Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 22 gennaio – 15 febbraio 2008, n. 3798
Svolgimento del processo
Il Tribunale per i minorenni di Milano con decreto 28.8.2008 accoglieva l’istanza presentata da P. R., madre del minore P. P., per ottenere, ai sensi dell’art. 7 legge 15.1.1994, n. 64, in riferimento agli artt. 12, 13, 29 della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 e all’art. 11 Regolamento CE 2201/2003, la riconsegna ed il rimpatrio del figlio nato dalla convivenza con C. P.
Venuta meno la convivenza tra i genitori, nel maggio 2005 la P. aveva adito il Tribunale per i minorenni per chiedere l’affido dei figli N. e P. e per ottenere l’autorizzazione a trasferirsi a Bruxelles per motivi di lavoro. I genitori avevano poi depositato avanti al Giudice onorario una scrittura privata 19.7.2005 con cui avevano concordato che i figli fossero affidati congiuntamente ad entrambi e domiciliati a Bruxelles presso la madre, con facoltà per il padre di trascorrere con essi almeno due fine settimana al mese e due mesi di vacanza durante l’anno. Il Tribunale aveva ratificato l’accordo con decreto 10.1.2006.
I minori si erano trasferiti a vivere a Bruxelles dalla fine di agosto 2005 e vi avevano trascorso l’intero anno scolastico, mantenendo i rapporti con il padre. A fine giugno 2006, venuti i ragazzi a trascorrere un week-end in Italia dal padre, mentre N. faceva regolarmente ritorno a Bruxelles, P. rimaneva con quest’ultimo che il 27.6.2006 comunicava alla madre che il figlio non avrebbe più fatto rientro.
Mentre la P. si rivolgeva alla Procura della Repubblica per i minorenni, il P. presentava istanza urgente al Tribunale per i minorenni con cui chiedeva di disporre in via cautelare e provvisoria la collocazione del figlio presso di lui.
La P. presentava quindi tramite l’Autorità centrale belga in data 13.7.2006 ricorso ai sensi della Convenzione dell’Aja. Il padre si costituiva in giudizio, lamentando il rischio che in caso di ritorno a Bruxelles il minore fosse esposto a pericoli fisici per la preannunciata intenzione di fuggire da casa e psichici per lipotimia e comunque si venisse a trovare in una situazione intollerabile.
Il Tribunale procedeva all’audizione delle parti e del minore e quindi pronunciava il ricordato decreto. Osservava che non sussisteva il fondato rischio per il minore di essere esposto per il fatto del ritorno a Bruxelles a pericoli fisici e psichici e comunque una situazione rientrante nella previsione dell’art. 13 lett. b) Convenzione di Bruxelles. Il minore aveva infatti reso una descrizione della vita a Bruxelles con la madre e la sorella priva di eventi traumatici, con una vita variamente articolata tra scuola, sport e divertimenti, simile alla vita pregressa in Italia e con una sostanziale integrazione nel nuovo ambiente. Dalle descrizioni fornite da P. la madre non risultava né assente né dedita a maltrattamenti, anche se certamente severa. La stessa relazione della psicologa consulente di parte, che aveva somministrato al bambino dei test, non evidenziava specifici elementi di negatività legati al rapporto con la madre.
Non vi era stato calo di rendimento scolastico.
Non poteva autorizzarsi la permanenza di P. in Italia in violazione del diritto di custodia della madre sulla base della volontà manifestata in tal senso dal bambino, ancorché espressa in modo reiterato e deciso. La questione relativa al miglior collocamento di P. andava decisa nella sede competente, avanti al giudice naturale e quindi non in sede di procedimento di riconsegna o rimpatrio.
Ancora il Tribunale sottolineava che sussisteva una situazione di sofferenza di P., ma tale situazione nasceva dalla situazione emotiva del bambino, i cui parametri erano alterati e parziali.
Da tale punto di vista una parte della responsabilità era del padre che aveva assecondato le fantasie di P. in ordine al rientro in Italia, senza tentare di risolvere i problemi del bambino insieme all’altro genitore o in sede giudiziaria. Il P. trattenendo il minore in Italia aveva lasciato tutta la responsabilità della scelta su quest’ultimo, per poi rivolgersi all’Autorità giudiziaria soltanto dopo il fatto compiuto. Avverso il decreto ricorre per cassazione il P. articolando quattro motivi. Resiste con controricorso la P.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 12 della Convenzione di New York, dell’art. 13, comma 2, della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980, dell’art. 6 capo b) della Convenzione di Strasburgo del 1996. Sottolinea che la verifica della capacità di discernimento del minore ai sensi dell’art. 13, comma 2, della Convenzione dell’Aja deve essere un atto dovuto e propedeutico alla decisione di avviare la procedura di ascolto, che può essere omessa soltanto quando sia appurato in concreto che il minore non è assolutamente in grado di distinguere ciò che è bene o male per lui. Il Tribunale per i minorenni non avrebbe motivato in ordine alle ragioni per cui non era stata accolta la richiesta del P. che il minore venisse sentito alla presenza di personale qualificato.
Ancora il Tribunale non avrebbe effettuato gli approfondimenti necessari richiesti dalla Convenzione di Strasburgo prima di adottare qualsiasi decisione. Non si sarebbe preoccupato di avere informazioni sufficienti e non avrebbe tenuto debito conto dell’opinione espressa dal minore, riconoscendo implicitamente la “sufficiente capacità di discernimento”. Il ricorrente ha pertanto formulato il seguente quesito “Nel caso in cui il Tribunale per i Minorenni sia chiamato a decidere sull’esistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 13 lett. B) della Convenzione dell’Aja del 1980, il mancato accertamento della capacità di discernimento del minore, da effettuarsi con specifici strumenti medici, è da considerarsi violazione delle norme previste dall’art. 12 della Convenzione di New York, dell’art. 13, comma 2, della Convenzione dell’Aja del 1980 e dell’art. 6, capo b) della Convenzione di Strasburgo?”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce difetto e contraddittorietà della motivazione. Il provvedimento impugnato non avrebbe considerato importanti elementi probatori, come si evincerebbe dal fatto che in una nota (p. 5, note, decr. impugnato) si da atto che il minore ha reso dichiarazioni non verbalizzate. Difetterebbe pertanto l’indagine sulla completezza della volontà del minore desumibile soltanto dalla verbalizzazione integrale. Inoltre il Tribunale avrebbe utilizzato ai fini della motivazione dichiarazioni non verbalizzate, che di conseguenza non potevano essere considerate rilevanti. Ancora la motivazione sarebbe contraddittoria avendo espresso l’avviso che la volontà del minore di non rientrare a Bruxelles fosse stata manifestata in modo reiterato e deciso e subito dopo ritenuto che tale volontà derivasse da una situazione emotiva in cui parametri erano alterati e parziali.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 115 c.p.c. ed omessa valutazione delle prove.
La Convenzione dell’Aja del 1980 non fornisce la definizione di residenza abituale, che va desunta dalle norme di diritto interno – artt. 43 e 144 c.c. – che debbono armonizzarsi con quelle convenzionali. Il concetto di residenza abituale espresso dalla Convenzione s’identifica, secondo la giurisprudenza, nella cd. residenza affettiva, vale a dire il luogo in cui il minore custodisce e coltiva i suoi più radicati e rilevanti legami affettivi e i suoi reali interessi. Poiché P. aveva trascorso nove anni della propria vita a Milano e otto mesi a Bruxelles, ne derivava che la residenza affettiva andava identificata in Milano.
Il Tribunale di Milano nel ritenere diversamente avrebbe motivato in termini succinti, sì che la motivazione espressa sarebbe censurabile in cassazione. Ancora il Tribunale avrebbe omesso di valutare molti elementi probatori offerti dal ricorrente, tra cui le lettere del minore al padre, da cui si evincerebbe la solitudine, la paura, la nostalgia, i disagi fisici, poi sfociati nel tentativo di fuga posto in atto dopo l’emanazione del provvedimento del Tribunale per i minorenni. Il Tribunale non avrebbe considerato il grave rischio di un pericolo fisico per il minore.
4. Va preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse, essendo pacifico, si afferma, che il provvedimento ha avuto esecuzione e che il suo eventuale annullamento non potrebbe portare ad alcun risultato pratico. L’eccezione è infondata. Se è vero, infatti, come ha osservato il Tribunale, che spetta al giudice naturale la cognizione del giudizio per la modifica dei provvedimenti in ordine alla custodia del minore, esaurendosi il provvedimento relativo al rimpatrio con l’avvenuta esecuzione, va subito aggiunto che la controricorrente afferma, ma non dimostra in alcun modo che il provvedimento impugnato abbia avuto esecuzione. Né può questa Corte a tanto provvedere d’ufficio.
5. Il primo motivo di ricorso non è fondato. Sostiene il ricorrente che dal combinato disposto degli artt. 12 della Convenzione di New York, 13, comma 2, della Convenzione dell’Aja del 1980 e 6, capo b) della Convenzione di Strasburgo, si ricaverebbe l’obbligo per il giudice, nell’ambito del procedimento diretto al rimpatrio del minore, di procedere all’audizione dello stesso tutte le volte in cui sia accertata la sua capacità di discernimento. Tale audizione avrebbe dovuto essere effettuata con il ricorso a personale medico e non direttamente dal giudice, in conformità alle istanze svolte in tal senso dal P. Va premesso che l’art. 13, comma 2, della Convenzione de L’Aja riguarda un’ipotesi di esclusione dell’ordine di rimpatrio (per la quale non è richiesto il rischio di pericolo fisico o psichico o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile), che ricorre allorché il minore vi si oppone, sempre che costui abbia raggiunto “un’età ed un grado di maturità” tali da rendere “opportuno tener conto del suo parere”. L’indagine sulla maturità del minore è testualmente subordinata al compimento di un’età (e di un grado di maturità) del soggetto, al di sotto della quale – secondo comuni nozioni di esperienza e prudenza, apprezzabili dal Giudice del merito – è sconsigliabile dar peso decisivo al suo parere, se contrastante con la presunzione, sulla quale è fondata la Convenzione, di prevalente interesse del minore illecitamente sottratto a tornare presso l’affidatario. (Cass. 27.7.2007, n. 16753). Le modalità con cui il giudice accerta la sussistenza della capacità di discernimento del minore non sono preordinate dalla Convenzione, sì che il giudice non è tenuto a procedere a consulenza tecnica medico-legale, com’è stato chiesto dal ricorrente. L’art. 11, comma 2, Regolamento CE 2201/2003 nel regolare il procedimento previsto dalla Convenzione dell’Aja dispone poi che “Nell’applicare gli articoli 12 e 13 della convenzione dell’Aia del 1980, si assicurerà che il minore possa essere ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità”, senza prescrivere che l’audizione del minore debba” avvenire in forme particolari. Anche gli artt. 12, comma 2, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (che fa obbligo di dare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”) e 6, lett. b) della Convenzione di Strasburgo del 25.1.1996 sui diritti dei bambini (che prevede che, nel caso in cui il bambino abbia un discernimento sufficiente, si debba “consulter dans les cas appropriés l’enfant personnellement, si nécessaire en prive, elleméme ou par 1’intermédiaire d’autres personnes ou organes, sous une forme appropriee à son discernement, à moins que ce ne soit manifestement contraire aux intéréts supérieurs de l’enfant”) non fanno obbligo di procedere all’audizione del minore secondo modalità particolari, rimettendo anzi la Convenzione di Strasburgo l’eventuale opzione per una modalità protetta o con l’intervento di esperti al prudente apprezzamento del giudice.
Nel caso in esame il Tribunale ha chiaramente sottolineato che l’esperimento di indagini più approfondite sulla personalità del minore, tra cui anche un’eventuale c.t.u., si sarebbe resa opportuna nel futuro ed eventuale giudizio avanti al giudice naturale in ordine alla modifica delle condizioni di affidamento e custodia, ma era superflua in sede di provvedimento urgente sul rimpatrio, anche alla luce della circostanza che era stata acquisita agli atti la relazione redatta dal c.t. di parte ricorrente. Ed è costante nella giurisprudenza di questa Corte il rilievo che il mancato ricorso alla consulenza tecnica o comunque alla collaborazione di un esperto è sindacabile in sede di legittimità soltanto in quanto non adeguatamente motivato, rientrando altrimenti nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice (cfr. ex multis Cass. 27.10.2004, n. 20814; Cass. 4.6.2007, n. 20814). Nel caso in esame il Tribunale per i minorenni ha ritenuto che la volontà di P. di restare in Italia con il padre scaturisse da una situazione emotiva del bambino alterata, che derivava dal comportamento del padre che aveva alimentato le speranze del minore di ritornare in Italia senza affrontare insieme all’altro genitore le difficoltà vere o presunte che il minore incontrava ad inserirsi nel nuovo ambiente di Bruxelles e senza in alternativa rivolgersi al giudice. In sostanza C. P. aveva lasciato gravare su P. l’intera responsabilità della scelta di non rimpatriare, per rivolgersi al giudice soltanto dopo e tardivamente.
Il Tribunale ha dunque adeguatamente motivato le ragioni per cui riteneva la volontà di P. di restare in Italia non sufficiente per non procedere al rimpatrio presso il genitore cui era affidata la custodia del minore e tale apprezzamento, in quanto adeguatamente motivato, è incensurabile in questa sede (cfr. ancora Cass. 27.7.2007, n. 16753). Occorre pertanto formulare il seguente principio di diritto: “L’art. 13, comma 2, della Convenzione de L’Aja del 1980 sulla sottrazione internazionale di minori riguarda un’ipotesi di esclusione dell’ordine di rimpatrio che ricorre allorché il minore vi si oppone, sempre che costui abbia raggiunto “un’età ed un grado di maturità” tali da giustificare il rispetto della sua opinione. Nell’indagine sul raggiungimento da parte del minore di un’adeguata capacità di discernimento, al fine di esprimere una volontà idonea ad opporsi al rimpatrio, il giudice non è tenuto a procedere all’audizione del minore secondo modalità particolari, in particolare procedendo all’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio, purché le ragioni del rifiuto siano adeguatamente motivate”.
6. Il secondo motivo è in parte inammissibile. Nell’affermare che il Tribunale avrebbe omesso di valutare importanti elementi probatori, perché, come risulta da una nota in calce ad un passo della motivazione del decreto impugnato (nota 7, p. 4), alcune dichiarazioni del minore non sarebbero state verbalizzate, il ricorrente non indica quali sarebbero tali dichiarazioni (risulta dal decreto impugnato che P. è stato sentito in udienza e quindi in presenza delle parti) e formula pertanto una censura generica. Né può ritenersi che l’aver considerato dichiarazioni rese dal minore in presenza delle parti, ancorché non verbalizzate, rientri nella previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c. per non aver valutato in modo complessivo la volontà del minore. Può anzi sottolinearsi che è semmai vero il contrario, avendo il Tribunale cercato, in uno sforzo di completezza, di considerare anche dichiarazioni rese dal minore che non erano state verbalizzate. Infine è infondata la censura con cui il ricorrente sostiene che la motivazione del Tribunale sarebbe contraddittoria per aver sostenuto dapprima che la volontà del minore di rimanere in Italia sarebbe stata espressa più volte e in modo deciso e poi che tale volontà era viziata da una situazione emotiva alterata. Le due circostanze infatti non sono affatto incompatibili. È ben possibile che la volontà di un soggetto sia da un lato assolutamente decisa e costante e dall’altro che essa si fondi su una visione alterata della realtà, in presenza di forti fattori emotivi.
7. Anche il terzo motivo non è fondato. Il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del requisito della residenza abituale del minore a Bruxelles, che costituisce il presupposto per invocare la tutela prevista dall’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 1980. In proposito questa Corte ha sottolineato che in tema di sottrazione internazionale del minore, per azionare le regole di applicabilità della Convenzione de L’Aja 25 ottobre 1980 ed accertare l’illiceità del trasferimento, o del mancato rientro, del minore, occorre verificare, da un lato, che il trasferimento o il mancato rientro siano avvenuti in violazione dei diritti di custodia o di affidamento assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro, e, dall’altro, che tali diritti siano effettivamente esercitati, congiuntamente individualmente, al momento del trasferimento del minore o del mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze (Cass. 28.12.2006, n. 27593). Quanto alla nozione di residenza abituale si è affermato che essa corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass. 19.10.2006, n. 22507; Cass. 14.7.2006, n. 16092). Ora il Tribunale per i minorenni ha adeguatamente motivato (sia pur con rilievi svolti diffusamente in tutto il provvedimento) in ordine alla sussistenza del requisito della residenza abituale di P. individuandolo in Bruxelles alla luce del fatto che: a) il trasferimento era avvenuto da più di otto mesi a seguito dell’accordo tra i genitori, ratificato dal Tribunale; b) P. frequentava la scuola ed era inserito adeguatamente, praticando sport e divertimenti ed avendo adeguate frequentazioni con coetanei; c) Bruxelles era la residenza della madre, cui era stata attribuita la custodia del minore, e della sorella N., con cui viveva. Va pertanto in proposito ribadito il seguente principio di diritto: “In tema di sottrazione internazionale di minori la nozione di residenza abituale del minore, prevista dall’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 1980, va individuata con riferimento al luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato”.
8. Il secondo profilo del terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile, là dove lamenta che il Tribunale non abbia esaminato elementi di prova, senza peraltro specificarli sì che per questo aspetto la censura è generica, ed in parte è infondato. Infatti non risponde a verità che il Tribunale non abbia esaminato le lettere del minore al padre, tanto che tali lettere sono citate nelle note in calce alla motivazione del provvedimento impugnato (cfr. nota 8, pag. 5) né che non abbia valutato il pericolo di danni fisici in cui poteva incorrere P., avendo anzi escluso il pericolo di un pregiudizio di tal tipo in base al rilievo che il bambino appariva adeguatamente inserito nel nuovo ambiente ed aveva anche un buon rendimento scolastico. Né infine la Corte può prendere in esame fatti sopravvenuti, come la tentata fuga di P., neppure documentati. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente, liquidate in Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000 per onorari.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge.