Cass. 1823/2008 – Danno da dequalificazione professionale
Cass. civ. Sez. lavoro, 09-07-2008, n. 18823
Svolgimento del processo
1. La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta gli appelli di Rai SpA e di G.D., rispettivamente principale e incidentale, e conferma la decisione del Tribunale di Napoli in data 8.5.2000, con la quale, in parziale accoglimento della domanda del G., la Rai SpA era stata condannata a reintegrarlo nelle mansioni di segretario di redazione e al risarcimento del danno da dequalificazione in L. 40.000.000.
2. L’appello principale è giudicato infondato con queste argomentazioni: 1) l’incarico di segretario di redazione aveva comportato lo svolgimento di compiti di coordinamento e organizzazione delle attività redazionali, nonché di raccordo tra capo redattore e la redazione, mentre, dal 1997, il G. era stato destinato a svolgere il solo compito di informatore politico, venendo coordinato dal nuovo segretario di redazione nominato, e il mutamento aveva determinato un impoverimento del livello professionale della prestazione da ultimo svolta;
2) il giudice può ordinare la reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, purché non incida sul potere del datore di lavoro di ottemperare al comando giudiziale anche assegnando compiti equivalenti, e da questo principio non si era discostata la sentenza di primo grado;
3) il danno da dequalificazione è in re ipsa, potendo essere valutato ai sensi dell’art. 1226 c.c., in base ad elementi presuntivi relativi alla natura e durata del demansionamento, nonché ad altre circostanze.
3. L’appello incidentale del lavoratore è rigettato perchè il richiesto riconoscimento dell’inquadramento come vice – capo redattore presupponeva la dimostrazione dell’affidamento del compito di sostituire, in caso di assenza, il capo redattore in tutte le attività di competenza, mentre era risultato che il G. svolgeva soltanto autonome funzioni di collaborazione.
4. Vi è ricorso principale di G.D. per un unico motivo e ricorso incidentale della Rai SpA per due motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Per la natura potenzialmente assorbente delle censure, va esaminato innanzi tutto il primo motivo del ricorso incidentale.
2.1. Con questo motivo si denuncia omessa o comunque insufficiente motivazione sui seguenti punti: 1) comparazione tra mansioni svolte dal G. come capo servizio e quelle, successive, inerenti alla segreteria di redazione, indagine che avrebbe dimostrato come i compiti di capo – servizio fossero rimasti prevalenti e professionalmente qualificanti, mentre quelli di segreteria si presentavano come puramente accessori, di natura prettamente amministrativa e privi di effettivo valore ai fini della professionalità; 2) verifica sul se la nomina del nuovo segretario di redazione avesse effettivamente inciso sui compiti svolti in precedenza dal G., verifica che avrebbe dimostrato che alla nuova figura professionale (con qualifica di vice – capo redattore) era stata, in realtà, affidata una parte delle attribuzioni già proprie del capo redattore; 3) accertamento sul se i compiti inerenti alla segreteria gli fossero stati effettivamente sottratti, o se proprio il G. avesse rifiutato di continuare a svolgerli.
2.2. Il motivo non può trovare accoglimento perchè la motivazione della sentenza impugnata risulta immune dai vizi denunciati.
I punti investiti dalle censure contenute nel primo motivo risultano tutti considerati dal giudice del merito e sottoposti a valutazione che si mantiene entro la soglia del logicamente plausibile, oltre la quale non può spingersi il sindacato di legittimità. 2.3. La sentenza reca l’accertamento che l’incarico di segretario di redazione, conferito al G. nel febbraio del 1993, coincise con l’istituzione del relativo ufficio di “segreteria” a fini di coordinamento del lavoro dei corrispondenti, di collegamento con l’informazione regionale per l’organizzazione dei servizi e determinazione degli orari di lavoro settimanali, di intesa con il capo – redattore; che il G. era stato il primo collaboratore del capo – redattore, organizzando i servizi giornalistici, predisponendo il piano ferie e gli orari di lavoro dei redattori e occupandosi della composizione delle squadre per i servizi esterni; che dal 1997, con la nomina del segretario di redazione nella persona del vice – capo redattore B., le anzidette attribuzioni erano passate al nuovo titolare della segretaria, mentre il G. si era limitato a svolgere i soli compiti di informatore politico.
2.4. Quindi, con giudizio di fatto non censurabile in questa sede, la sentenza ritiene che l’incarico di segretario di redazione implicasse una funzione direttiva, professionalmente più qualificante rispetto al lavoro di informatore politico, con diretta collaborazione con il capo-redattore, e che, di conseguenza, la restituzione alle precedenti mansioni e la posizione di dipendenza dal nuovo segretario di redazione, concretasse l’adibizione a mansioni non professionalmente equivalenti alle ultime esercitate.
3. Rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, si deve esaminare l’unico motivo del ricorso principale, con il quale, in relazione al rigetto della pretesa alla qualifica di vice – redattore, si denuncia vizio di motivazione sotto i seguenti profili: a) omesso esame della deduzione secondo cui la mancanza di specificazioni nel contratto collettivo dei compiti del vice – capo redattore imponeva di considerare l’assetto organizzativo aziendale determinato dalla volontà della Rai, assetto risultante dalla motivazione della rimozione dall’incarico di segretario di redazione, formulata nel senso che l’incarico doveva essere conferito ad un vice – redattore e non ad un capo servizio, qualifica rivestita dal G.; b) contraddizione logica tra l’accertamento del diritto alle funzioni di segretario di redazione ed il mancato riconoscimento della qualifica di vice – capo redattore, cui le funzioni inerivano.
3.1. Il motivo è inammissibile quanto al primo profilo di censura, infondato quanto al secondo.
3.2. Il primo profilo di censura denuncia, in sostanza, il mancato esame di un atto negoziale del datore di lavoro, implicito nella scelta organizzativa di considerare le funzioni di segretario di redazione come proprie della qualifica di vice – capo redattore. Ma questa specifica ed autonoma causa pretendi, che sarebbe stata posta a fondamento della rivendicazione della superiore qualifica, non risulta dalla motivazione della sentenza impugnata sottoposta al vaglio del giudice del merito e mancano nel ricorso le necessarie precisazioni che devono corredare al denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., o di vizio di motivazione. Trova applicazione, infatti, il principio di diritto secondo cui, se è vero che la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo è anche giudice del fatto e ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale dovere – potere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile d’ufficio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (vedi, per tutte, Cass. 18 giugno 2007, n. 14133). Più in particolare, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia o di motivazione, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda, un’eccezione o deduzioni autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande, eccezioni o deduzioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass. S.u. 28 luglio 2005, n. 15781).
3.3. L’inammissibilità del primo profilo di censura compromette anche il fondamento del secondo profilo di censura. Poiché ad avviso del giudice del merito la qualifica di vice – capo-redattore si caratterizzava per la funzione vicaria, non attribuita e non svolta dal G., non può ravvisarsi la denunciata contraddizione logica tra l’accertamento della natura professionalmente più qualificata delle mansioni svolte fino al 1997 ed il diniego del richiesto superiore inquadramento, tanto più che la sentenza impugnata ha avuto cura di precisare che l’obbligo contrattuale del datore di lavoro era quello di assegnare mansioni professionalmente equivalenti a quelle da ultimo esercitate, ma non di restituire necessariamente il dipendenti ai compiti di fatto svolti in precedenza. Questi, poi, non comprendevano comunque la funzione vicaria rispetto al capo redattore.
4. Va, infine, esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata affermato che il danno da dequalificazione è in re ipsa e non necessita di essere provato, essendo sufficienti le presunzioni derivanti dalla natura e durata della dequalificazione.
4.1. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata si è discostata dal principio di diritto (enunciato a composizione di contrasto di giurisprudenza da Cass. S.u. S.u. 24 marzo 2006, n. 6572), secondo cui, in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico – fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove.
4.2. Il giudice del merito, invece, ha ritenuto il danno in re ipsa e, in coerenza con questa premessa in diritto, sebbene accenni alle presunzioni desumibili dalla datura e durata del dimensionamento, non svolge alcuna indagine sulle circostanze del caso concreto ed omette qualsiasi valutazione sull’idoneità a produrre danno ed in quale misura.
Per questa parte, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, perchè nel nuovo giudizio, in applicazione del principio di diritto enunciato, esamini le allegazioni del G. e tutti gli elementi utili a comprovare se ed in quale misura la dequalificazione abbia prodotto danni risarcibili. Il giudice del rinvio è altresì incaricato della regolazione delle spese del giudizio di cassazione (art. 385 c.p.c., comma 3).
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione. Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2008