Cassazione civile, sez. unite, 27 febbraio 2008, n. 5087
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Bergamo, 1^ sez. civile, con sentenza del 24.7.1989, respingeva l’appello proposto da O. S. avverso la sentenza del Pretore di Bergamo, che lo condannava al pagamento della somma di L. 978.657 in favore della Banca Nazionale del Lavoro, sulla base di rapporto di conto corrente. La Corte di cassazione, con sentenza n. 4140 del 10.4.1995, cassava la sentenza di appello, con rinvio ad altra sezione dello stesso Tribunale.
Il Tribunale di Bergamo, 1^ sez. civ., con sentenza del 19.7.2001, dichiarava inammissibile la domanda restitutoria della B.N.L.
Detta Banca ha proposto ricorso per cassazione. Resiste con controricorso O. S., che ha anche presentato memoria.
La prima sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione a queste S.U., delineandosi un contrasto giurisprudenziale sulla seguente questione: “Se la designazione del giudice di rinvio a seguito di cassazione della sentenza impugnata, attribuisca una competenza funzionale ratione materiae, come tale inderogabile e non modificabile, né dal giudice del rinvio né dalla Corte di cassazione, o se, viceversa, qualora nel giudizio di rinvio la sentenza sia stata pronunziata, non dalla diversa sezione designata, ma dalla stessa sezione dell’organo giudiziario(che aveva pronunziato la sentenza cassata) con giudici diversi, non si verta né in situazione di incompetenza, né in situazione di insorgenza dell’obbligo di astensione previsto dall’art. 51, n. 4, c.p.c”.
Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite.
Motivi della decisione
1 Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 383, c. 1, c.pc. Assume la ricorrente che, mentre la Corte di cassazione, con la pronunzia n. 4140/1995, aveva rinviato la causa ad altra sezione del Tribunale di Bergamo, il giudizio di rinvio, introdotto dal S., era stato deciso dalla prima sezione civile di tale Tribunale, ossia la stessa che aveva emesso la sentenza cassata dalla Corte di cassazione. Assume la ricorrente che tale sezione era incompetente a decidere la causa in sede di rinvio, in quanto la designazione del giudice del rinvio, a norma dell’art. 383, c. 1, c.p.c, attribuisce una competenza funzionale ratione materiae, come tale inderogabile che non può essere modificata né dal giudice del rinvio, né dalla Corte di cassazione.
2.1. Sulla questione sollevata dalla banca ricorrente, questa Corte si è già pronunziata, sulla base tuttavia di una giurisprudenza non uniformemente orientata, ma caratterizzata da un contrasto alimentato da diversi indirizzi interpretativi. Secondo l’orientamento maggioritario, sulla premessa che non è consentito riformare una decisione della corte di cassazione né al giudice di rinvio, con declinatoria di competenza, né alla stessa Corte ulteriormente adita, con la conseguenza che è inammissibile la designazione di un giudice diverso di rinvio in sostituzione di quello designato dalla sentenza di annullamento della cassazione, la cui competenza è funzionale ed inderogabile, anche in relazione alla sopravvenienza di norme che modificano i criteri di competenza, si è affermato che, in caso di designazione del giudice del rinvio, individuato dalla S.C. in altra sezione della Corte di appello, deve ritenersi emessa da giudice incompetente la sentenza pronunziata dalla stessa sezione della Corte di appello (o del Tribunale), anche se costituita da diversi magistrati (ex multis: Cass. 9.2.2005 n. 2591; Cass. 5.3.2003, n. 3288; Cass. 19.6.2002, n. 8941; Cass. 9.2.2004, n. 2407; Cass. 21.2.2001, n. 2510; Cass. 23.9.1996, n. 8404), ed anche se operante con due collegi distinti (Cass. 27.4.2005, n. 8786).
2.2. Secondo un orientamento minoritario, qualora la cassazione con rinvio venga disposta con assegnazione della causa ad altra sezione dell’ufficio giudiziario che emise la sentenza annullata, come consentito dall’art. 383 cp.c., la circostanza che la pronuncia in sede di rinvio venga resa dalla medesima sezione, che pronunciò la sentenza cassata, non determina una situazione d’incompetenza, né comunque spiega di per sé effetti invalidanti, nemmeno nel caso ai partecipazione di uno o più giudici ad entrambe le decisioni, in violazione dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51, n. 4 cp. e, trattandosi di inosservanza che la parte, che non si sia avvalsa del rimedio della ricusazione, non può dedurre come ragione di nullità della sentenza (ravvisabile solo nel diverso caso in cui il giudice abbia nella causa un proprio interesse diretto, che lo ponga nella veste di parte) (Cass. 23/10/1984, n. 5385; Cass. 14.6.1995, n. 6694; Cass. 21.2.2001, n. 2510).
In particolare si è osservato che il principio dell’alterità del giudice di rinvio è rispettato ogni qualvolta a decidere in sede di rinvio siano giudici (magistrati) diversi da quelli che pronunciarono la sentenza, cassata, sebbene appartenenti allo stesso ufficio giudiziario invece che a un ufficio territorialmente diverso. La circostanza, inoltre, che la nuova pronuncia sia resa dalla medesima sezione che ha pronunciato la sentenza cassata non determina una situazione di incompetenza né realizza effetti invalidanti, neppure nel caso di partecipazione di uno o più giudici a entrambe le decisioni in violazione dell’obbligo di astensione, potendo la parte ricorrere al previo rimedio della ricusazione, altrimenti non avendo titolo a far valere alcuna nullità della sentenza per irregolare costituzione del giudice (Cass. 22/06/2005, n. 13370).
Ritengono queste S.U. che solo l’orientamento minoritario è in parte condivisibile.
3.1. L’art. 383 c.p.c. statuisce “La corte, quando accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli richiamati nell’articolo precedente, rinvia la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata.
Nel caso previsto nell’articolo 360 secondo comma, la causa può essere rinviata al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello al quale le parti hanno rinunciato.
La Corte, se riscontra una nullità del giudizio di primo grado per la quale il giudice d’appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice, rinvia la causa a quest’ultimo”
Nel primo comma della norma suddetta è regolato il rinvio cd. proprio, che ha funzione prosecutoria, in quanto mira ad una nuova definizione della controversia, essendo preordinato all’emanazione di una nuova sentenza di merito, che applicando i criteri di giudizio che la corte ha ritenuto corretti o emendando i vizi motivazionali, sostituisca quella cassata.
3.2. La norma non indica già in astratto e preventivamente davanti a quale giudice debba svolgersi tale giudizio rescissorio, ma ne rimette la scelta alla stessa Corte di Cassazione, fissando due soli requisiti.
Il primo è che si tratti di giudice di pari grado.
Il secondo è che si tratti di “altro” giudice rispetto a quello che ha emesso la sentenza impugnata (contrariamente al cd. rinvio improprio o restitutorio, di cui al terzo comma dell’art. 383 c.p.c, per il quale il rinvio va effettuato necessariamente “al” (e non “ad un”) giudice di primo grado, che non deriva i suoi poteri da una designazione discrezionale della corte, ma dalle norme ordinarie sulla competenza). Questo secondo requisito integra il cd. principio della “alterità” del giudice.
Ritengono queste S.U. che solo il primo requisito integri una regola di competenza, mentre il secondo, quanto meno nella fattispecie, integri solo una regola relativa alla costituzione del giudice.
4.1. Impostata la questione solo in termini di competenza, poiché la competenza è la frazione o quota della giurisdizione e fissa il criterio per stabilire a quale tra i diversi giudici ordinari spetta il potere di decidere la causa, parte minoritaria della dottrina in epoca non recente ritenne che “altro giudice” significasse necessariamente altro “ufficio giudiziario” inteso nel suo complesso.
L’orientamento si fondava sul presupposto (in sé esatto) che non costituisce questione di competenza quella della ripartizione del potere di decidere fra i singoli organi, che possono concorrere a costituire il “giudice competente”. La competenza fa riferimento soltanto al giudice inteso come “ufficio giudiziario” nel suo complesso ed ogni suddivisione interna, oltre ad essere puramente eventuale, è anche assolutamente irrilevante, incidendo sul carattere “amministrativo” dell’ufficio.
Questo principio sembra presupposto da quelle sentenze di questa Corte che ritengono che il rinvio alla stessa Sezione Specializzata Agraria costituisca un’eccezione al principio del necessario rinvio ad altro giudice, tuttavia necessitato per la prevalenza della competenza per materia e per territorio di tale sezione rispetto alla regola di cui all’art. 383, c. 1, c.p.c. (Cass. 21.2.2001, n. 2510; Cass. n. 628 del 1998, Cass. n. 5393 del 1998; Cass. 18 giugno 1991 n. 6858).
4.2. Sennonché la norma in questione è sempre stata interpretata dalla maggioranza della giurisprudenza e della dottrina nel senso che essa consenta che il rinvio prosecutorio venga disposto sia in favore di “altro” giudice, inteso come diverso ufficio giudiziario, sia in favore dello stesso ufficio giudiziario con giudici persone fisiche diverse. In questa seconda ipotesi si è ritenuto che l’alterità sia garantita o con il rinvio “ad altra sezione” o con il rinvio alla stessa sezione in diversa composizione.
5.1. Osservano, anzitutto, queste S.U. che è esatto interpretare la locuzione di cui al primo comma dell’art. 383 c.p.c. “altro giudice” come espressione che non imponga il rinvio prosecutorio necessariamente ad altro “ufficio giudiziario”.
Va, infatti, considerato che l’art. 544 del previgente c.p.c. (r.d. n. 2366/1865) statuiva che il rinvio andasse effettuato “ad altra autorità giudiziaria eguale in grado a quella che pronunziò la sentenza cassata e che sia più vicina alla medesima”.
Avverso questa norma la dottrina più autorevole aveva mosso numerose critiche, ravvisando “la rovinosa peregrinazione a cui il rinvio delle cause, da corte e a corte o da tribunale a tribunale, costringe i litiganti”.
Il rito penale, invece, all’art. 543 c.p.p. del 1930 (come attualmente l’art. 623 c.p.p. 1989) in caso di annullamento con rinvio restitutorio prevedeva, a seconda dei casi, o il rinvio ad altra sezione della stessa corte o tribunale e, solo in caso di mancanza, alla corte o tribunale più vicini, o il rinvio allo stesso giudice, disponendo che il giudice che aveva pronunziato la sentenza annullata, fosse “sostituito” (attualmente che “il giudice sia diverso da quello che ha pronunziato la sentenza impugnata”).
5.2. Essendo quindi la norma di cui all’art. 383, c 1, c.p.c. certamente innovativa rispetto al precedente art. 544 c.p.c. 1865, e visto il contesto dottrinale e comparativo in cui essa è stata emessa, deve ritenersi che l’unica regola che essa fissa sulla competenza del giudizio rescissorio è quella relativa al grado del giudice, mentre la locuzione “altro giudice”, imponendo il solo rispetto del principio di alterità del giudice persona fisica, rimette alla discrezionalità della Corte l’individuazione territoriale del giudice del rinvio prosecutorio, potendo essere individuato sia in altro ufficio giudiziario di pari grado rispetto a quello che ha pronunziato la sentenza impugnata sia nello stesso ufficio giudiziario, purché composto con diversi magistrati.
A tal fine va osservato che la stessa Corte Cost. 15/10/1999, n. 387 ha ritenuto che l’alterità del giudice dell’impugnazione va intesa in senso sostanziale e non con riguardo all’ordine degli uffici giudiziari previsto dall’ordinamento giudiziario.
5.3. E’ stato autorevolmente sottolineato che la ratio della norma in esame si individua nel fine di evitare che gli stessi giudici, che hanno reso la sentenza cassata, riesaminino la controversia, per modo che “il corpo giudiziario è individuato non dall’etichetta dell’ufficio o dal numero della sezione ma dalle persone che identificano l’organo deliberante”.
Il principio di alterità si considera, quindi, rispettato non solo quando la causa venga rinviata dopo la cassazione ad ufficio giudiziario diverso perché sito in altro luogo (diversità del senatus), ma anche quando (diversità dei patres) il rinvio sia disposto allo stesso ufficio in diversa composizione o ad altra sezione del medesimo organo giudiziario, ovvero ad altro giudice monocratico dello stesso ufficio, purché non vi sia identità personale tra il giudice del rinvio e quello che ha pronunziato la sentenza cassata (Cass. S.U. n. 731/1999);
5.4. L’alterità del giudice in sede di rinvio prosecutorio costituisce applicazione il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, che ha “pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo” (cfr.: Corte 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3 luglio 2002 n. 305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
In questa direzione è stato anche precisato come l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice impedisca che quest’ultimo possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda, in quanto dal primo giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia controversa, determinandosi così, propriamente, un “pregiudizio” contrastante con l’esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un soggetto “terzo”, non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni formatesi in occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio (Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Si è osservato in dottrina come sia avvertita negli ordinamenti processuali l’esigenza di evitare la ed, forza della prevenzione, attraverso la predisposizione di meccanismi processuali capaci di garantire che il giudice non subisca condizionamenti psicologici tali da rendere probabile il venir meno della sua serenità di giudizio.
5.5. In linea con il generale criterio di adeguamento delle tutele al tipo ed alla natura del processo – nell’ambito del quale vanno ad incidere – e con la conseguente permeabilità di un tale sistema alla consistenza sul piano costituzionale degli interessi posti in discussione, queste Sezioni Unite hanno ritenuto che il principio di imparzialità è sufficientemente garantito dalla possibilità per la parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice d’appello un riesame di tale pronuncia, impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato. Gli stessi giudici di legittimità, nell’escludere qualsiasi confronto con il codice di procedura penale (che consente il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza che ha deciso sulla ricusazione), hanno evidenziato al riguardo che il principio costituzionale di uguaglianza “non comporta il divieto di regolamentazioni diverse dei diversi tipi di processo in ordine al procedimento sulla ricusazione, tanto più che nell’ambito del processo penale sono in gioco beni costituzionalmente “più sensibili” (Cass. S.U., 20 novembre 2003 n. 17636).
In applicazione dei principi di imparzialità-terzietà del giudice e del giusto processo, tutelati dall’art. 111 Cost., e del “dictum” di cui alla sent. n. 262 del 2003 della Corte Costituzionale – con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195 nella parte in cui non prevedeva l’elezione da parte del Consiglio Superiore della Magistratura di ulteriori membri supplenti della Sezione disciplinare, stante il contrasto con la Costituzione (artt. 3, 24 e 111 Cost., sotto il profilo della imparzialità della giurisdizione) della mancata previsione di una soluzione organizzativa che impedisse, nelle ipotesi di annullamento con rinvio di una sentenza della Sezione disciplinare da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che lo stesso collegio giudicante si pronunciasse due volte sulla medesima “res iudicanda” – è stato affermato da queste S.U. che, alla stregua del disposto dell’art. 383 c.p.c., in caso di cassazione con rinvio di sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, della stessa non possono essere membri coloro che già hanno partecipato alla precedente decisione, a pena di nullità assoluta (S.U. 26/05/2004, n. 10139).
6.1 L’individuazione da parte della corte di cassazione del giudice (come ufficio giudiziario) del rinvio prosecutorio integra un’affermazione di competenza funzionale dello stesso, in quanto individua l’ufficio giudiziario legittimato ad essere investito del giudizio di rinvio, sulla base di una scelta (con riferimento al criterio territoriale).
Si intende, infatti, per competenza funzionale quella in cui l’inderogabilità della competenza consegue alla funzione del giudice, nel senso che l’osservanza della regola della competenza è ritenuta condizione imprescindibile di un retto funzionamento della giustizia: tale è ritenuta la ed, competenza per gradi.
Questa competenza, sia pure non riconducibile alla nozione di competenza adoperata nel capo I del Titolo I c.p.c, con conseguente inapplicabilità del regime di rilevazione dell’incompetenza ex art. 38 c.p.c, assolve ad uno scopo di massima simile sul piano funzionale a quello che ha la disciplina della individuazione del giudice competente in primo grado (Cass. 10.2.2005, n. 2709).
Inoltre è stato autorevolmente affermato, che si versa in ipotesi di “competenza funzionale per delegazione” ogni qual volta per la scelta del giudice la legge si rimette a un ufficio o a un funzionario; ciò comporta “un criterio di scelta, vertente su una serie di elementi imponderabili a priori, dai quali dipende la sua maggiore idoneità al giudizio, e in ciò sta proprio il carattere della competenza funzionale”, cui conseguono limitazioni alla possibilità di sindacato.
6.2. La designazione del giudice di rinvio a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata, pertanto, attribuendo a quest’ultimo una competenza funzionale come tale inderogabile, non può essere modificata né dal giudice designato con declinatoria di competenza né dalla stessa Corte di Cassazione cui è soltanto consentito di intervenire sulla propria decisione in forma di ordinanza per la correzione di errori materiali sul tipo e sul luogo del giudice designato a conoscere della causa in sede di rinvio (Cass. 9.2.2004, n. 2407; Cass. 19.6.2002, n. 8941; Cass., 23 gennaio 1998, n. 628), nemmeno in relazione alla sopravvenienza di norme che modifichino i criteri di competenza (Cass. 9.2.2005, n. 2591; Cass., 2 giugno 1998, n. 5393).
6.3. Sennonché una volta ritenuto che il concetto di competenza viene in rilievo solo con riferimento all’ufficio giudiziario unitariamente inteso, la sentenza cassatoria nell’individuare quale sia tale ufficio giudiziario del rinvio ha completato la sua pronunzia nella parte di pura individuazione del giudice competente.
La stessa Cass. 14.5.1991, n. 5397, a proposito dell’individuazione dello “stesso giudice” ex art. 398 c.p.c. competente per il giudizio di revocazione, ove la revocazione riguardi sentenza pronunziata in sede di rinvio, ha stabilito che la designazione, come giudice di rinvio, di una sezione di ufficio collegiale non comporta che la revocazione della sentenza emessa da quella sezione debba proporsi alla medesima: “stesso giudice”, ai fini della competenza, è l’ufficio giudiziario cui appartiene la sezione a suo tempo designata dalla Cassazione con rinvio ex art. 383 c.p.c., non detta sezione, e l’articolo citato non comporta che l’organo designato assume in ogni caso il connotato di ufficio giudiziario nel senso in cui se ne parla a proposito della competenza propriamente intesa.
6.4. Esula dal paradigma della competenza ogni questione circa l’”alterità” del giudice di rinvio, imposta da esigenze di imparzialità del giudice e funzionalità del giudizio che si ricollegano piuttosto alla stessa area in cui operano l’astensione (segnatamente art. 51, n. 4, c.p.c.) e la ricusazione che non alla tematica della competenza (per riferimenti, v. Cass. n. 6858 del 1991).
“L’alterità” del giudice di rinvio rispetto al giudice autore della sentenza cassata, ex art. 383 c.p.c, può essere insita nella statuizione di competenza, quando essa consista nella designazione di diverso ufficio giudiziario, ma può anche restare circoscritta alla ripartizione di compiti e attribuzioni nell’ambito dello stesso ufficio, quando consista nella designazione di “altro magistrato” o “altra sezione” dello stesso ufficio giudiziario, donde proviene la sentenza cassata.
In altri termini, l’”alterità” del giudice di rinvio, ex art. 383 c.p.c, non comporta uno snaturamento della nozione di competenza, intesa come riparto dei compiti tra diversi uffici giudiziari, e non connota la “diversa sezione” dello stesso ufficio (diversa sezione peraltro non precisata dalla sentenza cassatoria) come ufficio giudiziario con competenza diversa rispetto alle altre sezioni in sede.
6.5. La diversa conclusione cui giunge l’orientamento maggioritario è incompatibile con principi pacificamente affermati da questa Corte.
E’ principio consolidato che, non costituendo autonomi uffici le singole sezioni di un ufficio giudiziario, la ripartizione delle attribuzioni tra le dette sezioni non da luogo a questioni di competenza (Cass. 24.1.2006, n. 1309; Cass. 16.7.2004, n. 13173; Cass. 9.7.2004, n. 12663; Cass. 8.11. 2002, n. 15751; Cass. 21.5.2001, n. 6905, in relazione alle cd. “sezioni-stralcio”).
Si è anche pacificamente affermato che le sezioni distaccate di tribunale (ed in precedenza quelle di pretura) costituiscono articolazioni interne del medesimo ufficio giudiziario di tribunale (ed in precedenza di pretura) e, in quanto tali, prive di rilevanza esterna, con la conseguenza che i rapporti tra sede principale e sezione distaccata non possono mai dare luogo a questioni di competenza (Cass. 31/05/2005, n. 11572; Cass. 18/09/2003, n. 13751; Cass. 26.10.1994, n. 8776).
7.1. Da ciò consegue che la sentenza che dispone il rinvio costituisce individuazione del giudice funzionalmente competente (e quindi statuizione sulla competenza) nella sola parte che individua l’ufficio giudiziario di pari grado davanti al quale dovrà riassumersi il giudizio di rinvio, che potrà, quindi, essere o lo stesso ufficio giudiziario o altro ufficio, purché di pari grado, mentre le locuzioni “ad altra sezione” o “in diversa composizione” sono espressioni sostanzialmente equipollenti per affermare la necessità dell’alterità del giudice, come persona fisica, rispetto a quello che ha pronunziato la sentenza cassata.
Tali locuzioni, quindi, non comportano che la Corte abbia effettuato una statuizione di competenza tra le varie sezioni (poiché si tratta di ripartizione interna all’ufficio) coltre tutto si tratterebbe di un’anomala determinazione della competenza, perché nel primo caso sarebbe effettuata non in positivo ma in negativo (non viene, infatti, indicata un specifica sezione, ma qualunque altra che non sia quella che ha emesso la sentenza) e nel secondo caso la pretesa affermazione di competenza della stessa sezione si risolverebbe in una statuizione sui soggetti-persone fisiche che non la possono comporre.
7.2. Questa statuizione relativa al requisito dell’alterità del giudice del rinvio, come persona fisica, per quanto apparentemente espressa in positivo e con le diverse formule suddette (o con altre analoghe) ha in effetti un unico contenuto precettivo e significa (qualunque espressione sia usata) che il giudice del rinvio indicato non può essere costituito da quelle specifiche persone fisiche che hanno pronunziato la sentenza cassata.
Pertanto se il giudizio viene riassunto davanti ad un giudice (ufficio) diverso per grado o per territorio da quello indicato nella sentenza cassatoria, sussisterà la violazione della competenza funzionale ed inderogabile (fissata dalla sentenza stessa) da parte del soggetto che ha riassunto il giudizio, con la conseguenza che tale vizio è rilevabile d’ufficio. Se il giudizio è invece riassunto davanti all’ufficio giudiziario indicato nella sentenza di cassazione, tale violazione della competenza funzionale non potrà mai sussistere, anche se la sentenza indica espressamente che il rinvio è effettuato a favore di “altra sezione”, mentre poi la sentenza è stata pronunziata dalla stessa sezione (peraltro, il soggetto che procede alla riassunzione, mentre deve individuare – sulla scorta della sentenza di cassazione l’ufficio giudiziario competente, non ha possibilità di influire sulla scelta della sezione e quindi su questa competenza cd. interna).
7.3. Quello che potrà sussistere è il vizio della mancata alterità del giudice, ma tale vizio sussisterà sia nel caso in cui la sezione sia la stessa, se almeno uno dei componenti sia stato presente nella precedente decisione, sia nel caso che la sezione sia diversa, se nel frattempo a tale sezione sia stato assegnato uno dei magistrati che pronunziarono la sentenza cassata, sia, addirittura, nel caso che il giudice del rinvio sia un ufficio giudiziario diverso, se a decidere sia un magistrato che, avendo partecipato alla pronunzia cassata, si sia successivamente trasferito presso questo diverso ufficio. Questo vizio attiene alla costituzione del giudice e rileva ex art. 158 c.p.c., per violazione del precetto della sentenza, secondo cui il giudice del rinvio non può essere costituito dai magistrati specificamente indicati nella sentenza impugnata, precetto espresso con le formule varie (“altra sezione” o “in diversa composizione”) o addirittura insito nel rinvio ad altro ufficio giudiziario.
7.4. In questo caso non rileva il principio generale (pur applicato alla fattispecie in esame dall’orientamento giurisprudenziale minoritario, di cui al precedente punto 2.2.) secondo cui in difetto di tempestiva ricusazione la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi nell’ipotesi prevista dall’art. 51 n. 4 c.p.c, non comporta la nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c., al di fuori del caso in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, in modo da porlo nella posizione sostanziale di parte (Cass. S.U. 28.1.2002, n. 1007; Cass. 18.1.2002, n. 528; Cass. 22.6.2005, n. 13370; Cass. 29/03/2007, n. 7702).
Tale principio in generale è perfettamente condivisibile, in quanto l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo, ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina anche attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione, sancendo, come ha affermato dalla Corte costituzionale (sent. 15/10/1999, n. 387), che – in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti – non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l’imparzialità-terzietà del giudice solo attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione.
Nell’ipotesi in esame, invece, non è necessario introdurre il sub-procedimento di ricusazione, in quanto sull’illegittimità per individuati magistrati (e cioè quelli indicati nominatim dalla sentenza impugnata) di partecipare al giudizio di rinvio si è già pronunziata la sentenza di cassazione, sia pure adottando una delle varie formule suddette, ovvero, implicitamente, rinviando ad altro ufficio giudiziario.
7.5. In presenza di tale sentenza, quindi la situazione è analoga al caso in cui alla pronunzia della sentenza abbia partecipato un giudice, che sia già stato autorizzato ad astenersi o la cui ricusazione sia già stata accolta, per il quale si ritiene pacificamente che si versi in ipotesi di nullità per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. (Cass. 12/02/2000, n. 1566; Cass. 29/12/1999, n. 14676; Cass. 04/05/1998, n. 4403; Cass. civ., 25/06/1979, n. 3523). Tale nullità, in base al richiamo operato dall’art. 158 c.p.c. al successivo art. 161, non si sottrae al principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, con la conseguenza che, se non è stata rilevata – d’ufficio o su eccezione – dal giudice mal costituito, deve essere denunciata in sede di gravame, dovendosi altrimenti ritenere sanata a seguito del formarsi del giudicato sul punto (Cass. 25/06/2002, n. 9240)
76. Neppure può essere condiviso – sulla base di quanto sopra detto – l’orientamento che pur si rinviene in alcune pronunzie di questa Corte (Cass. 10.4.1987, n. 3572; Cass. 21.2.2001, n. 2510; Cass., 23 dicembre 1996, n. 11492; Cass., 14 maggio 1984 n. 2930) secondo cui l’eventuale indicazione, nella sentenza di cassazione, di una differente composizione della sezione costituisce “una mera proposta di opportuno orientamento per quel giudice”.
8. Pertanto il contrasto giurisprudenziale va composto nei termini di cui al seguente principio di diritto: “ La sentenza che dispone il rinvio, a norma dell’art. 383, c. 1 (cd. rinvio proprio o prosecutorio) contiene una statuizione di competenza funzionale nella parte in cui individua l’ufficio giudiziario davanti al quale dovrà svolgersi il giudizio rescissorio (che potrà essere lo stesso che ha emesso la sentenza impugnata o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado) ed una statuizione sull’alterità del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che pronunziarono la sentenza cassata (al quale fine sono equipollenti le locuzioni “altra sezione” o “in diversa composizione” o “in persona di altro magistrato”).
Conseguentemente, se il giudizio viene riassunto davanti all’ufficio giudiziario individuato nella sentenza cassatoria, indipendentemente dalla sezione o dalle persone dei magistrati che lo trattano, non sussiste un vizio di incompetenza funzionale, poiché lo stesso non può riguardare le competenze interne tra sezioni o le persone fisiche dei magistrati. Se, così rispettata la statuizione sulla competenza, è violata la statuizione sull’alterità del giudice (espressa indifferentemente con una delle formule suddette equipollenti), per essersi svolto il giudizio rescissorio davanti a collegio, in cui almeno uno dei componenti aveva partecipato alla pronunzia della sentenza cassata, ovvero in caso di giudizio monocratico vi sia stata identità della persona fisica del magistrato nei due giudizi, sussiste la nullità attinente alla costituzione del giudice ex art. 158 cp.c, non essendo necessario che la parte faccia valere tale incompatibilità ex art. 52 c.p.c, in quanto sul punto dell’alterità (e quindi dell’incompatibilità) si è già pronunziata la sentenza cassatoria”.
9.1. In applicazione del suddetto principio va rigettato il ricorso.
Infatti nella fattispecie questa Corte, con sentenza n. 4140/1995 cassava la sentenza impugnata emessa dalla prima sezione del tribunale di Bergamo il 24.7.1989 e rinviava la causa ad altra sezione dello stesso tribunale.
Essendo la causa stata riassunta davanti allo stesso Tribunale (senza alcuna indicazione di sezione,la cui scelta non competeva alla parte), non vi è stata alcuna violazione della competenza funzionale indicata dalla sentenza di cassazione. Il fatto che tale giudizio di rinvio sia stato assegnato dal Presidente del Tribunale alla stessa prima sezione e non ad altra sezione, come detto, non comporta alcuna violazione della competenza funzionale del giudice di rinvio designato, inteso come ufficio giudiziario (cd. competenza esterna), non costituendo un profilo di competenza il riparto dei processi tra le varie sezioni dello stesso ufficio giudiziario (cd. competenza interna).
9.2. Rimane il problema se sia stato violato il precetto di alterità del giudice, come persone fisiche dei magistrati componenti la sezione del tribunale in sede di rinvio, che la sentenza cassatoria aveva disposto, adottando la formula “altra sezione”.
Nel fattispecie tale violazione (rilevante ex art. 158 c.p.c.) non sussiste, poiché, come risulta eccepito dal resistente e come risulta dagli atti di causa, i magistrati della prima sezione del tribunale di Bergamo che pronunziarono la sentenza di appello, poi cassata, erano persone fisiche diverse da quelle che componevano il collegio che ha pronunziato la sentenza del giudizio rescissorio, oggetto del presente ricorso.
10. Esistono giusti motivi (segnatamente il contrasto giurisprudenziale) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.