Cassazione – Sezione sesta – sentenza – 20 maggio 2008, n. 20058
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Bari, in qualità di giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza cautelare del 14 maggio 2007 con cui il G.i.p. di quello stesso Tribunale aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Roberto S. , indiziato dei reati di cui agli artt. 416-bis (capo A) e 81, 629 c.p. (capo I). Dall’ordinanza si apprende che l’indagato sarebbe pienamente coinvolto in un’associazione di stampo mafioso, armata, finalizzata alla commissione di una serie di delitti, tra cui, in particolare, estorsioni commesse nel territorio di Foggia dirette ad acquisire la gestione o comunque il controllo delle attività economiche relative al mercato. delle onoranze funebri e dei connessi servizi cimiteriali, associazione dotata di una struttura organizzativa stabile, articolata in sottogruppi con relativa autonomia decisionale ed operativa, derivata, dopo alcuni anni di contrapposizioni interne, dalla precedente struttura associativa unitaria denominata “Società foggiana”, la cui esistenza risulterebbe accertata da sentenze irrevocabili (Corte App. Bari, 15.7.1997, n. 7; Corte App. Bari, 7.7.2000, n. 10); inoltre, l’ordinanza ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine ad un episodio di estorsione, aggravato ai sensi dell’art. 7 legge n. 204 del 1991 (capo 1), commesso in concorso con T. e T. , ai danni di Paolo M. , un imprenditore di Foggia, costretto a versare oltre duemila Euro come anticipo di una tangente fissata in oltre quattromila Euro.
2. Nell’interesse dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato Raffaele Q. Con il primo motivo ha dedotto l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per violazione dell’art. 268 comma 3 c.p.p., in quanto il pubblico ministero, pur disponendo formalmente che le operazioni fossero compiute per mezzo degli impianti presso la procura della Repubblica di Bari, ha delegato la polizia giudiziaria all’esecuzione e all’ascolto delle intercettazioni attraverso il sistema del roaming da effettuare presso la sala ascolto della Squadra Mobile di Foggia, omettendo ogni motivazione in ordine alle ragioni giustificative della deroga, in questo modo eludendo la disposizione contenuta nella norma citata. Con un altro motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 125 comma 3 c.p.p. nonché difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi per i reati contestati ai capi A) e I). Si assume, infatti, che l’ordinanza impugnata avrebbe riprodotto le argomentazioni utilizzate nel provvedimento del g.i.p., ignorando del tutto i motivi a sostegno del riesame proposti dalla difesa, che aveva, tra l’altro, contestato la configurabilità del reato associativo e dell’estorsione di cui al capo I).
Motivi della decisione
3. Con il primo motivo è stata dedotta l’inutilizzabilità di tutti gli esiti delle intercettazioni, cui dovrebbe far seguito, nell’impostazione difensiva, l’annullamento dell’ordinanza impugnata dal momento che i gravi indizi di colpevolezza sono costituiti esclusivamente dai risultati delle captazioni illegali. Secondo il ricorrente, una volta stabilito che le operazioni di captazione fossero eseguite attraverso gli impianti installati presso gli uffici della procura, doveva essere possibile che, attraverso gli stessi impianti, avvenisse non solo la registrazione, ma anche l’ascolto, al fine di consentire il controllo di fatto richiesto dalla disposizione del codice. Il segnale audio sarebbe stato “remotizzato” presso la sala intercettazione della Squadra Mobile di Foggia, mentre nella la sala ascolto della procura sarebbe stata occupata solo una linea Telecom. A sostegno dei motivi sono state prodotte copie delle comunicazioni alla Telecom, in cui risulta la delega alla Squadra Mobile, mentre il vero centro di intercettazione autorizzato sarebbe stato la sala ascolto della Mobile (v. RIT 2385/06 nell’agenzia Maizzi). In questo modo, si ritiene che vi sia stata una elusione dell’art. 268 comma 3 c.p.p., poiché le operazioni risultano effettuate mediante impianti in dotazione della polizia giudiziaria, benché formalmente disposte a mezzo di impianti della procura, senza alcuna motivazione al riguardo.
4. Questa Corte è già intervenuta su questioni attinenti a modalità di intercettazioni in cui non vi era coincidenza tra luogo di captazione e luogo di ascolto: in alcune decisioni si è stabilita la piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nel caso in cui le operazioni di ascolto avvengano in luogo diverso da quello in cui sono eseguite la captazione e la registrazione delle conversazioni, in quanto l’art. 268 comma 3 c.p.p. si limita a disporre che le operazioni di intercettazione vengano effettuate presso gli uffici della procura della Repubblica, ma in alcun modo vieta che l’ascolto possa avvenire anche in altro luogo, quando gli strumenti tecnici disponibili lo consentano (Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 30002, Valeri; Sez. IV, 27 settembre 2007, n. 41253, Rizza; Sez. II, 24 aprile 2007, n. 35299, Galassi; Sez. III, 20 novembre 2007, n. 4111, Mussi); in altre si è espressamente esclusa l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni qualora le operazioni di ascolto avvengano ricorrendo alla tecnica dell’istradamento del suono negli uffici dei comandi della polizia giudiziaria, anziché nei locali della procura, richiedendo che tali modalità esecutive assicurino comunque la possibilità di ascolto anche presso gli uffici della procura della Repubblica (Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera). In sostanza, si ritiene che l’utilizzazione di strumenti tecnici che consentano di deviare le conversazioni intercettate presso apparecchiature installate negli uffici di polizia giudiziaria non è vietato dal disposto dell’art. 268 comma 3 c.p.p., norma che è diretta non a rendere più difficili le indagini, ma ad impedire che vi siano abusi nelle intercettazioni (Sez. I, 2 marzo 2006, n. 10317, Nika).
5. Stando a quanto risulta dall’esame dell’ordinanza, nella specie si è fatto ricorso alla tecnica del c.d. ascolto remotizzato (roaming), in base alla quale l’intercettazione avviene tecnicamente presso la procura, ma il segnale viene fatto rimbalzare, con una differenza temporale di pochi secondi, presso gli uffici della polizia giudiziaria, dove l’addetto utilizza l’apparecchio per ascoltare: in questo modo, l’intercettazione è attestata in procura e il rimbalzo del segnale viene fatto esclusivamente per ragioni di semplificazione organizzativa, per consentire cioè all’ufficiale di polizia giudiziaria addetto al controllo delle conversazioni intercettate di lavorare alla sua postazione abituale e di procedere all’ascolto e alla stesura del c.d. brogliaccio. Infatti, l’ufficiale addetto riceve tutti i dati del traffico che emergono dalle intercettazioni. Se il “roaming” viene attuato con le modalità che si sono sopra descritte deve escludersi che vi possa essere una violazione del disposto di cui al citato art. 268 comma 3 c.p.p., non essendo quindi necessaria l’autorizzazione del pubblico ministero, in quanto, come si è visto, l’intercettazione non può essere considerata come eseguita presso impianti esterni alla procura. Più in particolare, si rileva che la procedura di remotizzazione deve comunque prevedere che tutte le operazioni di registrazione avvengano in procura, comprese quelle che vengono realizzate alla fine dell’intercettazione, che solitamente consistono nello scarico dei dati contenuti nell’apparecchio di registrazione in un supporto magnetico (CD o DVD). Qualora quest’ultime operazioni siano effettuate presso gli stessi uffici di polizia giudiziaria dove è avvenuto l’ascolto, allora si verificherebbe la violazione della norma di legge citata, in quanto non si tratterebbe più di una procedura di ascolto remotizzata, ma di operazioni di intercettazioni compiute mediante “impianti diversi da quelli della procura”.
6. Nel caso in esame il Tribunale, dinanzi al quale erano state presentate eccezioni di inutilizzabilità analoghe a quelle dedotte in questa sede, non ha chiarito sufficientemente le modalità procedurali adottate nell’esecuzione delle intercettazioni effettuate con ascolto remotizzato presso gli uffici della Squadra Mobile di Foggia, non risultando neppure precisate le modalità di scarico delle registrazioni. Inoltre, per quanto riguarda le intercettazioni ambientali disposte presso l’agenzia del M., i giudici del riesame hanno offerto una giustificazione inappagante rispetto alle critiche avanzate dalla difesa, sostenendo che poiché erano stati utilizzati apparecchi di registrazione noleggiati e installati all’interno del locale “è naturale che per l’intercettazione non venisse utilizzata alcuna postazione in procura né alcuna linea telefonica”. Si tratta di una motivazione carente o almeno incompleta, in quanto oltre a non chiarire le concrete modalità delle operazioni eseguite, non sembra tenere conto di come normalmente vengono realizzate le intercettazioni c.d. ambientali. Infatti, per questo tipo di intercettazioni il microfono collocato nell’ambiente da controllare viene accoppiato ad un apparecchio GSM o anche ad una linea telefonica fissa, per cui l’intercettazione può avvenire anche su una linea telefonica, nel senso che ciò che viene captato passa sempre sul filo telefonico, consentendo la registrazione e l’ascolto secondo le modalità solitamente previste, cioè presso gli uffici della procura ovvero presso i diversi impianti di volta in volta indicati ai sensi dell’art. 268 comma 3 c.p.p. ovvero con ascolto remotizzato. È evidente, da quanto precede, che la spiegazione contenuta nell’ordinanza impugnata non appare soddisfacente, non potendo rappresentare una risposta del tutto coerente alle censure del ricorrente, secondo cui la mancata utilizzazione di una linea telefonica da parte della procura dimostrerebbe che l’intera operazione di intercettazione ambientale sarebbe stata eseguita utilizzando impianti esterni, senza il provvedimento motivato del pubblico ministero.
7. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato l’ordinanza impugnata per mancanza di motivazione, ritenendo che in essa i giudici si siano limitati a richiamare e riportare integralmente passi delle argomentazioni contenute nel provvedimento applicativo della misura da parte del G.i.p., senza alcun apporto critico e omettendo di prendere in considerazione le doglianze delle difese. In effetti, le pagine da 3 a 34 riproducono esattamente quelle dell’ordinanza custodiale che vanno da pagina 111 a pagina 168, così quelle da pagina 34 a 49 coincidono perfettamente con le pagine da 59 a 75 del provvedimento del G.i.p.; inoltre, l’ordinanza impugnata è stata redatta ricorrendo in maniera eccessiva all’inserimento nel testo di interi brani delle conversazioni intercettate, rendendo la lettura e la stessa comprensibilità del provvedimento estremamente difficoltosa, tanto da compromettere l’autonomia della struttura logico-argomentativa. Se è vero che il Tribunale del riesame può in parte rinviare al contenuto argomentativo dell’ordinanza impugnata (Sez. un., 17 aprile 1996, Moni), esso, innanzi tutto, deve comunque dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive, e, in secondo luogo, deve trarre una sintesi logica dal materiale indiziario, che non può ridursi alla semplice riproduzione della documentazione acquisita. L’ordinanza contiene valutazioni circa il significato dei contenuti delle intercettazioni, che dovrebbero consentire di ricostruire il giudizio sui fatti in oggetto, ma che appaiono tendenzialmente assiomatiche ed assertive, perché sganciate dal concreto riferimento agli elementi indiziari, che nella struttura del provvedimento dovrebbero risultare dai brani integralmente riprodotti delle diverse conversazioni, dando vita ad un modello di decisione che realizza una scissione tra il momento valutativo-critico e la prospettazione degli indizi a carico e che finisce per addossare al giudice di legittimità l’improprio compito di ricostruzione del fatto e di individuazione dei gravi indizi di colpevolezza. In realtà, si tratta di affermazioni del tutto scollegate con il materiale investigativo, che non consentono alla Corte di verificare se da questo siano stati tratti ragionevolmente argomenti che, attraverso una sintesi logico-argomentativa, diano conto dei gravi indizi di colpevolezza sui quali deve fondarsi un provvedimento cautelare personale. La Corte di Cassazione non ha il compito di trarre valutazioni autonome dalle fonti indiziarie, e pertanto non si può addentrare nell’esame del contenuto documentale delle stesse, che per avventura sia superfluamente riprodotto nel documento impugnato. In sede di legittimità, invece, è l’argomentazione critica che si fonda sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato che è sottoposta al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva. In sostanza, deve riconoscersi che l’ordinanza in questione non corrisponda pienamente al modello legale enucleabile dall’art. 546 c.p.p., applicabile anche a questa tipologia di provvedimenti: la trasposizione di intere risultanze investigative – operazione favorita dal ricorso a tecniche di video scrittura – non è adeguatamente accompagnata e supportata da apporti critici, con una indicazione degli elementi indiziari e con una conclusiva determinazione in cui si dia conto della deliberazione assunta, anche attraverso l’esame degli elementi di segno contrario offerti dalla difesa.
8. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata, con rinvio al Tribunale di Bari, per nuovo esame sugli aspetti sopra evidenziati, relativi sia alle concrete modalità di ascolto remotizzato, sia alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. Att. c.p.p..
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. att. c.p.p..