Cass. 19344/2008 – Mobbing nella P.A.
Cass. civ. Sez. Unite, 15-07-2008, n. 19344
Svolgimento del processo
P.O. con ricorso al Tribunale di Lecce esponeva che era dipendente del Comune di (OMISSIS), inquadrato nella categoria D, posizione economica D3 (secondo la classificazione del c.c.n.l. 3.3.1999); che aveva assunto tale posizione in virtù di provvedimento del 9.9.1999, con cui erano stati nominati i responsabili degli uffici e dei servizi in persona dei capi Settore e gli era stata affidata la titolarità del 6^ Settore (edilizia privata, conservazione del patrimonio, servizi tecnici manutentivi) e ad interim, sino alla copertura del posto, anche quella del 5^ Settore (assetto del territorio, ambiente, urbanistica, lavori pubblici e nettezza urbana); che con provvedimento dell’1.12.2000 era stata nominata titolare del 5^ Settore l’arch. N. A., assunta a seguito di concorso; che dal 15.7.1980 al 9.9.1995 egli era stato il tecnico dirigente dell’ufficio tecnico comunale ed aveva collaborato proficuamente con tutte le amministrazioni succedutesi nel tempo; che in data 23.11.2000 si era verificato un episodio a partire dal quale egli era stato demansionato e poi vessato e dequalificato; che, in effetti, egli non aveva accondisceso alla richiesta, formulatagli di sera, dopo il termine dell’orario di lavoro, da una dipendente incaricata di predisporre quanto necessario per lo svolgimento nei locali del centro polifunzionale di una manifestazione del partito cui aderiva il sindaco, di porre rimedio alle disfunzioni che si erano manifestate all’impianto elettrico; che ne era seguita la richiesta del sindaco a detta impiegata di una relazione finalizzata ad un provvedimento disciplinare e l’accusa da parte del sindaco in una successiva riunione di comportarsi come un avversario politico, seguita da un violentissimo alterco; che a poca distanza dall’episodio la Giunta comunale, con delibera n. 4 del 4.1.2001, aveva deciso di modificare la pianta organica approvata il 28.1.1999, accorpando i due settori 5^ e 6^; che, con successivo decreto sindacale n. 486 dell’11.1.2001, gli era stata revocata la nomina a responsabile dell’ex Settore 6^ ed era stata nominata responsabile dei servizi l’arch. N., già capo del Settore 5^; che detti provvedimenti erano stati impugnati dinnanzi al TAR; che, con lettera di 2.4.2002, il Sindaco gli aveva comunicato l’avvio del procedimento tendente alla revoca del provvedimento n. 486/2001, nonché alla revoca definitiva dei provvedimenti con cui, nel 1999 e 2000, erano stati nominati i capi del 5^ e 6^ Settore della precedente dotazione organica, ed alla nomina in via definitiva del nuovo capo del Settore 5^ della nuova dotazione organica; che tali misure erano state adottate con decreto n. 6621 del 16.5.2001, con il conferimento all’arch. N.A. dell’incarico di Capo del 5^ Settore; che, quindi, tutto il comportamento dell’amministrazione, e del Sindaco in particolare, era stato diretto a degradare la posizione lavorativa dell’istante ed era certamente illegittimo ed illecito, così come illegittimi erano tutti i provvedimenti adottati successivamente; che, in effetti, dopo la revoca dell’incarico direttivo, la sua posizione lavorativa era stata notevolmente demansionata, con affidamento di soli incarichi singoli, riconducibili ai compiti dei lavoratori di categoria C; che con determinazione n. 237 del 26.10.2001 l’arch. N. quale capo del 5^ Settore gli aveva attribuito funzioni meglio determinate; che il demansionamento professionale gli aveva determinato gravi pregiudizi alla salute e danni morali, oltre al danno patrimoniale della perdita dell’indennità mensile di L. 1.200.000 lorde percepite quale incaricato di funzioni dirigenziali. Il P. chiedeva quindi la declaratoria della illegittimità della delibera di modifica della pianta organica del Comune; l’accertamento del danno alla sua integrità psico – fisica per effetto della condotta posta in essere dall’Amministrazione; la disapplicazione degli atti viziati e la sua reintegra nella posizione lavorativa precedentemente ricoperta, con la condanna del Comune ai risarcimento dei danni subiti nella misura di L. 250.000.000; in subordine l’accertamento della disparità e non equivalenza tra le mansioni assegnategli e quelle ricoperte in precedenza.
Il Comune resisteva alla domanda, tra l’altro deducendo che gli incarichi dirigenziali per loro natura sono a termine e che al termine degli stessi i dirigenti possono essere incaricati di funzioni di altra natura, secondo le disposizioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, e che il D.Lgs. n. 267 del 2000 attribuisce all’ente locale autonomia organizzativa.
Il Tribunale di Lecce dichiarava il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. con riferimento alle richieste di cui ai punti a), b, e c), delle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio, attinenti alle censure articolate nei confronti della delibera di G.C. n. 4/2001, trattandosi di questioni devolute alla giurisdizione del g.a.; rilevava che tale dichiarazione di difetto di giurisdizione coinvolgeva anche il risarcimento dei danni asseritamente derivati dall’adozione della medesima delibera; riteneva infondate le censure rivolte nei confronti della delibera di nomina del capo del Settore 5^ per come costituito ex delibera 4/2001, nella parte in cui esse erano autonome rispetto a quelle derivanti dalla dedotta illegittimità della delibera 4/2001; riconosceva il diritto al risarcimento del danno subito per effetto del demansionamento nel periodo gennaio – ottobre 2001, consistente nella lesione alla integrità psico – fisica nella misura dell’8 per cento, liquidandolo nella somma di Euro 8.330,00 oltre rivalutazione ed interessi.
Il P. proponeva appello, innanzitutto deducendo che il giudice ordinario avrebbe potuto esaminare incidenter tantum la legittimità degli atti amministrativi presupposti impugnati, per i quali il giudice di primo grado aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O..
La Corte d’appello di Lecce, previa disapplicazione della delibera di modifica della pianta organica e degli atti successivi di revoca dell’incarico, disponeva la reintegra del P. nel posto di capo Settore precedentemente ricoperto; condannava inoltre il Comune convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali, psico – fisici e morali conseguenti, liquidati rispettivamente nella misura, comprensiva del danno liquidato dal giudice di primo grado, di Euro 44.002,13, Euro 8.333,00 ed Euro 4.166,50, oltre accessori.
La Corte d’appello non condivideva il rilievo del primo giudice secondo cui nella specie doveva farsi applicazione del principio secondo cui il giudice ordinario può disapplicare l’atto amministrativo, se illegittimo, solo quando esso non assuma rilievo come causa della lesione del diritto del privato, ma come mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale. Nella specie, infatti, si verteva in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi e quindi il giudice ordinario aveva il potere di disapplicare, sia pure incidenter tantum, l’atto amministrativo presupposto, qualificabile come provvedimento illecito piuttosto che come provvedimento illegittimo.
Il P., nel rivendicare il proprio diritto alla reintegra nel posto in precedenza ricoperto ed al risarcimento dei danni patiti a seguito del comportamento dell’amministrazione comunale, aveva denunciato detto comportamento e i provvedimenti adottati come illeciti, perchè assunti al solo scopo di danneggiarlo, in violazione dei criteri di obiettività, correttezza e buona fede che devono presiedere ad ogni attività della p.a., e in violazione altresì di precise norme legislative, contrattuali e regolamentari. Non si verteva invece in tema di autorganizzazione degli uffici e dei servizi.
La Corte passando all’esame delle specifiche deduzioni dell’appellante, escludeva che fosse configurabile violazione di legge per difetto di motivazione della delibera n. 4/2001 sull’accorpamelo dei Settori 5^ e 6^. Neanche era ravvisabile violazione di norme contrattuali collettive o legali per mancato svolgimento della procedura di informazione dei soggetti sindacali, in effetti non prevista per il tipo di provvedimento in questione.
Analogamente non sussisteva difetto di motivazione del decreto n. 6621 del 16.6.2001, di revoca degli incarichi della P. e della N. a responsabili rispettivamente del 6^ e del 5^ Settore del precedente assetto organizzativo e di nomina della seconda a capo del nuovo 5^ settore.
Ad avviso della Corte d’appello, viceversa, ai fini di causa rilevava il quadro probatorio, che comprovava l’intenzione di colpire, dequalificare ed emarginare il P..
Il Comune di (OMISSIS) propone ricorso per Cassazione affidato a tre motivi. Il P. resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 353 c.p.c. e omessa motivazione su un punto essenziale.
Si lamenta che il giudice di appello, nel riformare la sentenza di primo grado, abbia pronunciato nel merito sui punti per i quali detto provvedimento aveva affermato il difetto di giurisdizione, con conseguente violazione dell’art. 353 c.p.c., che impone in simili casi la rimessione della causa al primo giudice. Si osserva anche che il giudice di appello non ha in alcun modo spiegato per quali ragioni nella specie poteva darsi luogo ad una pronuncia sul merito.
Il secondo motivo denuncia violazione della normativa in materia di riparto di giurisdizione in materia di rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni. Si sostiene che la delibera di approvazione della pianta organica, atto di cui il P. chiedeva l’annullamento o la disapplicazione, non poteva essere rimossa dal giudice ordinario, trattandosi di atto che assumeva rilievo non come mero antecedente, ma quale atto da cui sarebbe direttamente derivata la lesione asserita dal ricorrente e per la quale lo stesso aveva richiesto il risarcimento del danno. Né poteva giustificare conclusioni diverse in punto di giurisdizione il fatto che, secondo la Corte d’appello, il sindacato dell’A.G.O. non verteva su scelte di autorganizzazione degli uffici, ma sulla denunciata violazione dei criteri di imparzialità, obiettività, correttezza e buona fede nell’emanazione degli atti, perchè la questione di giurisdizione atteneva proprio alle scelte discrezionali in tema di autorganizzazione degli uffici e dei servizi e non è la tipologia del vizio a determinare la giurisdizione. Peraltro era la stessa Corte a rapportare la violazione dei criteri di obiettività, correttezza, ecc., allo “sviamento di potere”, cioè a una fattispecie tipica di vizio dell’atto amministrativo, non dissimile da qualsiasi altro.
Il terzo motivo denuncia contraddittorietà e difetto di motivazione.
Il Comune ricorrente ravvisa i vizi di cui alla rubrica del motivo nel fatto che la sentenza impugnata afferma, sulla base sia delle pronunce del giudice amministrativo intervenute nella specie che di un esame diretto delle questioni e in particolare della motivazione degli atti, la piena legittimità “sul piano puramente amministrativo” del provvedimento di modifica della pianta organica e di quello di revoca al ricorrente dell’incarico di responsabile del Settore 6^ e di nomina di altro dipendente a responsabile del Settore 5^, ma contemporaneamente afferma l’illegittimità degli atti stessi sulla scorta di dati ad essi estranei, di una valutazione personale delle affermazioni contenute nel ricorso introduttivo e della ritenuta sussistenza di non meglio precisati intenti punitivi, peraltro riconducibili ad atti in parte emessi da un organo collegiale.
Ha rilievo preliminare il secondo motivo, con cui si ripropone la tesi del difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Esso è infondato. Come è noto, a compimento della ed. privatizzazione del pubblico impiego sono state devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (salvo quelli delle categorie di personale a cui non stata estesa la privatizzazione) “ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti”, che “il giudice (…) disapplica, se illegittimi”, qualora siano “rilevanti ai fini della decisione” (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1).
Rimangono invece assoggettate alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione, nell’interpretazione estensiva del termine di cui alla giurisprudenza della Corte costituzionale e di queste Sezioni unite (art. 63, comma 4), e le controversie promosse in relazione a posizioni di interesse legittimo coinvolte dal potere delle amministrazioni pubbliche di adottare provvedimenti organizzativi di carattere più generale, relativi alle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, all’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e dei modi di conferimento dei medesimi, alla determinazione delle dotazioni organiche complessive (art. 2, comma 1, e art. 5, comma 1). Non sono invece mai configurabili interessi legittimi, tutelabili davanti al giudice amministrativo, non solo con riguardo alle misure relative alla gestione dei rapporti di lavoro, ma anche alle determinazione per l’organizzazione degli uffici più di dettaglio, adottate nell’ambito delle leggi e dei già indicati atti organizzativi di più elevato livello, che secondo la innovativa prospettiva del nuovo ordinamento della pubblica amministrazione, sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 5, comma 2).
Con riferimento al caso in esame, tenuto presente che non è in contestazione – né vi è motivo di dubitare – che il provvedimento di accoramento dei Settori 5^ e 6^ appartenga all’area delle misure organizzative di maggiore rilievo, adottate nell’esercizio di poteri pubblicistici (come confermato anche dall’intervento in proposito della giunta comunale), è opportuno innanzitutto puntualizzare che le domande giudiziali che hanno per oggetto atti di gestione del rapporto di lavoro, o la loro mancata adozione, e i relativi effetti, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, in applicazione del principio di fondo che regola la materia, anche se la prospettata illegittimità degli atti di gestione stessi è correlata alla dedotta illegittimità di atti organizzativi adottati nell’esercizio di poteri pubblicistici, che in tal caso integrano proprio i c.d. “atti amministrativi presupposti” di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 (cfr. Cass. S.U. n. 1807/2003 e 13169/2006).
A tale schema ricostruttivo nella specie sono ricollegabili in particolare la contestazione della revoca dell’incarico direttivo di capo del Settore 6^ e le domande risarcitorie e di reintegrazione connesse.
Quanto al risarcimento del danno, esso risulta correlato almeno in parte non solo agli atti di gestione del rapporto importanti un demansionamento (demansionamento in parte correlato all’atto amministrativo organizzativo e quindi solo in parte già preso in esame dal giudice di primo grado, la cui pronuncia non è stata appellata dal Comune di (OMISSIS)), ma anche al comportamento ritorsivo e persecutorio complessivo del datore di lavoro (a pag. 34 del ricorso introduttivo si parla appunto di attività di bossing), comprensivo della modifica organizzativa. Il fatto che questa modifica sia stata disposta con un atto amministrativo non fa sorgere dubbi circa la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto al fine ora in esame non è fatta valere la semplice illegittimità in sè dell’atto, ma un comportamento illecito complessivo inerente al rapporto di lavoro (cfr., in senso analogo, a proposito di mobbing, Cass. S.U. n. 24625/2007).
Passando all’esame del primo motivo, deve rilevarsi che lo stesso è fondato. Infatti il giudice di appello non ha tenuto presente che, una volta riformata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, avrebbe dovuto fare applicazione dell’art. 353 c.p.c., che in tale caso richiede la rimessione della causa al giudice di primo grado ai fini dell’esame delle domande nel merito, ai fini di un più penetrante rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione.
La conseguente cassazione della sentenza con rinvio al giudice di primo grado (c.d. rinvio restitutorio) comporta l’assorbimento del terzo motivo, relativo al merito. Il giudice di rinvio provvederà anche per le spese di questo grado.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il secondo motivo, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, accoglie il primo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Lecce anche per le spese del giudizio di cassazione.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2008