Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 12 dicembre 2007 – 30 gennaio 2008, n. 2110
Svolgimento del processo
L’associazione centro turistico studentesco e giovanile conveniva innanzi al tribunale di Roma la s.r.l. T. viaggi e turismo (T.).
Deduceva che in forza di contratto stipulato con la T. era autorizzata ad emettere biglietti Bige (billet individuel group etudiant) tramite la detta società, concessionaria delle FF.SS.; che il contratto aveva ricevuto regolare esecuzione fino a quando la T. le aveva addebitato di avere intavolato trattative per la vendita dei biglietti con la società E. , anch’essa concessionaria delle FF.SS., ed aveva adempiuto in modo parziale ed irregolare le obbligazioni; che nel settembre 1979 la T. aveva dichiarato a mezzo fax di “risolvere” il contratto.
Chiedeva che, previa declaratoria di illegittimità della pretesa risolutoria della controparte, venisse, invece, risolto il contratto per inadempimento di questa ultima con condanna al risarcimento dei danni.
La T. si opponeva alla domanda e proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento del CTS con condanna dello stesso alla restituzione dei biglietti non venduti o al pagamento del relativo prezzo ed al risarcimento dei danni da concorrenza sleale oltre accessori.
Il tribunale emetteva due sentenze: con la prima rigettava la domanda attrice ed accoglieva quella riconvenzionale, dichiarando risolto il contratto per inadempimento del CTS e condannando quest’ultimo al risarcimento dei danni, la cui liquidazione demandava al prosieguo del giudizio; con la seconda liquidava i danni in Euro 1.448.051 con gli interessi dalla pronuncia al saldo.
La corte di appello di Roma in parziale accoglimento del gravame proposto dal CTS avverso entrambe le sentenze riduceva la somma liquidata ad Euro 791.496,35, motivando come segue.
Non comporta violazione di principi di ordine pubblico né incide sulla realizzazione delle finalità del processo l’avere il primo giudice separato di ufficio la pronuncia sull'”an” da quella sul “quantum”; il detto giudice ha disposto c.t.u. per la determinazione del danno e tanto poteva fare pur in difetto di istanza di parte; non sussiste la nullità del patto di non concorrenza contenuto nel contratto del 1976 per violazione dell’art. 85 del Trattato di Roma, non essendo stato né allegato né provato che il patto avesse per oggetto ed effetto «restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune»; neppure sussiste la nullità ex art. 1341 c.c. del patto relativo alla proroga annuale in difetto di disdetta, avendo il primo giudice precisato che il contratto non rientra nella previsione della menzionata disposizione per il fatto che le sue clausole sono state predisposte dalle parti; i danni sono stati ritenuti sulla base della c.t.u. e «non dei documenti e delle testimonianze di cui l’appellante contesta la rilevanza».
Il CTS ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l’accoglimento a sei motivi; il fallimento della T. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113, 115, 116, 132, 187, 188, 189, 277, 278 c.p.c, 2697 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c); si lamenta che la corte di merito abbia disatteso la censura mossa al primo giudice per avere scisso il giudizio sull’”an” da quello sul “quantum” in difetto di richiesta ed accolto la domanda risarcitoria pur in mancanza di istanza di prova in ordine al “quantum”; si sostiene che la scissione non può essere operata dal giudice di ufficio e non può, comunque, avvenire, ove la parte non indichi i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per dimostrare il “quantum”.
1.1. Il motivo è fondato e va accolto.
1.2. La sentenza impugnata ha aderito all’orientamento di questa Corte (Cass. 7806/1987; Cass. 3489/1986; Cass. 3840/1983), secondo il quale l’avere il giudice operato la scissione della pronuncia sull’”an” da quella sul “quantum” di ufficio anziché a richiesta di parte, come previsto dall’art. 278 c.p.c., non comporta violazione di principi di ordine pubblico e non incide sulla realizzazione delle finalità del processo, di tal che la sentenza non è nulla.
Ritiene, invece, il collegio di aderire all’altro orientamento di questa Corte, secondo il quale il giudice non può scindere la decisione sull’”an” da quella sul “quantum” se la parte non lo richieda espressamente e nel richiederlo indichi i mezzi di prova di cui intende avvalersi per dimostrare il “quantum”, sicché in mancanza della richiesta e dell’indicazione il giudice deve pronunciare sulla domanda risarcitoria, rigettandola ove non risulti provata (Cass. 23.4.2004, n. 5736; Cass. 5.12.2002, n. 17250; Cass. 16.10.1998, n. 10256). Considera in proposito che risulterebbe altrimenti violato il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.
1.3. Poiché non è in linea con l’orientamento, al quale il Collegio presta adesione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma perché vi si adegui, pronunciando altresì sulle spese del giudizio di Cassazione.
2. Con il secondo motivo, nel denunciarsi violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113, 115, 116, 132, 277 c.p.c., 1341, 2697 c.c., 81 (già 85) del Trattato di Roma, 2 L. 287/1990 e vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), si deduce che la corte di merito non ha pronunciato sull’eccezione di inefficacia e nullità concernente la clausola vessatoria di esclusività ed ha pronunciato sulla medesima eccezione riferita alla clausola di non concorrenza, rigettandola sul rilievo che mancano elementi per ritenere che la clausola avesse per oggetto ed effetto l’impedire, il restringere o il falsare il gioco della concorrenza in una porzione rilevante del mercato di riferimento; si sostiene che sono stati acquisiti agli atti elementi per ritenere che le clausole avessero l’oggetto e l’effetto sopra indicati; elementi che sono costituiti, oltre che da documenti e deduzioni delle parti, dalla stessa “ragione” della lite insorta per impedire in base alla clausola di esclusività che il CTS vendesse “Bige” dell’E..
2.1. Il motivo non può ricevere accoglimento.
2.2. Dall’esame dell’atto di appello – possibile per la natura del vizio denunciato (omessa pronuncia) – risulta che entrambe le clausole (di esclusività e di non concorrenza) sono ricondotte alla medesima norma (l’art. 85, ora 81, del Trattato di Roma) che prevede che il patto deve avere per oggetto ed effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.
Ne consegue che quando la corte di merito ha affermato che non è stata allegata e tanto meno provata «alcuna circostanza di fatto che possa indurre a ritenere che, in concreto, la pattuizione in esame avesse per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune», al di là delle espressioni concretamente adoperate, la corte medesima ha nella sostanza pronunciato sulla eccezione di nullità ed inefficacia di entrambe le clausole; su quella di esclusività implicitamente.
Il vizio di omessa pronuncia, pertanto, non sussiste, mentre si risolvono nella prospettazione di una diversa interpretazione di comportamenti e dati processuali e sono inammissibili le censure mosse alla Corte di merito per avere ritenuto che non è stato né allegato né provato che la pattuizione abbia avuto l’oggetto e l’effetto sopra indicati.
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113, 115, 116, 132, 277 c.p.c., 1341, 2697 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); in definitiva si censura la corte di merito per avere rigettato il motivo di appello secondo cui la clausola di rinnovazione tacita del contratto è inefficace per difetto di specifica approvazione scritta.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. La corte di merito ha motivato il rigetto considerando che, come precisato dal tribunale, il contratto, del quale fa parte la clausola, «non contiene alcun riferimento a pattuizioni extratestuali da valere come condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, ma precisa nella premessa all’articolato di tradurre per iscritto gli accordi precedentemente raggiunti fra le parti, espressi in clausole né unilateralmente predisposte né riferite ad una pluralità indefinita di controparti».
Ora per giurisprudenza di questa Corte le clausole vessatorie abbisognano di specifica approvazione per iscritto solo ove siano inserite in un contratto predisposto unilateralmente da uno dei contraenti, onde la specifica approvazione non è necessaria quando il contratto sia redatto da entrambi i contraenti e rifletta in ogni sua parte il risultato dell’incontro della volontà delle parti, non la regolamentazione precostituita da una sola di esse (ex plurimis Cass. 6.5.1999, n. 4531).
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113, 115, 116, 132, 277 c.p.c., 1362, 1363, 1366, 1370, 1371, 1453, 1455 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); in particolare si deduce che il CTS ha lamentato con l’atto di appello che il tribunale ha accolto la domanda di risoluzione proposta dalla T. ; la corte di merito ha disatteso le doglianze, osservando che non sono specifiche e si limitano a contestare che i fatti ritenuti dal tribunale sono idoneamente provati; siffatta motivazione è generica, ingiusta ed illegittima; va in proposito ribadito che erroneamente il tribunale ha ritenuto fondata la domanda della T. ed inidoneo a sorreggere la domanda del CTS l’inadempimento addebitato alla T. .
4.1. Il motivo non può essere accolto.
4.2. È sufficiente considerare in proposito che non risultano riprodotte le censure mosse alla sentenza di primo grado, mentre è riassunta la motivazione della detta sentenza, con il risultato che mancano gli elementi per potere emettere alcun giudizio sulla adeguatezza e correttezza della motivazione di rigetto adottata dalla corte di merito. Non senza aggiungere che la riproduzione delle censure sarebbe stata tanto più necessaria in quanto viene in considerazione un’ipotesi di risoluzione contrattuale.
5. Il quinto ed il sesto motivo rimangono assorbiti, con essi denunciandosi rispettivamente vizi attinenti al danno ed alle spese di lite.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; rigetta il secondo, terzo e quarto motivo; dichiara assorbiti il quinto ed il sesto; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Roma.