Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 15 novembre 2007 – 15 gennaio 2008, n. 657
Svolgimento del processo
La s.r.l. R. Maceri Centro Italia (di seguito R. ) svolge attività di ritiro e smaltimento rifiuti di qualunque natura presso ditte private ed enti pubblici. Con verbale di ispezione congiunta Inps-Inail del 9 gennaio 2001 detti Enti le hanno contestato di avere utilizzato come mera manodopera i soci della s.r.l. A. Services, che pertanto dovevano considerarsi lavoratori dipendenti della prima società.
La soc. R. ha proposto avanti al Tribunale di Arezzo azione di accertamento negativo dell’ obbligo contributivo.
I soci della A. S. Dante, M. Paolo e C. Pietro a loro volta hanno proposto azione diretta ad accertare la natura autonoma delle loro prestazioni rese in ragione del vincolo sociale e conseguentemente la legittimità dei versamenti contributivi effettuati dalla A. nella Gestione Commercianti Inps.
Le domande, accolte dal primo giudice, sono state respinte dalla Corte d’Appello di Firenze con sentenza 14 dicembre 2004/7 gennaio 2005 n. 1.
Il giudice d’appello ha rilevato che dagli accertamenti ispettivi, avallati dalla prova testimoniale espletata in primo grado, è risultata la «totale assenza di una struttura aziendale-imprenditoriale dell’A. , idonea a realizzare i presupposti essenziali per l’esercizio di un’attività autonoma basata su una organizzazione minimale di fattori della produzione con assunzione del relativo rischio d’impresa». Ha rilevato che «nessuna prova è stata fornita circa una sede aziendale della A. ove venisse predisposto ed organizzato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Dagli accertamenti ispettivi è risultato, al contrario, che la società A. non aveva alcuna sede operativa, né attrezzature ed automezzi propri o presi in affitto, essendo quelli utilizzati in prevalenza di pertinenza della R. . Inoltre i soci della A. lavoravano congiuntamente al personale della R. , per la quale prestavano attività in via esclusiva, alcuni di essi impartendo anche direttive; nessun contratto scritto risultava stipulato tra le due società (salva la scrittura privata 4 dicembre 1998, privo di data certa) e nessun bene era stato annotato sul “libro cespiti ammortizzabili” della A. .
Risultava soltanto emessa da parte della R. una fattura di subaffitto di locali uso ufficio in via … omissis … a Civitella Val di Chiana, per il periodo 1^ giugno-21 dicembre 1999, locali peraltro mai utilizzati».
Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi per Cassazione, notificati entrambi il 28 giugno 2005, la soc. R. (RG 18085/2005), con tre motivi, ed i tre lavoratori (RG 18072/2005), con unico motivo.
L’Inps si è costituito con controricorso, resistendo.
Motivi della decisione
Va preliminarmente riunito il ricorso RG 18085 a quello recante il numero RG 18072, in quanto ricorsi proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo del ricorso RG 18085 la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ., dell’art. 116 c.p.c; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente un’ipotesi di appalto illecito di manodopera. Afferma che il convincimento del giudice d’appello si è formato esclusivamente sulla base del verbale ispettivo; Riporta ed analizza le dichiarazioni testimoniali, per inferirne che queste, lungi dal confermare le risultanze ispettive, negano la confusione di attività e personale posta a base della sentenza impugnata; conclude che l’Inps, cui incombeva l’onere, non ha dimostrato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i soci dell’A. e la R. .
Con il secondo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione 1, 3 e 5 legge 1960, n. 1369 e 1655 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), contesta la applicazione che la sentenza impugnata ha fatto delle norme invocate e della giurisprudenza di legittimità in materia; in particolare contesta alla sentenza impugnata di non avere considerato che la società R. aveva appaltato alla A. un atipico servizio lecito, quale la movimentazione di merce; che il servizio costituiva una sezione del processo produttivo, e non l’intero ciclo produttivo, svolto autonomamente; che infine, l’organizzazione della forza lavoro era rimessa esclusivamente agli organi della A. , che sceglievano quanti e quali operatori di volta in volta, impegnare. I due motivi, da esaminare congiuntamente per là doro connessione, vanno rigettati. In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante da luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dall’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, applicabile al caso di specie ratione temporis. L’accertamento dei presupposti per l’esistenza di un appalto vietato da luogo a un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. 7 febbraio 2004 n. 2356, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4181), come nella specie.
Invero il principio di acquisizione della prova, costantemente affermato da questa Corte (Cass. 18 aprile 2005 n. 8951, Cass. 22 luglio 1963 n. 2015), comporta che il giudice del merito possa utilizzare le risultanze istruttorie comunque ottenute, quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale Si sono formate, le quali concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice. Il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ. non comporta che la prova dei fatti costitutivi della domanda debba desumersi unicamente da quanto dimostrato dalla parte onerata, senza poter utilizzare altri elementi acquisiti al processo, poiché esso assolve alla limitata funzione di individuare la parte che deve risentire delle conseguenze del mancato raggiungimento della prova dei fatti della cui prova è gravata.
Con il terzo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1180, 2036, 2041 cod. civ. (art. 360, nn. 3 c.p.c), censura la sentenza impugnata per non avere fatto coerente applicazione del principio, pur ricordato, enunciato da Cass. 7 luglio 2004 n. 12509, secondo cui il pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro apparente ha valenza satisfattiva. Se la Corte d’Appello avesse nettamente applicato il principio sopra indicato, avrebbe dovuto mandare assolta la società R. dall’addebito contributivo.
Questo motivo è fondato, nei limiti di seguito precisati. Questa Corte ha già esaminato identica fattispecie, di contributi previdenziali pagati dal datore di lavoro apparente, ed identica questione di diritto, del loro valore satisfattivo, affermando il principio che in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali; rimane, tuttavia, salva l’incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell’art. 1180 c.c., comma 1, ivi compreso lo stesso datore di lavoro fittizio (Cass. 7 luglio 2004, n. 12509; Cass. 24 marzo 2004, n. 5915; Cass. 29 maggio 2006 n. 12735) Quanto all’argomento apparentemente ostativo tratto dall’articolo 2036, primo comma, codice civile, secondo cui chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile, può ripetere ciò che ha pagato, con ciò eliminando l’effetto satisfattivo a favore del terzo, questa Corte ha già negato che possa considerarsi scusabile l’errore sull’identità dell’effettivo debitore di chi è corresponsabile della violazione dell’articolo 1 della legge 1369 del 1960.
Tale conclusione è conforme alle finalità della legge n. 1369/1960, che mira ad assicurare al lavoratore una maggiore protezione e non certo intende esporre lo stesso ad azioni di ripetizione delle retribuzioni già corrispostegli, né, con riferimento ai contributi previdenziali, intende consentire che sia annullata la posizione contributiva costituita a suo favore da parte del datore di lavoro “apparente” (ciò che, se non operasse la imputabilità dei versamenti al debito contributivo oggettivamente inerente alle prestazioni lavorative in questione, potrebbe avvenire in ogni tempo).
A tale conclusione non osta, come preteso dalla difesa dell’Inps nella discussione orale, il principio di diritto affermato da Cass. Sez. un. 26 ottobre 2006 n. 22910, secondo cui gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, gravano solo sull’appaltante (o interponente), sicché non può configurarsi una concorrente responsabilità dell’appaltatore (o interposto) in virtù dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi.
Tale principio, tenuto presente sia dalla sentenza impugnata sia dalla giurisprudenza di legittimità citata, esclude una responsabilità concorrente dell’interposto, ma non impinge sulla norma dell’art. 1180, 1^ comma, cod. civ. relativo all’effetto liberatorio del pagamento del terzo, quale deve ritenersi l’interposto, proprio in conseguenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite. Si deve perciò ritenere superato il contrario orientamento di cui a Cass. 9 ottobre 1995, n. 10556, e ribadire il principio di diritto che i pagamenti dei contributi da parte dell’intermediario (cd. datore di lavoro apparente) hanno effetto estintivo del debito contributivo del datore di lavoro effettivo, totale o parziale, a secondo della loro entità e del regime contributivo del rapporto di lavoro effettivo e di quello apparente.
La sentenza impugnata, che ha affermato tale principio di diritto ed ha accertato la relativa circostanza di fatto, non è stata consequenziale nel decisum, perché ha respinto per intero l’azione di accertamento negativo dell’ obbligo contributivo. La sua cassazione non consente però la decisione nel merito, perché è necessario accertare se i pagamenti effettuati dal terzo erano interamente o parzialmente satisfattivi, e quindi in quale misura liberatori dell’obbligo contributivo della ricorrente, in base al regime contributivo proprio della cooperativa e della società. S. Dante, M. Paolo e C. Pietro, con unico motivo di ricorso, intitolato violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., 2345 cod. civ.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c), avanzano due doglianze distinte, anche se tra loro consequenziali, e cioè che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi: a) sulla loro domanda di accertamento del carattere autonomo delle prestazioni per l’A. Service e della R. ; b) sulla legittimità dei versamenti contributivi conseguenti alla loro iscrizione alla Gestione Commercianti.
La prima questione è assorbita dal rigetto dei primi due motivi del ricorso della R. , la seconda è fondata per le ragioni qui esposte in relazione al terzo motivo del medesimo ricorso.
In conclusione la sentenza impugnata va cassata, e là causa rimessa ad altro giudice, designato nella Corte d’Appello di Bologna, la quale si atterrà al seguente principio di diritto: «in tema di intermediazione vietata di manodopera i pagamenti dei contributi da parte del datore di lavoro apparente hanno effetto estintivo del debito contributivo del datore di lavoro effettivo, totale o parziale, a secondo della loro entità e del regime contributivo del rapporto di lavoro effettivo e di quello apparente». Essa provvederà altresì alle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
riunisce il ricorso RG 18085/2005 al ricorso RG 18072/2005; accoglie il terzo motivo del ricorso n. 18085 e la seconda doglianza del ricorso n. 18072, respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bologna.