Cassazione – Sezione quarta – sentenza – 5 giugno 2008, n. 22622
Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava interamente condonate le pene inflitte a B. Alvaro e T. Flavio, confermando il giudizio di responsabilità espresso nei loro confronti dal giudice di primo grado con riferimento al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica. L’ infortunio sul lavoro occorso in data 26.2.1 2001 a B. Lorenzo, dipendente della ditta C. , appaltatrice per conto dell’ENEL dei lavori di manutenzione su impianti a media e bassa tensione, si era svolto con le seguenti modalità, la cui descrizione è rilevante ai fini della piena comprensione dei motivi del presente ricorso: il lavoratore, mentre era intento a lavorare per il ripristino della linea elettrica interrotta su di una scala appoggiata ad un palo (di nove metri), nonostante l’utilizzo di una cintura di sicurezza, a causa del cedimento del palo stesso, precipitava al suolo, riportando lesioni personali gravi. L’indagine amministrativa interna, i cui esiti venivano confermati dalla consulenza disposta dal PM, consentiva di accertare che il predetto palo, posato negli anni 60 dalla società SELT Valdarno, senza predisposizione sul fusto della targhetta identificativa indicante la lunghezza complessiva, era infisso nel terreno per soli 75 cm, cioè poco più della metà di quanto prescritto dalle norme CEI.
Il reato de quo veniva contestato, per quanto qui rileva, al B. , quale legale rappresentante della C., per avere omesso di predisporre idonea valutazione dei rischi al fine di prevenire infortuni sul lavoro e segnatamente quelli riguardanti la stabilità dei pali di sostegno ed al T. , quale responsabile del cantiere e delegato alla sicurezza, per avere fatto svolgere il lavoro a persona inesperta, in violazione dell’art. 14 del capitolato di appalto, senza far eseguire le preventive verifiche di stabilità del palo.
Propongono ricorso per Cassazione, tramite difensore, entrambi i prevenuti, ciascuno articolando due motivi.
B. Alvaro deduce con il primo motivo I’ inosservanza di legge penale, sub specie degli artt. 2, 4, 5 e 12 del D.Lvo. 494/96 ed il difetto di motivazione. In particolare, lamenta che l’addebito contestatogli era del tutto ingiustificato, sia perché, come dimostrato nel corso del dibattimento il piano operativo di sicurezza era stato predisposto sia perché il rischio di caduta del palo era del tutto imprevedibile. La corretta interpretazione dell’art. 2, lett. B, del citato decreto 494/1996, avrebbe dovuto portare a concludere che il piano operativo di sicurezza, la cui predisposizione gravava sul B. in qualità di appaltatore, in ragione della sua natura di piano complementare e di dettaglio rispetto al piano di sicurezza e coordinamento, alla cui stesura era tenuto il coordinatore in materia di sicurezza indicato dal committente, poteva prevedere il rischio di caduta del palo solo dopo la predisposizione del piano del coordinatore ENEL che tale rischio era tenuto a prevedere. La mancata stesura del piano di coordinamento da parte dell’ENEL e soprattutto la consegna del cantiere all’appaltatore senza alcuna indicazione del rischio afferente la possibile caduta del palo nonché l’omessa previsione nel contratto di appalto di alcun intervento di manutenzione dei pali consentiva di escludere, secondo la tesi difensiva, la responsabilità dell’appaltatore, spettando all’ENEL di verificare la stabilità dei sostegni ereditati dalla SELT Valdarno, come del resto osservato dal giudice di primo grado.
Con il secondo motivo si duole dell’omessa motivazione in relazione ai motivi di appello proposti laddove si evidenziava che gli imputati, contrariamente a quanto affermato dal giudice di secondo grado, avevano diligentemente effettuata le verifiche di loro competenza unitamente a funzionari dell’ENEL, i quali non avevano però segnalato l’esistenza del rischio attinente alla stabilità dei pali.
Analoghe censure sono proposta da T. Flavio, con la precisazione che, in relazione alle mansioni dallo stesso svolte, si sostiene con il primo motivo, che se l’ENEL avesse tempestivamente avvisato il B. del rischio esistente, le verifiche effettuate dal T. , insieme ai funzionari dell’ENEL, avrebbero potuto essere focalizzate proprio sulla stabilità dei pali. I ricorsi sono infondati e, contenendo analoghe censure, sia pure prospettate con riferimento ai differenti ruoli svolti da ciascuno dei ricorrenti all’interno dell’azienda, meritano trattazione congiunta.
Le doglianze, in entrambi i ricorsi, investono il giudizio di responsabilità.
In sostanza, i ricorrenti contestano la prevedibilità dell’evento ( la caduta del palo), che, secondo la tesi difensiva, rappresenterebbe un evento non ricadente nell’area di rischio tutelata dalle norme antinfortunistiche riferibili nella fattispecie concreta agli imputati, nella qualità, rispettivamente di legale rappresentante e responsabile di cantiere della ditta appaltatrice, avendo l’Ente committente omesso qualsiasi informazione utile ai fini della prevenzione e protezione da quel rischio .
Si sostiene, in particolare, che non poteva essere richiesto ai ricorrenti di prevedere il rischio connesso alla stabilità del palo, allorché, come nel caso in esame, la società committente ( l’ENEL) aveva del tutto omesso di informare I’ appaltatore (la C. ) dei rischi presenti nel cantiere, rappresentati, nel caso di specie, dal pericolo di caduta dei piloni intorno ai quali la ditta appaltatrice era stata chiamata ad operare per un’attività manutentiva delle linee elettriche. Sul punto si sottolinea che il giudizio di responsabilità non avrebbe tenuto conto che il piano operativo di sicurezza, ritualmente predisposto dall’appaltatore ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. c bis, D.Lvo 494/1996, per la sua natura complementare e di dettaglio rispetto al piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 dello stesso decreto , avrebbe potuto prevedere la possibile caduta di pali di sostegno della linea elettrica solo se fossero state fornite dalla committente le informazioni utili fini della prevenzione e della protezione dei rischi cui sono esposti i lavoratori.) v. artt. 3 e 4 del D.lvo 494/1996 ).
Tale assunto difensivo non può essere condiviso. Come evidenziato in più occasioni (v. da ultimo, Sezione IV, 15 marzo 2007, Ghelfa ed altri), per i lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza grava, come in qualsiasi altra ipotesi, sul datore di lavoro, che, di regola, è l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche, qualora abbia assunto il rischio inerente all’esecuzione dei lavori e la responsabilità d’organizzare il cantiere con propri mezzi e con personale da lui assunto.
È vero, altresì, che, in caso di infortunio, è peraltro possibile la configurabilità della responsabilità anche del committente. Questi, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l’evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l’inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose. Inoltre, il committente può essere chiamato a rispondere dell’infortunio qualora l’omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell’inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; mentre, in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza.
In conclusione, deve, pertanto, affermarsi che, in caso di infortunio è, sempre stato ammesso che possano aversi intrecci di responsabilità coinvolgenti anche il committente (v. sul punto, Sezione IV 17 gennaio 2008, Cigalotti ed i riferimenti in essa contenuti), come può desumersi dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626, laddove si pongono gli specifici obblighi del datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori, all’interno dell’azienda, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Il datore di lavoro, in tal caso, è tra l’altro tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro. Può anzi ben dirsi che tali obblighi comportamentali determinano a carico del datore di lavoro una posizione di garanzia e di controllo dell’integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell’appaltatore e, a fortiori, del lavoratore autonomo operante nell’impresa (cfr. la citata sentenza Cigalotti).
Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l’intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale allorquando l’omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento. In questa prospettiva, le censure proposte dai ricorrenti avverso la sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. I giudici di merito hanno infatti evidenziato che gli obblighi inerenti alla sicurezza dei lavori appaltati, con il conseguente apprestamento delle necessarie misure di protezione e la vigilanza sulla loro adozione, erano stati assunti dagli imputati, in funzione dei rispettivi ruoli svolti nell’impresa appaltatrice. È stato, pertanto, ritenuto che la C. , nella qualità di datore di lavoro, avrebbe dovuto farsi carico della possibilità che i pali di sostegno non fossero più efficienti, soprattutto tenendo conto dei seguenti elementi indicatori di sicuro rischio: l’obsolescenza trentennale dei pali, riconosciuta dagli stessi prevenuti, la mancanza di una targhetta identificativa che consentisse la stima approssimativa di quanto interrato, la mollezza del terreno in cui era interrato il palo. Ciò non significa, come esattamente evidenziava il giudice di secondo grado, che dovesse pretendersi a carico della C. l’obbligo di dissotterrare il palo su cui intervenire al fine di verificarne la stabilità, ma, piuttosto, quello di scegliere modalità operative diverse da quella in concreto adottata (l’utilizzo di un autogrù con cestello o dei controbilanciamenti di tensione, invece della scala appoggiata sul palo), in adempimento degli obblighi di tutela e di sicurezza che fanno capo al datore di lavoro.
Alla luce di tali rilievi, correttamente è stato ritenuto l’addebito a carico degli imputati, i quali, sono venuti meno al dovere gravante sul datore di lavoro e sulle altre figure previste dall’art. 4 del D.Lvo 626 del 1994 di porre in essere adeguate forme di controllo idonee a prevenire i rischi della lavorazione. La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell’art. 2087 c.c.. Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 del codice civile e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40, comma 2, c.p..
Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera. In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’articolo 40, comma 2, c.p. (v. Sezione IV, 4 luglio 2006, Civelli).
E’ in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l’evento dannoso, del datore di lavoro nel non aver questi previsto una valutazione concreta dei rischi correlati alla stabilità dei pali e nell’avere omesso di prendere le misure idonee alla eliminazione di detti rischi. In questa prospettiva, all’evidenza, non può valere ad escludere la responsabilità della COIEC il richiamo operato dalla difesa all’affidamento sulla stabilità dei pali messi a sua disposizione dall’ENEL. Ciò perché il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, “garantito” dal rispetto della normativa antinfortunistica). In tema di infortuni sul lavoro, infatti, il datore di lavoro è diretto responsabile della sicurezza dei suoi dipendenti e non può andare esente da responsabilità invocando eventuali responsabilità altrui dal momento che, come sopra evidenziato , egli è garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro e a tal fine è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli, ponendo in essere la necessaria diligenza, perizia e prudenza (v. i citati artt. 2087 c.c. e 4 D.Lvo 626/1994). In questo caso, pertanto, l’eventuale concorrente responsabilità dell’ENEL, per avere omesso di informare la ditta appaltatrice dei rischi presenti sul cantiere di lavoro (v. art. 3 D.Lvo 494/626), come esattamente affermato dai giudici di merito, non avrebbe comportato l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro. E, ovviamente, un problema di eventuale responsabilità dell’ENEL non può proporsi o riproporsi in questa sede. La possibile sottovalutazione anche di tale (co)responsabilità, attribuibile alle scelte accusatorie operate in sede di merito, non sposta i termini della questione, perché non elide i profili di colpa (e di conseguente responsabilità) degli odierni imputati, su cui il giudicante si è soffermato ed ha argomentato in modo corretto e convincente. In conclusione, ciò che era legittimo pretendersi dal B. e dal T. era una valutazione concreta dei rischi presenti sul cantiere di lavoro e I’adozione di misure idonee al fine di prevenire detti rischi. Obbligo comportamentale, va ulteriormente precisato, indipendente da quelli posti -in ipotesi- a carico del committente.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione dì quelle sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali; li condanna, altresì, in solido a rimborsare le spese di giudizio in favore della parte civile, liquidandole in euro 1620,00, di cui euro 120,00 per spese, oltre spese generali, IVA ,CPA, come per legge.