambito delle prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici; sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, (cd. micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale, ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura (non necessariamente in modo proporzionale), qualora la vittima già svolga un’attività o presumibilmente la svolgerà. Si tratta, però, pur sempre di una prova presuntiva e non di un automatismo, con la conseguenza che potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non v’è stato in concreto alcun danno patrimoniale (per questi concetti, cfr. proprio Cass. 22 giugno 2001, n. 8599, in motivazione, che la stessa sentenza impugnata, come s’è visto, cita, pur senza adeguarvisi).
Altrettanto incongrua è l’affermazione secondo cui “non può quindi farsi luogo, nella situazione descritta, ad un autonomo risarcimento come danno patrimoniale, non essendo stata fornita la dimostrazione, nemmeno di carattere presuntivo, che la riduzione della capacità lavorativa specifica abbia dato luogo ad una riduzione della capacità di guadagno”. Affermazione assolutamente apodittica o, quanto meno, insufficiente, che non tiene conto dell’esistenza in atti di una serie di elementi (rinvenibili nella stessa sentenza impugnata, nonché nei motivi di ricorso, non smentiti dal controricorso), quali la giovane età del professionista, la sua stabile partecipazione, precedentemente al sinistro, all’equipe operatoria dell’ospedale, lo svolgimento per opera sua di un gran numero di interventi eseguiti nel reparto, la riduzione della funzionalità della mano destra tale da incidere al 75% sulla sua capacità lavorativa specifica, così da impedirgli o rendergli estremamente difficili le manovre tipiche del chirurgo, la sua esclusione, successivamente al sinistro, dall’attività operatoria e l’adibizione a mere attività di corsia e di ambulatorio. Elementi, questi, che avrebbero dovuto innescare (con esito positivo o negativo rispetto al fine richiesto) il ragionamento probabilistico circa il normale sviluppo della carriera di un giovane chirurgo, tenuto conto delle sue ordinarie aspettative di ruolo ed economiche, nel settore pubblico ed, eventualmente, in quello privato, a fronte delle concrete possibilità di poter svolgere in futuro attività operatoria.
È per questo che la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi secondo e terzo del ricorso ed il giudice del rinvio dovrà adeguarsi al principio secondo cui: il danno patrimoniale futuro è da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici; sicché, provata la riduzione della capaciti di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, (cd. micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale, ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura (non necessariamente in modo proporzionale), qualora la vittima già svolga un’attività o presumibilmente la svolgerà. Si tratta, però, pur sempre di una prova presuntiva e non di un automatismo, con la conseguenza che potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non v’è stato in concreto alcun danno patrimoniale (cfr. sul punto anche Cass. il maggio 2007, n. 10831).
L’accoglimento dei motivi secondo e terzo ha efficacia assorbente rispetto al primo. Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie i motivi secondo e terzo del ricorso, dichiara assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche perché provveda sulle spese del giudizio di cassazione.