Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 5 febbraio 2008 n. 2740
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato l’8.10.1999, M. B. chiedeva al Tribunale di Torino di pronunciare la separazione giudiziale dal marito, M. P., dichiarandola addebitabile a quest’ultimo, con il quale aveva contratto matrimonio in data 30.7.1961. Comparsi i coniugi davanti al Presidente ed emessi i provvedimenti provvisori ed urgenti, la B. chiedeva altresì che venisse posto a carico del P. un contributo al proprio mantenimento nella misura di lire 1.500.000 mensili.
Costituendosi, quindi, in giudizio, il convenuto contestava le avverse deduzioni ed avanzava domanda di addebito nei riguardi della moglie. In corso di causa, l’attrice rinunciava all’istanza di addebito, insistendo, peraltro, nella pretesa di contribuzione al mantenimento.
Il Giudice adito, con sentenza del 15.7/6.9.2002, pronunciava la separazione giudiziale dei coniugi, rigettava la domanda di addebito proposta dal marito e disponeva che quest’ultimo contribuisse al mantenimento della moglie nella misura di euro 130,00 mensili, annualmente rivalutabili secondo gli indici Istat, ordinando all’INPS di Chieri di versare direttamente tale somma alla B. dietro prelievo da quanto mensilmente erogato al P. a titolo di pensione.
Avverso la decisione, spiegava appello quest’ultimo, assumendo che la separazione fosse addebitabile alla moglie e che nulla egli dovesse per il mantenimento di lei. Resisteva nel grado l’appellata, la quale, oltre a chiedere il rigetto delle pretese avversarie, domandava in via incidentale che l’assegno in suo favore venisse aumentato ad euro 775,00 mensili.
La Corte territoriale di Torino, con sentenza dell’11/16.2.2004, pronunciava la separazione dei coniugi addebitandola alla moglie, dichiarava che nulla era dovuto dal P. in favore della B. a titolo di mantenimento e revocava le relative statuizioni del Tribunale.
Assumeva detto Giudice: a) che l’allontanamento della maglie stessa dalla casa familiare, avvenuto nel giorno di Natale del 1997 ed oggettivamente provato siccome ampiamente ammesso, costituisse violazione dei doveri coniugali; b) che, in mancanza di una “giusta causa” (formale) rappresentata dalla proposizione della domanda di separazione, intervenuta soltanto nel 1999, fosse onere dell’appellata provare le circostanze che l’avevano indotta ad una simile scelta; c) che tale prova fosse mancata del tutto, non essendo rimasta dimostrata la sussistenza di comportamenti sconvenienti da parte del P.; d) che neppure risultasse rilevante la mancata reazione di quest’ultimo all’allontanamento della B.; e) che, del resto, la pregressa esistenza tra i coniugi di una sorta di “separazione in casa” si prestasse ad una opposta lettura e non giustificasse, in mancanza di una evidente e piena rottura, l’allontanamento in questione; f) che l’assegno di mantenimento non fosse, perciò, dovuto in favore del coniuge cui la separazione risultava addebitabile e che, d’altra parte, non fosse stata formulata domanda in relazione ad un ipotetico assegno alimentare.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione la B., deducendo due motivi di gravame ai quali resiste con controricorso il P..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 151, 143, secondo comma e 146, primo e secondo comma, c.c., nonché insufficienza di motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., assumendo: a) che la Corte territoriale ha omesso di accertare se la pretesa violazione; da parte sua, del dovere di coabitazione di cui all’art. 143, secondo comma, c.c. sia stata la causa determinante della rottura dell’unità coniugale e dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, senza avere verificato se l’allontanamento dalla residenza familiare non sia stato piuttosto la mera conseguenza di una irreparabile frattura di tale unità, già da tempo verificatasi tra le parti; b) che, in presenza di elementi diversi, rappresentati vuoi da una situazione di crisi matrimoniale fatta risalire dal marito stesso al 1996, vuoi dall’allontanamento della moglie da casa nel giorno di Natale del 1997, seguito da una spontanea dichiarazione resa ai Carabinieri tre giorni dopo, vuoi da una separazione che, di fatto, é durata per oltre due anni senza che ci sia stato alcun richiamo a ritornare, la motivazione della Corte territoriale basata sul solo “fatto oggettivo e pacifico dell’allontanamento” appare del tutto inadeguata ed insufficiente a fondare la pronuncia di addebito a carico della moglie; c) che l’esame sia del comportamento dei coniugi prima dell’allontanamento (separati in casa fin dal 1996), sia del lungo periodo di separazione successivo allo stesso, ovvero tanto della prolungata assenza di communio tra gli anzidetti coniugi quanto della mancata reazione del marito per oltre due anni (il quale, con il suo atteggiamento di totale inerzia, anzi di acquiescenza, ha determinato la legittimità dello stato di non convivenza, ponendo così in essere una separazione di fatto), avrebbe portato alla conclusione che l’allontanamento della B. dalla casa familiare fu una conseguenza della rottura dell’unità matrimoniale, avvenuta quanto meno a partire appunto dal 1996, ma non ne fu certamente la causa.
Il motivo è fondato.
Giova, al riguardo, premettere: a) che, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei medesimi coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, cosicché, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito (Cass. 28 settembre 2001, n. 12130; Cass. 18 settembre 2003, n. 13747); b) che, a questi fini, l’indagine circa l’intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e della comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno formare oggetto di apprezzamento senza un raffronto con quella dell’altro, dal momento che solo tale comparazione permette di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano avuto, nelle loro reciproche interferenze, agli effetti della determinazione della crisi matrimoniale (Cass. 14 novembre 2001, n. 14162); c) che l’abbandono della casa familiare, in particolare, il quale, ove attuato dal coniuge senza il consenso dell’altro coniuge e confermato dal rifiuto di tornarvi, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione là dove provoca l’impossibilità della convivenza, non concreta una simile violazione quante volte sia stato cagionato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando risulti intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto, così da non spiegare rilievo causale ai fini della crisi matrimoniale (Cass. 28 agosto 1996, n. 7920; Cass. 29 ottobre 1997, n. 10648; Cass. 11 agosto 2000, n. 10682; Cass. 10 giugno 2005, n. 12373; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1202).
Tanto premesso, si osserva come la Corte territoriale, sulla base dell’incensurato (di per sé) apprezzamento circa “l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale, avvenuto nel giorno di Natale del 1997 (ed) oggettivamente provato perché ampiamente ammesso”, abbia, quindi, ritenuto di addebitare la separazione (soltanto) alla B., dopo avere distintamente apprezzato: a) ““il fatto che, per concorde ammissione dei coniugi in sede di libero interrogatorio, la moglie “già da alcuni mesi prima del suo allontanamento” stava in una stanza a lei destinata, quasi vi fosse tra i coniugi una sorta di “separazione in casa””, enunciando, però, al riguardo, la possibilità di “leggere” questa circostanza in due modi opposti (o, come sostenuto dalla moglie, quale segno di una convivenza fin da allora divenuta insopportabile, e psicologicamente conclusa, a causa di un comportamento scorretto e insultante del marito, oppure, come sostenuto da quest’ultimo, quale ulteriore gesto trasgressivo da parte della moglie, che, avendo un amante, rifiutava rapporti con il coniuge) e l’impossibilità che ““anche una sorta di “separazione in casa”, fino a quando non vi sia una evidente e piena “rottura”, (giustifichi) … un allontanamento, perché si deve presumere, da parte di coniugi responsabili, l’impegno a superare dissapori temporanei, o disagi soggettivi contingenti che si verifichino nei corso di una convivenza””; b) il fatto che il P. “non reagì” a detto allontanamento, giudicando, tuttavia, quest’ultima circostanza come “non… rilevante, perché l’eventuale acquiescenza ad un allontanamento già posto in essere non significa né che quel gesto, cosi significativo, fosse previsto, né tanto meno che fosse implicitamente, e preventivamente, accettato… senza contare che il comportamento passivo del marito avrebbe potuto significare un’attesa (nella speranza di un ripensamento da parte della moglie) di una riconciliazione”.
In tal modo, però, la Corte territoriale é incorsa nel denunciato vizio di insufficiente motivazione, là dove, separatamente considerando i due elementi di fatto sopra riportati, i quali pure interferiscono reciprocamente nel duplice senso che l’uno (relativo alla “separazione in casa” esistente tra i coniugi “già da alcuni mesi prima dell’allontanamento” della moglie) trova riscontro nell’altro (relativo alla mancata “reazione” del marito al suindicato allontanamento) e che quest’ultimo getta ulteriore luce sul precedente, ha trascurato di mettere in rapporto gli elementi dianzi specificati, così da valutare, attraverso un loro apprezzamento “complessivo”, se l’intollerabilità della convivenza fosse stata determinata dall’allontanamento della B. dalla casa coniugale o se non piuttosto potesse dirsi raggiunta la prova che la menzionata intollerabilità si era già determinata e che un simile allontanamento, quindi, più che “causa”, risultava essere stato “effetto” di detta intollerabilità, finendo, in buona sostanza, per omettere lo stesso esame circa l’incidenza causale dell’abbandono in oggetto sulla crisi matrimoniale e, segnatamente, circa la sussistenza di una situazione, accettata dal marito, di deterioramento dei legami coniugali di per sé incompatibile con la protrazione della convivenza, ovvero tale da non rendere esigibile la pretesa della coabitazione. Pertanto, il motivo merita accoglimento, onde, restando assorbito il secondo, relativo ad un profilo di censura dipendente (riguardando il mancato riconoscimento dell’assegno alimentare) da quello che ha formato oggetto del primo motivo e, quindi, legato all’esito che la questione ad esso sottesa avrà nel futuro giudizio di rinvio, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 5 FEBBRAIO 2008