Cassazione – Sezione terza – sentenza 15 aprile 2008, n. 9898
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29.2.1992 P.M., P..P. e B..B, in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore F..P., hanno convenuto davanti al Tribunale di Padova F..D. , F.G., la s.r.l. S. e la s.r.l. G. , chiedendone la condanna in via solidale al risarcimento dei danni subiti dagli attori a seguito della morte per infortunio sul lavoro del loro congiunto, G.C..P.
L’infortunio si è verificato presso lo zuccherificio ISI A. di (Omissis), durante l’esecuzione di opere edilizie.
I lavori erano stati appaltati alla s.r.l. S. , la quale ha a sua volta subappaltato alla s.r.l. E. l’esecuzione della pavimentazione di un cortile. La E. ha affidato all’impresa individuale di G..P. l’esecuzione della gettata in calcestruzzo, richiedendo a tale scopo l’intervento di un’autopompa di proprietà della s.r.l. G. , manovrata dal dipendente della stessa società, G..F. Mentre il P. spargeva il calcestruzzo tramite la proboscide dell’autopompa, il F. – che manovrava il braccio della gru a cui la proboscide era collegata – ha urtato i soprastanti fili dell’alta tensione, provocando la morte del P., rimasto fulminato.
Il convenuto F. è rimasto contumace. Gli altri convenuti si sono costituiti negando le proprie responsabilità e chiamando in causa la E. , la s.r.l. MCM E. – a cui era affidata la direzione dei lavori del cantiere – e le rispettive assicuratrici, s.p.a. RAS, Reale Mutua di Assicurazioni e Milano Assicurazioni.
Nel corso del giudizio è stata autorizzata la chiamata in causa dell’Inail, che ha chiesto il rimborso di L. 176.382.715, erogate agli attori. Esperita l’istruttoria, con sentenza n. 1243 del 1997 il Tribunale di Padova ha dichiarato corresponsabili del sinistro, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., le s.r.l. S. ed E. , nella misura del 25% a testa, e la s.r.l. G. , nella misura del 50%, ed ha condannato in via solidale sia le predette società, sia le tre compagnie assicuratrici chiamate in giudizio, al risarcimento dei danni, liquidati in complessive L. 362.325.696, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali ed oltre alle spese processuali. Le ha altresì condannate a rimborsare all’Inail la somma di L. 176.382.715. Su appello principale della RAS, e su appelli incidentali di S. , E. , Reale Mutua di Assicurazione e Milano Assicurazioni, con sentenza 16 aprile-28 luglio 2003 n. 1145 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato corresponsabili del sinistro S. nella misura del 10%, E. e la vittima, G..P., nella misura del 20% a testa, confermando la responsabilità della G. e del F. per il restante 50%.
Ha inoltre condannato al risarcimento dei danni in via solidale solo i privati responsabili, assolvendo le compagnie assicuratrici da ogni responsabilità diretta verso i danneggiati e condannando questi ultimi e l’Inail a restituire quanto percepito dalle stesse.
Ha dichiarato che nulla è dovuto ai danneggiati in risarcimento dei danni patrimoniali, in ragione della rendita ricevuta dall’Inail e ha condannato S. ed E. a pagare agli stessi, in via solidale, L. 240.000.000 in risarcimento dei rimanenti danni, dedotto il 20% corrispondente al concorso di colpa della vittima. Oltre al rimborso delle spese di lite.
Propongono ricorso per cassazione gli eredi P., per un unico motivo. Resistono con controricorso RAS e S. , la quale ultima propone due motivi di ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).
2.- Con l’unico motivo del ricorso principale gli eredi P. lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, nella parte in cui la Corte di appello ha attribuito a G..P. un concorso di colpa nella causazione del sinistro, in base al rilievo che egli era consapevole dei rischi che correva ed ha ciò nonostante accettato di eseguire il lavoro, pur se – quale lavoratore autonomo – avrebbe potuto rifiutare.
Rilevano i ricorrenti che il P. ha agito nell’ambito dell’organizzazione di impresa da altri predisposta; che solo S. ed E. avevano programmato e diretto le modalità di esecuzione del lavoro, decidendo di procedervi tramite l’autopompa, anziché provvedere allo spargimento diretto del calcestruzzo dalla betoniera; che ciò avevano fatto allo scopo di non danneggiare la pavimentazione già eseguita, con il peso della betoniera; che il concorso di colpa del lavoratore può essere ravvisato solo nei casi in cui egli ponga in essere una condotta colposa o negligente, o esorbitante dai suoi compiti, o inosservante delle direttive impartitegli; non per il solo fatto di avere accettato di eseguire un lavoro pericoloso, dovendo il lavoratore essere protetto anche contro i rischi che consapevolmente assuma.
3.- Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha premesso e accertato in fatto che: “L’incidente si sarebbe potuto evitare ove – dietro richiesta delle imprese operanti – ISI avesse chiesto all’ENEL di interrompere il flusso di corrente elettrica alla linea aerea”; che il P. ne discusse con il F. e quest’ultimo con il D., rappresentante legale di S. , i quali decisero di soprassedere, e che “l’incidente si verificò per evidente manovra maldestra del F. che provocò il contatto del braccio mobile dell’autopompa, priva altresì della necessaria messa a terra, con la linea elettrica soprastante”.
Su queste basi, l’addebitato al P. di uh concorso di colpa per il solo fatto della “consapevole accettazione preventiva del rischio che si stava accingendo a correre nell’esecuzione del contratto d’opera”, pur se, quale lavoratore autonomo, potuto sottrarvisi, non appare sorretto da motivazione logica e congruente con i principi di legge in materia.
3.1.- In primo luogo, la tesi ora esposta presuppone che il consenso del lavoratore a svolgere attività pericolosa possa valere di per sé ad esimere da responsabilità il datore di lavoro, o il committente, che abbiano permesso che la prestazione di lavoro si svolgesse in un contesto obiettivamente non sicuro. Trattasi di principio opposto a quello a cui si ispira l’art. 2087 cod. civ., come l’intera normativa in materia di sicurezza sul lavoro, che obbliga l’imprenditore a predisporre comunque tutte le condizioni affinché sia tutelata l’integrità fisica dei prestatori d’opera. La circostanza che il P. fosse un lavoratore autonomo, anziché dipendente, è irrilevante, sia perché anche il lavoratore dipendente può rifiutarsi di eseguire la prestazione, ove non siano rispettate le norme antinfortunistiche o venga messa a rischio la sua personale incolumità; sia perché anche il lavoratore autonomo può trovarsi a rendere la sua prestazione nell’ambito dell’altrui organizzazione di impresa, e al di fuori di ogni sua possibilità di controllo sulla sicurezza del contesto in cui è chiamato ad operare.
La Corte di appello ha dato atto che il P.aveva discusso con il F. circa la pericolosità del lavoro, in costanza dell’erogazione dell’energia elettrica, e che il F. ne aveva a sua volta parlato con l’amministratore della S. , D., il quale ha evidentemente deciso di correre il rischio; ma non ha tenuto alcun conto del fatto che la decisione di far sospendere l’erogazione, eliminando la situazione di pericolo, non spettava certo al P. – mero esecutore di una parte del lavoro – ma alla committente ISI ed all’appaltattrice S. , cioè ai responsabili dell’organizzazione del cantiere e delle modalità di svolgimento del lavoro. Giustamente rilevano i ricorrenti che l’impresa individuale P. ha svolto prestazioni meramente esecutive, nell’ambito di un’attività da altri decisa e organizzata, con i mezzi da altri predisposti e sulla base delle altrui decisioni circa la valutazione e l’accettazione dei rischi: decisioni palesemente adottate da committente ed appaltatori in vista del conseguimento del proprio interesse e della propria utilità, come risulta dal fatto – riferito dalla stessa Corte di merito – che si è ricorsi all’autopompa per salvaguardare la pavimentazione già in opera. Mentre è agevole intuire che la sospensione dell’erogazione dell’energia non è stata richiesta per non sospendere l’attività dello stabilimento.
La Corte di merito ha trascurato di considerare che la responsabilità per rischio di impresa e per l’esercizio di attività pericolose grava su chi gestisca, organizzi e diriga le attività medesime, in vista del proprio interesse; non su chi si limiti a prestare la propria opera, nell’ambito della suddetta organizzazione. La decisione di porre a carico del lavoratore individuale, ancorché autonomo, un concorso di colpa in misura addirittura superiore a quella imputabile all’impresa che gli abbia commissionato il lavoro, permettendo che esso si svolgesse in condizioni di grave pericolosità, appare illogica e contrastante con i principi generali del diritto in tema di responsabilità per rischio di impresa e per infortuni sul lavoro.
3.2.- In secondo luogo e soprattutto, anche ammesso e non concesso che il consenso del lavoratore a prestare la sua attività in situazione di pericolo possa avere una qualche rilevanza, altro è la mera accettazione del rischio, altro è il porre in essere il comportamento che quel rischio realizzi, provocando il danno. Nella specie il comportamento del P. non ha in alcun modo contribuito alla concreta causazione del danno, che è invece esclusivamente imputabile al comportamento altrui: è imputabile, in particolare, sia al comportamento del F., che ha materialmente colpito i fili dell’alta tensione, manovrando la gru; sia alla s.r.l. G. , proprietaria dell’autopompa e datrice di lavoro del F. , che non aveva dotato l’automezzo dell’impianto di messa a terra; sia alle appaltatrici S. e E. , che hanno omesso l’elementare precauzione di far sospendere l’erogazione di energia elettrica durante il lavoro. Trattasi di scelte e di comportamenti che tutti hanno avuto efficienza causale in ordine al sinistro, in termini tali da rivestire carattere assorbente, rispetto alla mera consapevolezza della pericolosità della situazione, addebitata al P. La Corte di appello ha immotivatamente e incongruamente posto sullo stesso piano le suddette situazioni, trascurando il fatto che al prestatore d’opera non poteva essere imputata, nella specie, alcuna personale negligenza, imprudenza o imperizia, idonea a causare anche in minima parte l’evento dannoso. (Sull’irrilevanza della consapevolezza di lavorare in situazione di rischio, Cass. civ. 1^ settembre 1997 n. 8267).
Palesemente illogica e ininfluente appare infine l’argomentazione della Corte di merito secondo cui la responsabilità del P. risulterebbe aggravata dal fatto che egli ebbe a protrarre nel tempo la suddetta “accettazione del rischio”, essendosi verificato l’incidente dopo circa mezz’ora di lavoro.
4.- In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, nella parte in cui ha affermato il concorso di colpa della vittima con motivazione illogica, insufficiente ed incongrua, e comunque inidonea a configurare una qualunque colpa a carico della stessa. La causa va rinviata alla Corte di appello di Brescia, affinché decida la vertenza uniformandosi ai principi sopra enunciati e disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.
5 – I due motivi del ricorso incidentale, entrambi attinenti ai provvedimenti della Corte di appello in tema di spese processuali, risultano assorbiti.
P.Q.M.
La Corte di cassazione riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.