Cassazione 10 ottobre 2007, n. 21291
Notificazioni.
Massima: Con la sentenza n. 21291 del 2007 la Suprema Corte, ponendosi in consapevole contrasto con l’orientamento espresso da una recente pronuncia, statuisce che la notifica a mani della persona “addetta al ritiro” eseguita in luogo diverso da quello indicato dal domiciliatario e pur in assenza di alcuna indicazione negli atti processuali, in cui non risulta nemmeno un’eventuale comunicazione all’Ordine degli Avvocati da parte del destinatario, deve ritenersi perfettamente valida, dovendosi privilegiare il riferimento personale su quello topografico.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
10 ottobre 2007, n. 21291
Svolgimento del processo
Con atto notificato in data 10.10.2001 il Fallimento I M S s.a.s. (dichiarato il 23.9.1996) proponeva impugnazione avanti alla Corte d’Appello di Bari avverso la sentenza del Tribunale di Bari del 27.6.2001 che aveva rigettato la domanda di revoca ex art. 67 L .F. avanzata nei confronti della N Rdi V. Q. & C. s.n.c. in relazione a pagamenti effettuati per l’importo complessivo di £ 57.385.797 in favore di quest’ultima nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento. Chiedeva l’appellante l’accoglimento della originaria richiesta o, in subordine, la restituzione del minore importo di £ 10.007.320 di cui alle fatture nn. 937 e 1079 rispettivamente del 31.10.1995 e del 30.11.1995 regolarmente quietanzate.
Si costituiva l’appellata che deduceva l’inammissibilità dell’appello per la sua genericità nonché, in relazione alla domanda proposta in via subordinata, per violazione dell’art. 345 c.p.c.
All’esito del giudizio la Corte d’Appello con sentenza del 25.3-8.8.2003 accoglieva il gravame per quanto di ragione, condannando l’appellata al pagamento della somma di euro 5.168,18 (pari a £ 10.007.320) oltre agli interessi legali dalla data dei pagamenti, compensando fra le parti le spese del doppio grado.
Dopo aver confermato il rigetto della domanda principale in quanto non risultava adeguatamente provata, riteneva rituale ed ammissibile quella subordinata basata sulle fatture quietanzate risultanti dal fascicolo di insinuazione al passivo, sostenendo che di tali documenti, anche se non tempestivamente prodotti nel corso del giudizio di primo grado, era consentito l’esame, trattandosi di prove precostituite e non introducendo nel procedimento questioni nuove ma solo una specificazione rispetto alla domanda originaria nell’ambito di quanto già dedotto.
Avverso tale sentenza la N R di V. Q. & C. s.n.c. propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.
La controparte non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
Pregiudizialmente deve rilevarsi che la notifica del ricorso per cassazione presso lo studio dell’avv. F M, difensore intimata curatela non costituitasi nel presente giudizio, risulta dalla relata avvenuta in Bari via Petraglione n. 20 a mani dell’ “incaricato al ritiro” anziché in via Sparano n. 141, indirizzo quest’ultimo indicato nella sentenza impugnata come studio di detto difensore domiciliatario.
Orbene, ritiene il Collegio che in tal caso, anche se eseguita in luogo diverso da quello indicato dal domiciliatario e pur in assenza di alcuna indicazione negli atti processuali, in cui non risulta nemmeno un’eventuale comunicazione all’Ordine degli Avvocati da parte del destinatario, la notifica a, mani della persona “addetta al ritiro” deve ritenersi perfettamente valida, dovendosi privilegiare il riferimento personale su quello topografico in quanto, ai fini della notifica dell’impugnazione ai sensi dell’art. 330 c.p.c., l’elezione di domicilio presso lo studio del procuratore assume la mera funzione di indicare la sede dello studio ed è priva di una sua autonoma rilevanza.
Non si ritiene quindi di poter condividere l’opposto orientamento seguito da altra decisione di questa Corte (26844/06) nei cui confronti il Collegio si pone in consapevole contrasto e che ha ritenuto inammissibile il ricorso qualora la notifica nel domicilio del procuratore intimato, non costituito in giudizio, diverso da quello eletto nel giudizio “a quo”, non sia accompagnata dalla documentazione comprovante il nuovo domicilio.
Una tale conclusione può giustificarsi infatti nell’ipotesi in cui la notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio di merito non abbia avuto buon fine, come del resto più volte la giurisprudenza ha affermato (Cass. 14033/05; Cass. 8287/02; Cass. 2740/98) e non già allorché, come nel caso in esame, abbia avuto invece esito positivo, dovendosi in tal caso, nel quadro di una interpretazione che privilegi, come si è osservato, il riferimento personale rispetto a quello topografico, desumere dal ricevimento dell’atto operato dallo stesso difensore (o dal suo incaricato) la corrispondenza del luogo indicato nella relata con il suo nuovo domicilio. In sostanza, in tal caso è lo stesso difensore domiciliatario a confermare con il ricevimento dell’atto, sia pure attraverso un suo incaricato, attestato dall’ufficiale giudiziario, l’avvenuto mutamento del domicilio nel luogo in cui è avvenuta la notifica (in tal senso del resto Cass. 6098/99). Il ricorso deve ritenersi quindi ammissibile e deve procedersi pertanto al suo esame.
Con il primo motivo di ricorso la N R di V. Q. & C. s.n.c. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 34 5 c.p.c.. Lamenta che la Corte d’Appello, disattendendo l’eccezione di inammissibilità, abbia dato ingresso ed accolto una domanda nuova basata sulle due fatture n. 937 del 31.10.1995 e n.l079 del 30.11.1995 dell’importo complessivo di £ 10.007.320, prodotte nel giudizio di primo grado dopo la scadenza dei termini previsti per tali incombenti, senza peraltro che fossero state indicate nella domanda originaria la quale aveva fatto riferimento ad altre fatture per complessive £ 57.385.7 97 e non aveva subito nel corso del giudizio di primo grado alcuna riduzione, modificazione od ampliamento. Deduce quindi che erroneamente non era stato considerato che tale successiva domanda contenesse un petitum diverso e fosse basata su una diversa causa petendi.
La censura è fondata.
Diversamente da quanto affermato dalla Corte d’Appello, la richiesta in sede di gravame di una somma ulteriore, basata su distinte fatture rispetto a quella che aveva costituito l’oggetto del giudizio di primo grado, configura senza dubbio una domanda nuova, comportando l’introduzione di un tema d’indagine diverso da quello prospettato in precedenza.
Si tratta infatti di distinte operazioni commerciali, individuate con riferimento ad altrettante distinte fatture ed aventi quindi una “causa petendi” ed un “petitum” diversi rispetto alle operazioni di cui alle fatture fatte valere con l’atto introduttivo del giudizio e non già di un mero superamento dei limiti quantitativi della domanda, superamento che presuppone la stessa “causa petendi” e che si propone come una semplice specificazione della domanda medesima nella quale rimangano fermi i fatti costitutivi (Cass. 26079/05).
Né rileva che dette successive fatture risultassero già nel fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado a seguito dell’allegazione del fascicolo fallimentare in cui erano depositate in quanto la relativa domanda, anche qualora fosse stata proposta avanti al Tribunale (la circostanza non risulta precisata nella sentenza della Corte d’Appello), in ogni caso sarebbe stata tardiva, come del resto si deduce dalla stessa sentenza impugnata che dà atto della tardiva produzione delle nuove fatture.
La novità della domanda in appello e la conseguente violazione dell’art. 345 comma 1 c.p.c., comportano l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento sia del secondo proposto in via subordinata e relativo alla violazione del comma 3 dello stesso art. 345 c.p.c., in ragione della tardiva produzione documentale (sulla quale è appena il caso di richiamare la decisione delle Sezioni Unite n. 8203/05 che ha. ammesso una tale possibilità solo entro ben determinati limiti) e sia del terzo motivo, riguardante l’elemento soggettivo in tema di revocatoria di cui si è contestata la sussistenza.
L’affermata preclusione in ordine alla domanda nuova proposta in appello determina pertanto la cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 382 comma 3 ultima parte c.p.c..
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo anche per quanto riguarda i giudizi di merito.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna la curatela al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al giudizio avanti al Tribunale in euro 800,00 per onorario, euro 400,00 per diritti ed euro 200,00 per spese, quanto al giudizio avanti alla Corte d’Appello in euro 900,00 per onorario, euro 300,00 per diritti ed euro 300,00 per spese e quanto al giudizio di legittimità in euro 1.100,00 per onorario oltre alle spese in euro 100,00 nonché, per tutti i giudizi, anche alle spese generali ed agli accessori come per legge.