Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 27 giugno 2007 – 3 gennaio 2008, n. 2
Svolgimento del processo
La signora Liliana F. , in servizio presso la Commissione tributaria di S. Maria Capua Vetere, coinvolta, unitamente ad altri dipendenti e professionisti, in una inchiesta per episodi di falso nella protocollazione di atti inerenti a ricorsi in materia tributaria, fu rinviata a giudizio nel 1988 per varie imputazioni, dalle quali fu poi assolta per non aver commesso il fatto con sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere dell’11 novembre 1998, passata in giudicato. Nelle more del processo, la F. era stata sospesa dal servizio con provvedimento dell’allora Ministero delle finanze, impugnato innanzi al TAR Campania, che aveva peraltro rigettato il ricorso, condannandola al pagamento delle spese di giudizio per lire 1.500.000, interamente corrisposte dalla F. .
A seguito dell’assoluzione pronunciata dal giudice penale, la predetta F. propose innanzi al giudice di pace di Napoli un’azione diretta ad ottenere il rimborso della somma di lire 2.494.700, pari alle spese legali sostenute nel predetto giudizio amministrativo, deducendo che il Ministero le aveva riconosciuto il diritto ad ottenere il rimborso delle spese del solo giudizio penale, ma non anche quelle del giudizio amministrativo.
Il giudice adito accolse la domanda con sentenza del 17 aprile 2001, avverso la quale propose appello il Ministero delle finanze, deducendone la erroneità per il contrasto con i presupposti di cui all’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito in legge n. 135 del 1997.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza depositata il 15 ottobre 2002, rigettò l’appello, osservando che il citato art. 18 prevede l’obbligo per l’Amministrazione di rimborsare le spese legali relative a giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa conclusi con sentenza che escluda detta responsabilità dei dipendenti, con il solo limite del giudizio di congruità dell’Avvocatura dello Stato.
La citata normativa ha funzione ripristinatoria della situazione di esposizione economica in cui viene a trovarsi il dipendente di un’amministrazione a causa di giudizi in cui lo stesso sia stato ingiustamente coinvolto, non rilevando, pertanto, l’eventuale giudicato formatosi nei giudizi anteriori a quello finale che ha escluso ogni sua responsabilità. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero dell’economia e finanze sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la signora F. .
Motivi della decisione
Con l’unico, articolato motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito, con modif., nella legge n. 135 del 1997. Il Tribunale, nel ritenere sufficiente, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso di cui alla norma invocata, un nesso di derivazione causale tra le spese legali sostenute dal dipendente nei vari giudizi collegati e l’accusa poi rivelatasi infondata, avrebbe travisato il significato della norma di cui si tratta. Infatti, se la funzione di detta norma – come riconosciuto dallo stesso giudice di secondo grado – è quella di ripristinare la situazione di esposizione economica in cui viene a trovarsi il dipendente di un’amministrazione a causa di giudizi in cui lo stesso sia stato ingiustamente coinvolto, ne conseguirebbe la esorbitanza dall’ambito applicativo della disposizione in esame delle ipotesi, come quella di specie, in cui sì tratti di giudizi promossi non già nei confronti, ma ad istanza dello stesso dipendente, per di più conclusi con esito a lui sfavorevole. Nella specie, poi, il giudizio al quale si pretenderebbe di estendere l’applicabilità del citato art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, non solo era stato promosso su iniziativa della dipendente, ma era, inoltre, inteso alla rimozione di un atto, quale la sospensione dal servizio, la cui adozione – peraltro completamente insensibile, trattandosi di misura cautelare, all’esito del giudizio penale – è stata riconosciuta legittima dalla competente autorità giudiziaria con sentenza passata in giudicato.
Il ricorso è fondato.
L’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, dispone, al comma 1, che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato……”. La disposizione in esame, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. Cass., sent. n. 23138 del 2004, rena in fattispecie di rimborso, richiesto da un curatore fallimentare sottoposto a procedimento penale per reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni, ed assolto perché il fatto non sussiste, delle spese legali sostenute per la difesa), non costituisce espressione di un principio generale, ma configura una norma applicabile ai soli casi espressamente disciplinati. Il dipendente, ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell’ufficio, ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la sua difesa entro i limiti di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni gravanti sulla finanza pubblica) secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato – l’Avvocatura erariale – per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale. Tale parere, espressione di discrezionalità tecnica, è soggetto al vaglio del giudice ordinario per il necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione(v. Cass., sent. n. 1418 del 2007).
Il procedimento in relazione al quale, nel caso di specie, la dipendente ingiustamente accusata chiede il rimborso delle spese non rientra certamente nel paradigma di cui al predetto art. 18, non trattandosi del procedimento promosso nei confronti della stessa, e concluso con la affermazione della sua estraneità ai fatti addebitatile, ma di altra azione, da lei promossa al fine di paralizzare una misura cautelativa la cui legittimità è stata, invece, riconosciuta dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, e la sentenza cassata. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta da Liliana F. ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135. La richiedente, soccombente, deve essere condannata al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio di merito nonché di quello di legittimità, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda proposta da Liliana F. ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n 135. Condanna la F. al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio di merito, che liquida, quanto al giudizio di primo grado, in Euro 50,00 per spese, Euro 100,00 per diritti ed Euro 350,00 per onorari, quanto al giudizio di appello, in Euro 77,50 per spese, Euro 129,10, per diritti ed Euro 516,50 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito; e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.