Sentenza 11 novembre 2003 n. 16912
[Sezione Prima Civile – Presidente V. Proto – Relatore U. Vitrone]SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 9 ottobre 1999 L. C. chiedeva al Tribunale di Trieste il riconoscimento di un assegno di mantenimento a carico del coniuge separato D. L. poiché il suo reddito era peggiorato con il sopraggiunto pensiona mento mentre quello del marito, che conservava il godimento esclusivo della casa familiare, era migliorato.
Con decreto del 18 aprile – 5 maggio 2000 il tribunale poneva a carico del convenuto la corresponsione di un assegno mensile di £. 150.000.
Su gravame del L. la Corte d’Appello di Trieste, con decreto 27 ottobre – 30 dicembre 2000, confermava integralmente il provvedimento impugnato.
Osservava la Corte che ai fini del riconoscimento del diritto ad un assegno di mantenimento occorreva accertare unicamente se i redditi del coniuge istante fossero tali da consentirgli la conservazione delle condizioni di vita godute prima della separazione. Ciò premesso affermava che dagli atti risultava la sproporzione tra le rispettive condizioni economiche dei coniugi, mentre non era stato provato che la istante ricavasse un qualche reddito dall’esercizio della pittura, tanto che essa era costretta a sostentarsi con l’aiuto dei figli, mentre la casa familiare – di proprietà comune e attualmente oggetto di divisione – era rimasta nel godimento esclusivo del L., sicché meritava conferma il provvedimento impugnato che si era limitato a riportare i redditi della C. al livello che essi avevano nel 1988 tenuto conto del deprezzamento della moneta.
Contro il decreto ricorre per cassazione D. L. con tre motivi.
Resiste con controricorso L. C.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156, co. 1, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e si sostiene l’erroneità dell’interpretazione posta a fondamento del provvedimento impugnato secondo cui sussisterebbe una continuità tra la condizione di coniuge in costanza di matrimonio e quella di coniuge separato che comporterebbe la conservazione del medesimo tenore di vita da parte del coniuge più debole, poiché con la separazione verrebbe meno il dovere di solidarietà tra i coniugi, sostituito dal dovere di provvedere unicamente al mantenimento del coniuge che non abbia adeguati redditi propri.
La censura non ha fondamento poiché – contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente sulla scorta di una dottrina minoritaria – con la separazione non viene meno il dovere dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, nell’ambito dei quali vengono compresi i bisogni di vita individuali che assumono rilevanza esclusiva in assenza di prole, e quindi permane la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio: tale continuità attribuisce al coniuge separato, cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ottenere dall’altro coniuge un assegno di mantenimento tendenzialmente idoneo ad assicurargli la conservazione del medesimo tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio, con la conseguenza che, in forza di tale permanente solidarietà, il coniuge al quale non sia stato attribuito alcun assegno, qualora la sua situazione economica si sia deteriorata, o sia migliorata quella dell’altro coniuge, può chiedere la corresponsione di un assegno rapportato al tenore di vita che avrebbe avuto ove la separazione non fosse intervenuta [Cass. 21 aprile 2000, n. 5253].
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 156, co. 2, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sostiene che il decreto impugnato non. avrebbe proceduto ad una corretta valutazione delle condizioni economiche di entrambi i coniugi.
La censura non merita accoglimento poiché il ricorrente, sotto il pretesto della denuncia di una violazione di legge, sottopone al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della controversia attraverso una rinnovata considerazione dei dati emergenti dalla documentazione in atti alla quale non è possibile procedere,, attesi i limiti del giudizio di cassazione che è diretto unicamente al controllo della correttezza giuridica e della congruità logica della motivazione del provvedimento impugnato e che, nella specie, configurandosi l’impugnazione in esame come ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., deve ridurre il proprio controllo ai soli vizi di violazione di legge.
Con il terzo motivo il L. denuncia la violazione dell’art. 156, cc. 3, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sostiene che il decreto impugnato avrebbe errato nell’attribuire un assegno a favore di un coniuge che gode di redditi sufficienti – come si deduce dalla pratica della pittura – per il solo fatto delle asserite maggiori possibilità economiche dell’obbligato, non potendosi estendere ai coniugi separati la solidarietà che comporta la condivisione del medesimo tenore di vita concordato in costanza di matrimonio.
La censura esame è destituita di fondamento sia in fatto che in diritto.
Va rilevato, innanzi tutto, che l’obbligo posto a carico del ricorrente di corrispondere un assegno di mantenimento al coniuge separato non si fonda nella specie unicamente sul contestato miglioramento delle sue condizioni economiche e sul mero squilibrio venuto a verificarsi tra le rispettive situazioni delle parti, poiché il decreto impugnato ha evidenziato innanzi tutto il peggioramento delle condizioni economiche della istante a seguito del sopraggiunto pensionamento, con la conseguente riduzione dello stipendio mensile nei limiti dell’assegno di pensione.
Va ricordato, inoltre, che – come già affermato nell’esame del motivo di ricorso che precede – la solidarietà tra coniugi non viene meno con la separazione e non consente di escludere il diritto ad un assegno di mantenimento in favore del coniuge che, pur godendo di redditi sufficienti, non sia in grado di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi E. 1.600,00, di cui E. 1.500,00 per onorario, oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge.