Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 3 luglio 2007 – 3 gennaio 2008, n. 4
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del 7 ottobre 2005, il Tribunale per i minorenni di Firenze, in accoglimento del ricorso depositato da L.G., volto ad ottenere giudizialmente il consenso al riconoscimento del figlio naturale L.B., nato nel mese di (Omissis), già riconosciuto dalla madre F.B., autorizzò il riconoscimento.
La sentenza fu appellata da quest’ultima, che richiese che al L. fosse negata l’autorizzazione al riconoscimento in considerazione dell’interesse prioritario del minore, nei cui confronti il padre naturale si sarebbe proposto solo tardivamente, a distanza di diversi anni dalla nascita dello stesso, senza avergli in precedenza prestato assistenza o sostentamento morale e materiale, e, pertanto, si sarebbe presentato come figura negativa e perturbante.
2. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata l’11 maggio 2006, confermò la decisione del Tribunale, rilevando come dalla documentazione in atti si evincesse che il L., sul quale il Servizio sociale aveva espresso un giudizio positivo ed incoraggiante, aveva ripetutamente cercato di instaurare un rapporto significativo con il figlio, dopo la iniziale difficoltà avvertita di ricoprire il ruolo genitoriale, dovuta alla giovanissima età dello stesso L., appena diciottenne all’epoca della nascita del bambino; laddove l’atteggiamento di totale preclusione della madre, che, nel frattempo, aveva costituito un altro nucleo affettivo, aveva reso più difficile il recupero di una sempre auspicabile bigenitorialità. Né vi era traccia, secondo la Corte di merito, di un turbamento psicofisico del minore da ricollegare al preteso disinteresse del padre nei suoi confronti. Nemmeno poteva, in considerazione dell’età del minore, ravvisarsi, secondo la Corte, in ipotesi di cambiamento del cognome, la necessità di salvaguardarne la identità Per converso, e proprio nell’ottica dell’interesse del minore, non poteva non tenersi conto della portata ampiamente positiva, dal punto di vista sociale, relazionale e personale, dell’essere lo stesso indicato come figlio di entrambi i genitori.
Del resto, rilevò ancora la Corte toscana, la tutela accordata dal legislatore al diritto del padre biologico di riconoscere il proprio figlio naturale gode di copertura costituzionale.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la B. sulla base di un unico, articolato motivo, illustrato anche da successiva memoria. Ha resistito con controricorso il L.
Motivi della decisione
1. – Deve, preliminarmente, dichiararsi la irricevibilità, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 1, dei documenti depositati contestualmente al controricorso, in quanto la predetta disposizione del codice di rito non ammette, nel giudizio di legittimità, il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne che di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.
2.1. – Con l’unica, articolata censura, si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 250 cod. civ., comma 4, nonché omessa e/o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo del giudizio. La Corte di merito avrebbe attribuito, nella propria decisione, valore preminente al diritto del genitore di riconoscere il proprio figlio rispetto a quello del minore al riconoscimento: diritto, quest’ultimo, del pari costituzionalmente garantito, ma di rango più elevato, ed al quale anche il diritto del genitore va sacrificato. Nella specie, pertanto, la indagine da compiere non avrebbe dovuto essere tanto quella sulla figura del padre, o sui rapporti tra lui e la madre del minore, quanto, piuttosto, quella sulle eventuali ripercussioni che la intermittenza dei rapporti tra padre e figlio, e la ricomparsa del primo, a distanza di anni, nella vita del figlio potesse avere sullo stesso, sì da incidere sul suo sviluppo psico-fisico. L’interesse del minore avrebbe potuto essere accertato solo con un’apposita c.t.u. psicologica sul minore stesso, infatti reiteratamente richiesta dalla attuale ricorrente, in primo grado come nel giudizio di appello: richiesta non ammessa dalla Corte toscana (nonostante la produzione di una perizia di parte che evidenziava il turbamento che l’irrompere sulla scena del padre naturale avrebbe potuto generare nel bambino), così come non erano state ammesse talune deposizioni volte a fornire la prova, in concreto, della incidenza negativa che sulla vita del figlio avrebbe potuto svolgere il rapporto con un padre fino ad allora del tutto disinteressato.
2.2. – Nel ricorso, si formula, conclusivamente, il seguente quesito di diritto: “se l’interesse del figlio, di cui all’art. 250 cod. civ., comma 4, debba intendersi come mero interesse ovvero in esso debba essere ricompreso ogni diritto costituzionalmente garantito del minore, fra cui il diritto alla integrità psico-fisica, se l’interesse del figlio debba considerarsi esistente astrattamente ovvero esso debba essere oggetto di indagine da parte del giudice del merito, al fine di escludere comunque la lesione dei diritti del minore, ed in particolare l’esistenza di un danno alla sua salute psicofisica, e se, infine, di fronte a questi ultimi diritti, quello del genitore a riconoscere tardivamente il figlio possa essere sacrificato.
3.1. – Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
3.2. – Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne già riconosciuto da un genitore costituisce – come ripetutamente sottolineato da questa Corte – oggetto di un diritto soggettivo dell’altro genitore, costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost., entro i limiti stabiliti dalla legge (art. 250 cod. civ.), cui rinvia la Costituzione, che non si pone in termini di contrapposizione con l’interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che è segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all’identità personale nella sua integrale e precisa dimensione psicofisica. Pertanto il mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto del minore non costituisce ostacolo all’esercizio del diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento, nel caso di opposizione del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, in quanto detto interesse va valutato in termini di attitudine a sacrificare la genitorialità, riscontrabile soltanto qualora si accerti l’esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità (v., sul punto, Cass., sentenze n. 23074 e n. 2878 del 2005, n. 21088 del 2004, n. 11949 del 2003). La relativa verifica, che deve, ovviamente, essere compiuta in concreto, è rimessa al giudice del merito, le cui conclusioni, ove logicamente e compiutamente motivate, si sottraggono ad ogni sindacato da parte di questa Corte.
3.3. – Deve, alla stregua di quanto fin qui esposto, affermarsi il seguente principio di diritto: “L’interesse del figlio minore infrasedicenne al riconoscimento della paternità naturale, di cui all’art. 250 cod. civ., è definito dal complesso dei diritti che a lui derivano dal riconoscimento stesso, ed, in particolare, dal diritto alla identità personale nella sua precisa ed integrale dimensione psicofisica. Pertanto, in caso di opposizione al riconoscimento da parte dell’altro genitore, che lo abbia già effettuato, il mancato riscontro di un interesse del minore non costituisce ostacolo all’esercizio del diritto del genitore richiedente, in quanto il sacrificio totale della genitorialità può essere giustificato solo in presenza di gravi ed irreversibili motivi che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, ed in particolare della sua salute psico-fisica. La relativa verifica va compiuta in termini concreti dal giudice del merito, le cui conclusioni, ove logicamente e compiutamente motivate, si sottraggono ad ogni sindacato di legittimità”.
3.4. – Di tale principio la Corte di merito ha fatto, nella specie, buon governo. Essa ha, infatti, anzitutto, accertato, sulla scorta dei dati probatori acquisiti al suo vaglio, che il padre del piccolo Lorenzo non è affatto quella figura “perturbante e negativa” che l’attuale ricorrente aveva descritto. Tale conclusione trova conforto non solo nei ripetuti tentativi compiuti dal L. di instaurare un rapporto significativo con il figlio, e, così, di riconquistare il proprio ruolo genitoriale, ma altresì nei giudizi espressi dal Servizio sociale nei suoi confronti, i quali testimoniano dell’assenza in lui di alcun atteggiamento amorale o asociale.
A fronte di tale complessivo quadro probatorio, acquisito al suo esame e della cui valutazione ha dato conto con motivazione adeguata ed esaustiva, la Corte ha escluso che alcun rilievo possa essere attribuito al presunto, iniziale disinteresse del L. verso il figlio, desunto dalla madre del bambino dalla discontinuità delle relazioni interpersonali tra il padre ed il piccolo: atteggiamento ragionevolmente attribuito, piuttosto, dalla Corte toscana, alla difficile situazione nella quale erano venuti a trovarsi i genitori di L., ancora giovanissimi, studenti ed economicamente dipendenti dalle rispettive famiglie, e, in particolare, alla immaturità dell’allora diciottenne L. In siffatta situazione, il giudice di secondo grado, stigmatizzato l’atteggiamento della B. di totale chiusura verso un recupero del rapporto tra padre e figlio, ha escluso che la lamentata presa di distanza del L. dalla nascita del bambino costituisca motivo sufficiente a sacrificare il diritto del primo ad esercitare un ruolo nella vita futura del secondo, avuto riguardo alla mancanza di alcun elemento idoneo a comprovare l’asserito grave turbamento psicofisico che al minore sia derivato dal preteso disinteresse mostrato dal padre verso di lui, che non sia piuttosto derivato dalla sua forzata lontananza dal bambino, verificatasi negli ultimi due anni per effetto della condotta della madre.
3.5. – In relazione a tale articolata esposizione delle ragioni che sorreggono con adeguato percorso logico la conclusione ora censurata, la ricorrente contesta, tra l’altro, la mancata effettuazione di una c.t.u. psicologica sul minore, come la mancata ammissione di una serie di deposizioni testimoniali volte a fornire la prova del comportamento del L. Ma, per smentire la fondatezza del rilievo, è sufficiente sottolineare che la Corte Territoriale, lungi dall’obliterare le richieste istruttorie, ne ha adeguatamente motivato la superfluità al fine della verifica cui essa era chiamata, concludendo, quanto alla c.t.u., che essa era addirittura inopportuna perché avrebbe finito per ripercuotersi negativamente sul minore, e, con riguardo alle ulteriori richieste, che i capitoli di prova formulati, atteso il tenore degli stessi, non avrebbero in nessun caso offerto un contributo serio alla dimostrazione rigorosa della sussistenza attuale di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ritenere probabile una forte compromissione della crescita psicofisica del minore derivante dalla ripresa dei rapporti con il padre. 3.6. – La pronuncia impugnata da, infine, conto puntualmente delle ragioni del proprio convincimento in ordine alla mancanza di alcun pregiudizio per il minore dall’eventuale acquisizione del cognome paterno, avuto riguardo alla giovanissima sua età, e, quindi, per un verso, alla modesta entità del suo entourage sociale, per l’altro, alla inesistenza della necessità di salvaguardare la sua identità, ancora in itinere. Per converso, la Corte di merito ha posto in evidenza l’interesse del minore a sapere di non essere figlio di padre ignoto, nonché ad essere indicato come figlio di entrambi i genitori, ed il contributo al suo corretto sviluppo psico-fisico che potrà offrire l’apporto affettivo, educativo ed assistenziale del padre.
4. – Conclusivamente, a fronte di una così puntuale ed articolata esposizione delle ragioni che lo hanno motivato, l’apprezzamento del giudice di secondo grado non è suscettibile di censure ad opera di questa Corte.
5. – Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2100,00, di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.