Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 19 ottobre 2007 – 31 gennaio 2008, n. 2313
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1992, A. Antonio, sia in proprio che nella qualità di Amministratore pro tempore del Condominio di … omissis …, in Altofonte, nonché, T. Camillo e S. Maria, convenivano in giudizio dinanzi il Tribunale di Palermo la C. s.n.c, successivamente trasformatasi in s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna all’esecuzione di tutti i lavori necessari all’eliminazione dei difetti di costruzione del fabbricato in questione, ove avevano acquistato, ciascuna parte, un appartamento, con atti del 27 luglio 1986 e 5 febbraio 1987, o, in alternativa, al pagamento del corrispondente importo. Deducevano gli attori che tali difetti interessavano le strutture in cemento armato, il tetto di copertura, i piani cantinati, i muri perimetrali e gli impianti ed avevano determinato, a causa d’infiltrazioni d’umidità, scrostamenti e crolli degli intonaci interni ed esterni, e che la C. , pur avendo riconosciuto il proprio obbligo a porvi rimedio ed avendo chiesto le necessarie autorizzazioni al Comune Altofonte, non aveva successivamente effettuato alcun intervento.
Costituitesi ritualmente in giudizio la C. s.a.s., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, contestava la fondatezza della domanda attrice di cui chiedeva il rigetto, deducendo l’inesistenza dei difetti lamentati e di non avere mai richiesto alcuna autorizzazione al Comune d’Altofonte per l’esecuzione degli interventi diretti all’eliminazione degli stessi. Procedutosi ad istruzione mediante C.T.U. tecnica, il Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza 8 giugno/3 luglio 2001, accoglieva le domande attrici, condannando la C. al pagamento della somma di L. 129.700.00, oltre interessi legali dal 6 febbraio 1996, quantificato cosi l’importo dei lavori necessari per l’eliminazione dei difetti lamentati, nonché delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della CTU.
Proponeva appello la C. , resistevano il T. e la S. , il primo anche quale amministratore del condominio, rimaneva contumace CA. .
La Corte di appello di Palermo, con sentenza 22.11.2004, in parziale riforma ed in accoglimento dell’appello, condannava la C. a pagare in favore del condominio Euro 56.464, con gli interessi dal 6 febbraio 1996 al soddisfo, compensando per intero le spese del giudizio.
Osservava la Corte che correttamente il primo giudice aveva ritenuto applicabile la previsione dell’art 1669 c.c. e non quella dell’art. 1667. In tema di responsabilità extracontrattuale, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669, legittima il committente alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell’opera che, pur non riguardando parti essenziali, incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile. La denunzia di gravi vizi da parte del committente può implicare un’idonea ammissione di valida scoperta tale da costituire il “dies a quo” per la decorrenza del termine di prescrizione.
Ricorre il R. , quale socio accomandatario e successivamente liquidatore della C. con due motivi; all’udienza del 6 ottobre 2006 è stata disposta la rinnovazione della notifica agli intimati T. e S. , che hanno successivamente resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Col primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 1667 e 1669 c.c., ribadendo che erroneamente la Corte ha applicato l’art. 1669 anziché l’art. 1667, posto che non vi è dubbio che le doglianze lamentate riguardano elementi non strutturali dell’opera.
Col secondo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ai tempi della denunzia dei vizi, essendo documentalmente provato che, già con lettere 22.2.1989, 29.5.89, il legale dei sigg. A. e Biaconia aveva lamentato l’esistenza dei danni e con lettera di convocazione del 12.1.91 il condominio aveva inserito all’odg l’argomento.
Le censure sono infondate.
In ordine al primo motivo si osserva:
La corte territoriale ha adeguatamente motivato l’espressa opinione in ordine alla riconducibilità dei vizi denunziati dagli originali attori alla previsione dell’art. 1669 c.c. e ciò sia dal punto di vista fattuale, con riferimento agli accertamenti tecnici acquisiti, sia da quello giuridico, con corretto rinvio alla giurisprudenza di legittimità.
Per la quale la responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera sancita dall’art. 1669 c.c. – difetti ravvisatoli in qualsiasi alterazione dell’opera, conseguente ad un’inadeguata sua realizzazione, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa e non determinandone, pertanto, la rovina od il pericolo di rovina, si traducano, tuttavia, in vizi funzionali di quegli elementi accessori o secondari che dell’opera stessa consentono l’impiego duraturo cui ò destinata e tali, quindi, da incidere negativamente ed in considerevole misura sul godimento di essa, ciò che li distingue nettamente dai vizi e dalle difformità denunziabili, ex art. 1667 c.c., con l’azione di responsabilità contrattuale e per i quali non è richiesto che necessariamente incidano in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera – non è affatto di natura contrattuale, bensì extracontrattuale, in quanto intesa a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata per la tutela dell’incolumità personale dei cittadini, e, quindi, d’interessi generali inderogabili, che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti (e pluribus, da ultimo, Cass. 6.12.00 n. 15488, 2.10.00 n. 13003, 14.200 n. 1608, 7.1.00 n. 81).
In ordine al secondo motivo si osserva:
L’art. 1669 cod. civ. benché collocato fra le norme disciplinanti il contratto di appalto è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore anche da parte degli acquirenti, i quali in tema di gravi difetti dell’opera possono fruire dei termini decennale di prescrizione ed annuale di decadenza (e pluribus, da ultimo: Cass. 31.3.08 n. 7634, 13.1.05 n. 567, 29.3.02 n. 4622, 10.4.00 n. 4485, 6.2.96 n. 1203, 19.9.97 n. 9313, 27.8.97 n. 8109, 14.12.93 n. 12304). Per costante insegnamento di questa Corte, l’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la “scoperta” del vizio ai fini del computo dei termini posti dall’art. 1669 c.c. – il primo di decadenza per effettuare la “denunzia” ed il secondo, che dalla denunzia stessa prende a decorrere, di prescrizione per promuovere l’azione – deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi dell’opera quanto al collegamento causale di essi con l’attività progettuale e costruttiva espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo all’atto dell’acquisizione d’idonei accertamenti tecnici; per il che, nell’ipotesi di gravi vizi dell’opera la cui entità e le cui cause, a maggior ragione ove già oggetto di contestazioni tra le parti, abbiano, anche per ciò, rese necessario indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi da parte del committente possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione ed, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l’un effetto, alla data della denunzia e, per l’altro, a data ad essa convenientemente anteriore (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 18.11.98 n. 11613, 20.3.98 n. 2977,94 n. 8053).
Ciò non significa, come pure ha evidenziato questa Corte con decisioni del tutto coerenti con i principi sopra richiamati, che il ricorso ad un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denunzia prima ed una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere d’un perito (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993,2.9.92 n. 1016).
Nel caso in esame, la corte territoriale, con apprezzamento in fatto adeguatamente motivato, ha fissato in un periodo molto prossimo alla conoscenza completa dello stato delle deficienze strutturali dell’immobile cui ancorare una precisa denunzia dei vizi, deducendone consequenzialmente e correttamente, in difetto d’elementi desumibili dagli effettuati accertamenti tecnici tali da comprovare una conoscenza e/o conoscibilità dei fenomeno anteriori d’oltre un anno a tale data, la tempestività di essa.
Le censure al riguardo effettuate dal ricorrente – a parte gli evidenti profili d’inammissibilità, trattandosi di prospettazioni con le quali, sotto l’apparente denunzia del vizio di motivazione, si tende ad ottenere una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella effettuata dal giudice del merito e più rispondente alle attese della parte – non tengono conto dell’insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato né del fatto che la conclusione cui è pervenuta la corte territoriale risulta ancorata alla denunzia ed a specifiche emergenze istruttorie d’ordine tecnico. In definitiva il ricorso va rigettato, con la consequenziale condanna alle spese, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3600,00 di cui 3500,00 per onorari, oltre accessori.