Corte di Cassazione
Sentenza 26 aprile 2010, n. 9916
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 28 gennaio-4 febbraio 2005, la Corte di appello di Trieste confermava la decisione del Tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova – che aveva accolto, in parte, la domanda di risarcimento danni da responsabilità professionale, avanzata da Franco Z. contro il commercialista Giuseppe F., rigettando la domanda di manleva proposta da questi contro la compagnia di assicurazioni Zurigo.
Rilevava la Corte territoriale che, sotto un profilo generale, il professionista ha l’obbligo di espletare l’incarico affidatogli con diligenza e secondo le regole della professione.
Nel caso di specie, l’Ufficio finanziario di Cervignano aveva proceduto alla rettifica della dichiarazione dei redditi presentata dallo Z. per:
– avere il contribuente esposto costi non documentati;
– avere esposto costi non inerenti all’anno al quale si riferiva la dichiarazione dei redditi (1981);
– avere detratto l’ILOR nell’ammontare massimo dell’anno, benché lo Z. avesse operato in qualità di imprenditore individuale solo per alcuni mesi dell’anno.
I giudici di appello sottolineavano che il F. aveva adombrato la esistenza di un accordo con il cliente per appostazione di costi non dimostrati (poi contestati dall’Ufficio).
Mancava, in effetti, la prova di un tale accordo, che comunque sarebbe stato contrario alla legge ed alle regole professionali. Il commercialista, infatti, era comunque tenuto dal codice di deontologia professionale ad un comportamento corretto ed era pertanto responsabile per il suo operato.
La colpa del professionista risultava di tutta evidenza. Correttamente, pertanto, il primo giudice aveva ritenuto che egli dovesse essere condannato al pagamento della metà delle sanzioni applicate dall’erario (in considerazione della colpa concorrente del contribuente).
Avverso tale decisione il F. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi, illustrati da memoria.
Resistono con distinti controricorsi lo Z. e la compagnia di assicurazione Zurigo. Questa ha depositato anche essa memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia erronea e insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 2909 e 2729 c.c. su un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla affermazione della responsabilità professionale del dott. F. sulla scorta del solo contenuto dell’accertamento compiuto dall’Ufficio delle Imposte dirette di Cervignano e dalle Commissioni Tributarie di I e II grado.
L’affermazione di responsabilità del F. poggiava esclusivamente sull’acritico recepimento delle risultanze di un accertamento del reddito compiuto dall’Ufficio delle Imposte Dirette di Cervignano a carico dello Z. per l’anno 1996 e di due sentenze delle Commissioni di I e II grado, tra loro non concordanti.
In pratica, i giudici di appello aveva dato per scontato che la pretesa avanzata dal Fisco nei confronti dello Z. fosse legittima e che spettasse al F. confutare le risultanze delle sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie.
L’errore compiuto dalla Corte territoriale era evidente. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che spetta all’Amministrazione finanziaria provare in giudizio il fondamento delle proprie pretese, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento.
Il F. non aveva preso parte al giudizio dinanzi alle Commissioni Tributarie. Egli doveva considerarsi, dunque, terzo e nessuna efficacia (neppure riflessa) potevano svolgere, nei suoi confronti, le due decisioni rese dai giudici tributari.
Sarebbe stato preciso onere dell’attore fornire la prova della responsabilità professionale del F. Egli, invece, non era stato in grado di fornire alcuna documentazione al consulente nominato dall’ufficio (al quale aveva dichiarato di averla perduta).
Le censure formulate con il primo motivo sono infondate.
Con motivazione adeguata, i giudici di appello hanno osservato che era preciso obbligo di diligenza del professionista non appostare costi privi di documentazione o non inerenti all’anno della dichiarazione.
Ha osservato la Corte territoriale che il F. ebbe ad appostare costi senza avere riscontrato la presenza della relativa documentazione ed ha aggiunto che il F. avrebbe dovuto escludere i costi dalla dichiarazione dei redditi, qualora il cliente non avesse provveduto a fornire la relativa documentazione.
Pertanto, a nulla rilevava – al fine di escludere una responsabilità del commercialista – la circostanza che lo Z. tenesse in modo disordinato la sua contabilità.
Le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale sfuggono a qualsiasi censura, in quanto ampiamente motivate.
I giudici di appello hanno rilevato, inoltre, che il F. aveva ritenuto non corrette le rettifiche operate dall’Ufficio finanziario sul reddito dichiarato nel 1991 dallo Z., perché questi non aveva ritenuto – contro il suo parere – di impugnare ulteriormente la decisione dei giudici di secondo grado.
Al riguardo, tuttavia, il F., pur essendo l’estensore dei due ricorsi proposti dalla Z. dinanzi alle Commissioni di I e II grado di Udine, non era stato in grado di svolgere alcuna argomentazione per dedurre la erroneità della seconda decisione.
La semplice osservazione che avrebbe potuto essere proposta impugnazione avverso la decisione della Commissione Tributaria di secondo grado non poteva valere ad escludere la correttezza della decisione adottata.
Costituisce, infatti, preciso onere di chi contesta la correttezza della decisione del giudice (ai fini della responsabilità professionale per condotta omissiva del professionista) fornire almeno gli argomenti critici ad illustrazione degli errori dai quali sarebbe inficiata la sua decisione.
La Corte territoriale ha concluso che la decisione del primo giudice, che aveva posto a carico del professionista, la metà delle sanzioni applicate allo Z., a titolo di parziale risarcimento dei danni, era del tutto corretta.
Quanto alla obiezione, sollevata dall’appellante, che lo Z. avrebbe potuto ridurre l’entità delle sanzioni applicate dall’Ufficio, avvalendosi del condono di cui alla l. 516 del 1982, i giudici di appello hanno opportunamente rilevato che questo argomento era stato già esaminato dal primo giudice che aveva tenuto conto della circostanza per ridurre alla metà l’ammontare della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno.
La decisione non era stata censurata sul punto dal F., il quale si era limitato a riproporre la questione in sede di appello solo in sede di comparsa conclusionale.
Con il secondo motivo si deduce la erronea motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.) su un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla ritenuta, intervenuta, prescrizione della garanzia assicurativa per mancata denuncia scritta del sinistro nei termini.
Ad avviso del ricorrente la Corte triestina avrebbe errato nel ritenere prescritta la garanzia assicurativa per mancata denuncia del sinistro per iscritto nel termine indicato.
La clausola che imponeva tale onere, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto, costituendo una clausola vessatoria, ex artt. 1341, comma 2, e 1342, comma 2, c.c.
In ogni caso, il decorso della prescrizione rimane sospeso per tutto il tempo che intercorre dalla denuncia del sinistro sino al momento in cui il diritto del danneggiato non viene accertato con sentenza passata in giudicato.
La censura è infondata.
Con accertamento di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, i giudici di appello hanno stabilito che tra la richiesta di risarcimento avanzata dallo Z. alla data di notifica della chiamata in causa dell’assicuratore erano decorsi oltre cinque anni e che il F. non aveva provato in causa la esistenza di altra comunicazione scritta, indirizzata alla Zurigo, avente le caratteristiche della messa in mora o comunque interruttiva del termine prescrizionale.
Quanto al carattere vessatorio della clausola contrattuale che prevedeva una forma specifica per la denuncia di sinistro, lo stesso deve essere escluso sulla base della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “La clausola di un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che tutte le comunicazioni a cui l’assicurato è tenuto devono essere fatte con lettera raccomandata, non ha carattere vessatorio, perché ha per fine di regolare la prestazione dell’assicuratore, sia pure subordinandola all’osservanza di un onere da parte dell’assicurato, e, quindi, è efficace, anche se non approvata specificamente per iscritto” (Cass. 3881 del 30 marzo 1992).
La eccezione, inoltre, è nuova e pertanto inammissibile.
Il ricorrente non ha, del resto, indicato in quali atti del giudizio di primo e secondo grado la stessa sarebbe stata proposta. L’accertamento del carattere vessatorio della clausola comporterebbe in ogni caso un giudizio di fatto ed una interpretazione del contratto non compatibili con il giudizio di legittimità.
Si richiama sul punto il consolidato orientamento di questa Corte, per il quale: “Il giudizio sulla necessità che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto o sulla sua inefficacia a norma dell’art. 1469-bis cod. civ. non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità perché la valutazione circa la natura della clausola richiede un giudizio di fatto che si può formulare soltanto attraverso l’interpretazione della clausola nel contesto complessivo del contratto per stabilirne il significato e la portata”. (Cass. 19 luglio 2004 n. 13359).
Ed ancora, più di recente: “La mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose del contratto indicate nell’art. 1341 cod. civ. ne comporta la nullità, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione, sempreché i presupposti di fatto della detta nullità (carattere vessatorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvazione specifica) risultino già acquisiti agli atti del processo” (Cass. 14 luglio 2009 n. 16394).
Ipotesi, questa, non realizzatasi nel caso di specie.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 800,00 per Z. ed euro 1.200,00 per Zurigo – di cui euro 200,00 per ciascuno a titolo di spese – oltre spese generali ed accessori di legge.