Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 23 ottobre 2007 – 6 febbraio 2008, n. 2800
Svolgimento del processo
A (società che ha ricevuto l’appalto) conviene in giud B (subappalto) C (committente) trattiene somma dovuta ad A – A sospende il pagamento di quanto dovuto a B e chiede il pagamento della somma trattenuta da C – B chiede in via riconvenzionale il pagamento del saldo
Con citazione ritualmente notificata, l’A. s.p.a. – A. Costruzioni Edili M. – conveniva in giudizio davanti al tribunale di Venezia la s.r.l. L., esponendo che con contratto del 22-4-1993 aveva preso in appalto dalla s.r.l. M. & M. la costruzione, al greggio di un edificio in Comune di Mirano, e che, a sua volta, aveva subappaltato, con il consenso della committente, alla L. s.r.l. l’esecuzione della palancatura di contenimento per lo scavo delle fondazioni; che nel corso dell’esecuzione di questi lavori la palancatura aveva ceduto, cagionando danni ai proprietari degli immobili confinanti ed alla strada comunale; che i primi avevano chiesto il risarcimento direttamente alla committente, la quale, a causa di ciò, aveva inteso trattenere in garanzia il saldo di £ 87.056.494 dovuto all’A. per le opere eseguite;
che l’A., ritenendo che la responsabilità fosse da ascrivere per intero alla subappaltatrice, aveva sospeso il pagamento di quanto ancora dovuto alla L. per saldo lavori, pari a £ 69.851.771; tutto ciò esposto, chiedeva, con l’atto di cui sopra, la condanna della convenuta al pagamento della suindicata somma di £ 87.056.494, compensandosi eventualmente la somma medesima con quanto avesse preteso la L. per i lavori eseguiti.
Nel costituirsi in giudizio, quest’ultima contestava la fondatezza della domanda e negava qualsiasi responsabilità nel cedimento delle palancole, nonché la risarcibilità dei danni arrecati alla strada, concludendo, in via riconvenzionale, per la condanna dell’attrice al pagamento di £ 69.851.771 a saldo per l’esecuzione dei lavori.
Nel corso del giudizio, l’A. deduceva di avere definito stragiudizialmente la vertenza con i B., proprietari degli immobili confinanti, con il versamento di £ 19.411.815, e di essere creditrice della quota parte delle spese legali, quantificate in L. 5.860.000 sostenute per tale definizione, e di £ 5.000.000 per la riparazione della strada; e, poiché il danno totale imputabile alla L. risultava così definitivamente accertato in £ 30.271.815, ma essa aveva versato alla subappaltatrice £ 40.000.000, importo superiore di £ 1.919.224 al credito della stessa, chiedeva, modificando in tal senso la domanda, la condanna della convenuta al pagamento della predetta somma di £ 1.916.224. La L. riduceva, a sua volta la domanda, a £ 29.851.771.
Con sentenza del 3 giugno 1999, l’adito tribunale rigettava la domanda dell’attrice e, in accoglimento di quella riconvenzionale, condannava l’A. a corrispondere alla L. la somma di £ 29.851.771, con gli interessi al tasso legale dalla domanda al saldo ed al rimborso delle spese processuali.
Proposto appello dall’A. e costituitasi la L. per resistere, la corte di appello di Venezia, con sentenza dell’8 maggio 2003, in riforma di quella impugnata, ha dichiarato l’A. tenuta al pagamento, quale residuo prezzo, alla L. della somma di Euro 36.075,42; ha dichiarato che nell’esecuzione del subappalto la L. ha, per esclusiva sua colpa, arrecato danni a terzi, B. e Comune di Mirano, e che, a questo titolo, l’A. ha sborsato, comprese spese legali, complessivi Euro 16.406,80, che la L. è tenuta a pagare all’A.; ha accertato il versamento come acconto operato dall’A. a alla L. di Euro 20.658,27, e, operata la compensazione tra i rispettivi crediti, ha dichiarato tenuta e, per l’effetto, ha condannato la L. a pagare all’A. il residuo debito per complessivi Euro 989,64; ha condannato, infine, la L. al rimborso all’A. delle spese del doppio grado del giudizio.
La corte di appello è pervenuta a tale decisione in quanto ha ritenuto, innanzitutto, che legittimamente l’A. abbia sollevato l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., compatibile con l’azione ex artt. 1665 e ss. c.c., sospendendo conseguentemente i pagamenti di quanto dovuto alla L., atteso che è stato provato che l’esecuzione dell’opera a questa commessa (infissione e rimozione delle palancole) fu malamente eseguita e che, pertanto, i danni che ne derivarono sono certamente imputabili, in mancanza di prova contraria, alla subappaltatrice. Quanto, poi, alla eccezione della L., secondo cui il posizionamento delle palancole sarebbe stato eseguito secondo gli ordini impartiti da personale dell’A., per cui responsabile dei danni sarebbe unicamente quest’ultima, la corte ha escluso che nella fattispecie la L. abbia agito come mera esecutrice della committente; in ogni caso è mancata la prova, il cui onere incombeva ex art. 1218 c.c. sulla stessa subappaltatrice, di avere reso edotto la committente (nonché appaltatrice) A. della erroneità delle istruzioni ricevute e che, ciò nonostante, essa si era dovuta attenere alle dette istruzioni.
La corte, per quanto riguarda infine le riparazioni eseguite sul marciapiede direttamente dall’A., ha ritenuto che, non potendosi provare la spesa sostenuta per le stesse, il relativo importo va liquidato, secondo criteri di equità, in Euro 2.582,28.
Ricorre per la cassazione della sentenza la società L. s.r.l. in forza di cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso A. M. Immobiliare s.n.c. di M. N., Ferdinando, Alberto e Vanna, eccependo preliminarmente la nullità del mandato conferito dalla ricorrente al difensore, “in quanto lo stesso non porta l’indicazione dell’avvocato al quale è conferito il potere di rappresentanza, ma è solo indicato il nome dell’avvocato autenticante la firma”.
Motivi della decisione
L’eccezione di nullità del mandato al difensore sollevata dalla resistente, con riferimento alla procura rilasciata dalla ricorrente al proprio legale, è infondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la procura a margine del ricorso per cassazione, sebbene priva dell’indicazione delle generalità del difensore, è validamente rilasciata allorché il dato carente possa senza incertezza desumersi dalla compiuta specificazione del nome del difensore stesso, contenuta nell’intestazione dell’atto, nonché dalla sottoscrizione da esso apposta sia in calce a questo sia per autenticazione della firma della parte che ha rilasciato la procura (Cass. n. 5799/90 e n. 6339/87). Nel caso in esame si riscontrano tutti i predetti elementi e, pertanto, la procura rilasciata al difensore dalla ricorrente è valida.
Con la proposta impugnazione si denuncia: 1) Erronea e contraddittoria interpretazione dell’art. 1460 c.c; violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c.; 2) Violazione dell’art. 2697 c.c. e 101-115 c.p.c; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; 3) Erronea e falsa applicazione degli artt. 40 c.p. e 1218 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; 4) Erronea e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 113 c.p.c; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; 5) Erronea e contraddittoria applicazione degli artt. 91 e 92 co. 2 c.p.c; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
Vanno esaminati preliminarmente e congiuntamente, per ragioni di ordine logico e sistematico, il secondo ed il terzo motivo, con cui la ricorrente si duole che la corte territoriale abbia ritenuto, pur in mancanza di prove – non essendo, tra l’altro, ad essa opponibili gli accertamenti eseguiti in sede di accertamento tecnico preventivo, su cui il giudice ha basato principalmente la sua statuizione – che i danni denunciati dalla A. si siano verificati a causa del cedimento delle palancole e che per consistenza ed entità siano corrispondenti a quelli liquidati; e che, inoltre, abbia attribuito esclusivamente a fatto e colpa della L., che, a detta della stessa corte, non ha provato il contrario ex art. 1218 c.c, la responsabilità di quanto accaduto, sul presupposto di una asserita ma non dimostrata esistenza di nesso causale tra il comportamento di L. e l’eventuale cedimento delle palandole.
Le censure sono prive di pregio.
Quanto al primo punto, si osserva che il fatto del cedimento della palancole, che, dedotto dall’attrice quale causa dei danni agli immobili confinanti e alla strada comunale, tale è stato ritenuto dalla corte sulla base dell’accertamento tecnico preventivo ritualmente acquisito al processo, non è specificamente contestato dall’odierna ricorrente; la quale, a fronte dell’affermazione del giudice, secondo cui “sul punto non vi è contestazione della L. che in tal modo conferma gli inequivocabili accertamenti delle APT cui non ha partecipato, ma che ha sostanzialmente accolto”, si è limitata, infatti, a contestare la validità e l’efficacia probatoria di siffatto mezzo di istruzione preventiva – che è stata, invece, a suo dire erroneamente ad esso attribuita dalla corte, anche ai fini dell’accertamento e della liquidazione dei danni – e ad eccepirne, comunque, l’opponibiltà a L., che non ha preso parte al suo espletamento. Con riguardo a quest’ultimo punto, è il caso di chiarire che, se è pur vero che l’accertamento tecnico preventivo non è un mezzo di prova, essendo finalizzato principalmente a “far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose”, che, suscettibili di mutamenti o alterazioni nel tempo, vanno accertati e documentati per essere portati poi alla cognizione del giudice prima che ciò possa accadere, per consentirgli di decidere sulla base delle prospettazioni e deduzioni fatte con riferimento a quelle condizioni ed a quello stato, è altrettanto vero che dagli accertamenti e rilievi compiuti in fase preventiva il giudice può trarre utili elementi che, apprezzati e valutati unitamente e nel contesto delle altre risultanze processuali, possono concorrere a fondare il suo convincimento in ordine alla fondatezza dell’uno o dell’altro assunto.
Nel caso in esame, la corte, come risulta dalla motivazione posta a base della decisione, ha esaminato il materiale probatorio acquisito al processo, compresi gli elementi ed i dati desumibili dall’espletato accertamento tecnico preventivo – non contestati, peraltro, come ha ricordato, dall’odierna ricorrente – e, applicando correttamente, la legge, ha statuito, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c, iuxta alligata et probata.
Ciò ha fatto anche con riferimento alla questione della responsabilità per i danni a causa del cedimento delle palancole, attribuita all’esecuzione non a regola d’arte dell’opera affidata dall’A. alla L. in virtù del contratto di subappalto e, quindi, per violazione delle norme che disciplinano la materia; non senza evidenziare l’inattendibilità e l’infondatezza dell’assunto dell’appellata, che non ha trovato riscontro nelle emergenze processuali, secondo cui, nella fattispecie, essa avrebbe operato in base alle istruzioni ricevute dalla committente-appaltatrice A..
È infondato anche il primo motivo, con cui la ricorrente, denunciando erronea e contraddittoria interpretazione dell’art. 1460 c.c.”, assume che erroneamente la corte ha ritenuto “applicabile” nella fattispecie l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, proposta dall’A. per sospendere il pagamento del corrispettivo, nonostante che la L. avesse adempiuto regolarmente la sua obbligazione, che a norma di contratto consisteva nel “fornire un certo numero di palancole e nell’infiggerle nel terreno, nel noleggiarne l’utilizzo per il tempo necessario alle esigenze del cantiere e nel curarne l’estrazione”.
Si osserva, al riguardo, che è ius reception in giurisprudenza che il principio che sorregge l’eccezione inadimpleti contractus, e che trova la sua enunciazione nella formulazione dell’art. 1460 c.c., trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, è esteso – secondo il principio interpretativo-integrativo correlato all’obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) – alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di collaborazione, di informazione, ecc. Ne consegue che, in sede di valutazione comparativa delle condotte delle parti di un contratto di appalto (art. 1655 e segg. c.c), il giudice non può avere riguardo alle sole obbligazioni principali dedotte in contratto (e, cioè, al pagamento del corrispettivo, per il committente, e al compimento dell’opera, per l’appaltatore), ma anche a quelle cosiddette collaterali di collaborazione, privilegiandone l’apprezzamento quando il loro inadempimento da parte dell’obbligato abbia dato causa a quello del creditore (Cass. n. 387/1997, n. 7701/1994).
Alla luce di tale principio, e considerato, inoltre, con riferimento specifico al contratto di appalto, che il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato (art. 1662 c.c.), rifiutando, ove accerti l’inadempimento dell’appaltatore, il pagamento del corrispettivo in forza dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., non merita censura la statuizione della corte territoriale che ha ritenuto legittimo, nella fattispecie, il rifiuto, da parte dell’A., di pagare il corrispettivo, essendosi accertato non soltanto che L. non aveva eseguito a regola d’arte i lavori commessigli, ma che dagli stessi erano derivati danni a terzi, dei quali sarebbe stata chiamata a rispondere, in definitiva, la stessa A..
Non coglie nel segno neppure la censura formulata con il quarto motivo, con cui la ricorrente si duole della liquidazione equitativa del danno operata dalla corte nell’importo di £ 5.000.000, per il costo delle riparazioni sul marciapiede eseguite direttamente dall’A., osservandosi, al riguardo, che siffatta liquidazione fa seguito all’affermazione della stessa corte, secondo cui i danni reclamati dalla A. sono stati provati nel loro ammontare e, tra questi, evidentemente anche quello del quale si discute, quantificato fin dall’inizio del giudizio dall’attrice nel predetto importo di £ 5.000.000 e dal giudice ritenuto congruo.
Il quinto motivo è infondato, non riscontrandosi, nel regolamento delle spese, la denunciata violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2100,00, di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre accessori di legge.