Corte di Cassazione, Sezione Unite,Sentenza 9 settembre 2010 n. 19246
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
==========, elettivamente domiciliato in Roma, ==========, presso lo studio dell’avvocato
==========, rappresentato e difeso dall’avvocato ==========, per procura a margine del ricorso;
‐ ricorrente ‐
contro
==========, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, ==========, presso lo
studio dell’avvocato ==========, rappresentata e difesa
dall’avvocato ==========, per procura in calce al controricorso;
‐ controricorrente ‐
avverso la sentenza n. 377/2003 della CORTE D’APPELLO di LECCE,
depositata il 01/07/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/10/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE SALME’;
udito l’Avvocato ==========;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PIVETTI Marco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 15 giugno 2000, ha dichiarato improcedibile l’opposizione
proposta da ========== avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore di ==========, in quanto
l’opponente, pur avendo assegnato all’opposto un termine a comparire inferiore ai 60 giorni, si è
costituito oltre il termine di cinque giorni dalla notifica della citazione.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 1 luglio 2003, ha confermato la decisione di primo
grado richiamando l’orientamento espresso da questa corte, tra l’altro, con sentenza n. 37521 del
2001, secondo il quale l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente consegue
automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione
inferiore a sessanta giorni, risultando del tutto irrilevante che la concessione dello stesso sia
dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo.
Il ========== ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria,
al quale ha resistito, con controricorso, la ==========.
Con ordinanza del 12 novembre 2008, la prima sezione ritenendo che il consolidato orientamento
della corte presenti aspetti problematici ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione
a queste sezioni unite.
La prima sezione ha invero ritenuto che non risponde alla sistematica del codice di rito che la
disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti del
giudizio, al di fuori di ogni controllo da parte del giudice. Irrilevante sarebbe il richiamo all’art.645,
comma 2 c.p.c., nel quale manca un’espressa prescrizione relativa al dimezzamento dei termini di
costituzione che, infatti, viene fatto discendere dall’applicazione degli artt.165 e 166 c.p.c., i quali
tuttavia prevedono la riduzione dei termini di costituzione quale conseguenza della riduzione dei
termini di comparizione operata dal giudice a richiesta dell’attore nella ricorrenza dei presupposti
indicati nell’art.163 bis c.p.c..
Peraltro, se fosse vero l’assunto della esistenza di un principio di adeguamento dei termini di
costituzione a quelli di comparizione la riduzione dei termini di costituzione dovrebbe operare
sempre e comunque nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perchè la formulazione del
dell’ art. 645c.p.c., comma 2, non consentirebbe alcuna discrezionalità. In realtà se la ratio della
riduzione dei termini di comparizione è quella di accelerare la definizione del giudizio di
opposizione, la riduzione alla meta dei termini di costituzione non è coerente con tale finalità,
posto che il termine di costituzione del creditore opposto decorre non già dalla costituzione
dell’opponente, ma dalla data dell’udienza di comparizione, che, tra l’altro, per effetto della
modifica dell’ art 163 bis. c.p.c., introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art.2 è ampliato da sessanta a
novanta giorni per l’Italia e da centoventi a centocinquanta giorni se il luogo della notificazione si
trova all’estero. Pertanto, senza un’apprezzabile utilità per la sollecita definizione del giudizio di
opposizione, si finisce per introdurre un onere particolarmente gravoso a carico dell’opponente,
che solo formalmente verrebbe bilanciato da analogo onere imposto al creditore opposto, il quale
non può in alcun modo essere equiparato al convenuto in un giudizio ordinario, avendo egli, anzi,
la qualità di attore in senso sostanziale. In tale situazione, ove si ritenga operante la riduzione del
termine di costituzione per effetto automatico dell’attribuzione al creditore opposto di un termine
inferiore a quarantacinque giorni sarebbe evidente l’irragionevolezza giacchè, a fronte di un
termine di costituzione per l’opponente di soli cinque giorni, l’opposto dovrebbe costituirsi nel
termine di dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, venendo così a godere di ben 35 giorni
per provvedere alla propria difesa. La pressione che in tal modo grava sull’opponente, mentre non
vale ad abbreviare i termini di durata del processo di opposizione risulterebbe ingiustificata
tenendo conto che l’opponente è attore solo in senso formale, ma sostanzialmente è convenuto, e
che la necessità di intraprendere la causa non è frutto di una meditata scelta in un lasso di tempo
discrezionale, ma necessitata dalla notifica dell’ingiunzione, laddove l’opposto dispone di tempi
ben più ampi per la costituzione, anche se, attore in senso sostanziale, ha fruito di ampia
disponibilità temporale nella decisione di presentare ricorso per decreto ingiuntivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’omessa e/o insufficiente motivazione circa punti
decisivi, in riferimento agli art. 645 c.p.c., comma 2 e art. 647 c.p.c., sostenendo che la corte
d’appello si sarebbe acriticamente adagiata sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità,
senza considerare il rilievo, formulato nell’atto di gravame, secondo cui perchè possa operare
l’abbreviazione dei termini di comparizione assegnati al creditore opposto è necessaria una
consapevole manifestazione di volontà dell’opponente di avvalersi della facoltà prevista dalla
legge, formulata in modo esplicito o desunta da elementi concludenti. Nella specie non sarebbero
state adeguatamente valutate le circostanze che il termine di comparizione assegnato era di soli
sette giorni inferiore a quello minimo e che la costituzione era avvenuta il nono giorno, il che
doveva far propendere per un mero errore materiale nel calcolo del termine di comparizione. A
ritenere irrilevante l’errore si introdurrebbe una presunzione assoluta di esercizio della facoltà di
abbreviazione dei termini da parte dell’opponente non prevista dalla legge, trasformando la
facoltà in un obbligo. Inoltre, il ricorrente afferma che la previsione della rinnovazione della
citazione (art. 164 c.p.c.) nel caso di assegnazione di un termine inferiore a quello di legge
dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che
costituisce un ordinario giudizio di cognizione, essendo insufficiente il riferimento alla specialità
del rito per giustificare l’applicazione di una sanzione, quale quella della improcedibilità.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c., comma 2,
con riferimento all’ art. 647 c.p.c., si sostiene che al giudizio di opposizione, come previsto dall’art.
645 c.p.c., deve applicarsi la disciplina del procedimento ordinario e pertanto in caso di
costituzione in giudizio, non omessa, ma semplicemente ritardata, non sarebbe giustificata la
sanzione processuale dell’improcedibilità, prevista soltanto per il giudizio di appello dall’ art. 348
c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990. Viene anche denunciata l’incoerenza consistente
nel ritenere inapplicabile, per la specialità del rito, l’art. 164 c.p.c. facendo allo stesso tempo
applicazione del disposto degli artt. 165 e 163 bis c.p.c..
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce errata o falsa applicazione dell’ art. 645 c.p.c., comma 2,
in quanto non sarebbe corretta l’estensione della riduzione del termine di costituzione previsto
dall’art. 165, per il caso in cui il giudice abbia autorizzato la riduzione del termine minimo a
comparire, all’ipotesi in cui la riduzione del termine di comparizione sia conseguenza di una mera
scelta di parte.
2. Le ragioni addotte dal ricorrente, in parte recepite e sviluppate nell’ordinanza interlocutoria
della prima sezione civile, non sono idonee a giustificare un mutamento del costante
orientamento della corte, anche se, come sarà in seguito precisato, è opportuno procedere a una
puntualizzazione. A parte un unico risalente precedente contrario, rimasto assolutamente isolato
(Cass. 10 gennaio 1955 n. 8), la giurisprudenza della corte è stata costante nell’affermare che
quando l’opponente si sia avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a
quello ordinario, il termine per la sua costituzione è automaticamente ridotto a cinque giorni dalla
notificazione dell’atto di citazione in opposizione, pari alla metà del termine di costituzione
ordinario (principio affermato, nei vigore dell’art. 645, come modificato con il D.P.R. n. 597 del
1950, art. 13 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente seguito; da
ultimo, v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 1842/2006).
Più recentemente, nell’ambito di tale orientamento, si è ulteriormente precisato che
l’abbreviazione del termine di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto
obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario,
essendo irrilevante che la fissazione di tale termine sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da
errore di calcolo ( Cass. n. 3752/2001, 14017/2002, 17915/2004, 11436/2009).
Contrariamente a quanto ritenuto da una parte della dottrina l’orientamento ora richiamato non è
privo della necessaria base normativa.
Se, infatti, è vero che nella formulazione originaria del codice del ’42, l’art. 645, comma 2
prevedeva la riduzione a metà dei termini di “costituzione”, mentre nell’attuale formulazione della
disposizione la riduzione a metà si riferisce solo ai termini di “comparizione”, dai lavori preparatori
non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare la funzione
acceleratoria della riduzione a metà dei termini di costituzione prevista dalla disciplina previgente,
ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza dalla introduzione del
sistema della citazione ad udienza fissa.
Non esiste, peraltro, nessuna ragione oggettiva che giustifichi l’opposta opinione che reputa che il
silenzio del legislatore in ordine alla disciplina dei termini di costituzione, a fronte della espressa
previsione contenuta nella disciplina previgente, sia significativo della volontà di cambiare la
regola, espressamente affermata dall’ art. 165 c.p.c., comma 1, che stabilisce un legame tra
termini di comparizione e termini di costituzione, al fine di rendere coerente il sistema nei
procedimenti che esigono pronta trattazione.
Ne deriva che tale regola, non può certo ritenersi di natura eccezionale o derogatoria, ma
espressione di un principio generale di razionalità e coerenza con la conseguenza che l’espresso
richiamo nell’art. 645 di tale principio sarebbe stata del tutto superflua.
Nè appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie di
cui all’ art. 163 bis c.p.c., comma 2, nella quale l’abbreviazione dei termini è conseguenza
dell’accertamento da parte del giudice della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione della
causa prospettate dall’attore, e di quella di cui all’ art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento è
compiuto (non dalla parte, come sostiene l’ordinanza di rimessione, ma direttamente) dal
legislatore una volta per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica la funzione del
dimezzamento dei termini di comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le esigenze di
accelerazione della trattazione e dall’altro, nell’opportunità di bilanciare la compressione dei
termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell’attore.
Essendo pacifica la sussistenza dell’esigenza di sollecita trattazione dell’opposizione, diretta a
consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore
inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l’esigenza di bilanciamento delle posizioni
delle parti, pur tenendo conto della peculiarità del giudizio di opposizione che, come è noto, ha
natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il completo esame
de rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del
decreto d’ingiunzione. E’ anche pacifico che, a differenza dalle qualità formali, le posizioni
dell’opponente e dell’opposto sono quelle, rispettivamente, di convenuto e di attore in senso
sostanziale. Ora, se è vero che l’opposto ha avuto tutto il tempo di impostare la propria posizione
processuale prima di chiedere il decreto ingiuntivo, resta anche vero che, di fronte alle allegazioni
e alle prove, prodotte o richieste, dall’opponente, l’opposto ha necessità di valutarle per
apprestare le sue difese e a tal fine sussiste l’esigenza di avere a disposizione i documenti sui quali
si fonda l’opposizione nel più breve tempo possibile, per riequilibrare il sacrificio del termine a sua
disposizione per valutare tali prove e articolare le difese prima della propria costituzione in
giudizio.
Ciò che è indubbio è che certamente la necessità di sollecita trattazione dei procedimenti di
opposizione meglio sarebbe stata soddisfatta se oltre alla riduzione a metà dei termini di
costituzione dell’opponente il legislatore avesse anche ridotto in misura congrua i termini di
costituzione dell’opposto, che invece restano abbastanza ampi (trentacinque giorni dalla notifica
dell’opposizione e cioè dieci giorni prima dell’udienza che deve essere fissata a non meno di
quarantacinque giorni dalla notifica stessa, ai sensi dell’ art. 166 c.p.c.), ma tale opportunità di
assecondare “l’euritmia del sistema” (corte cost. n. 18/2008), non incide sulla fondatezza del
rilievo che il dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente, comunque rappresenta
una, sia pur parziale e, forse, insoddisfacente, misura di accelerazione del procedimento.
3. Una parte della dottrina, ripresa anche dall’ordinanza della prima sezione civile, ha osservato
che la lettera dell’ art. 645 c.pc. induce a ritenere che il dimezzamento dei termini di comparizione
sia un effetto legale della proposizione dell’opposizione e non dipenda invece dalla volontà
dell’opponente che intenda assegnare un termine inferiore a quello previsto dall’art. 163 bis c.p.c..
In effetti esigenze di certezza e quindi di garanzia delle parti, di fronte alla previsione di termini
previsti a pena di procedibilità dell’opposizione, ha già portato a introdurre nell’orientamento
tradizionale, basato sulla facoltatività della concessione da parte dell’opponente di un termine a
comparire inferiore a quello legale, il temperamento costituito dall’affermazione dell’irrilevanza
della volontà dell’opponente che potrebbe avere assegnato un termine inferiore anche solo per
errore.
Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad
affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono
automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a
comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto
che l’opposizione sia sfata proposta, in quanto l’ art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di
opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà. Nel caso, tuttavia, in cui l’opponente
assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facoltà
dell’opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l’anticipazione dell’udienza di
comparizione ai sensi dell’art. 163 bis, comma 3.
D’altra parte, se effettivamente il dimezzamento dei termini di costituzione dipendesse dalla
volontà dell’opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, non si
capirebbe la ragione per la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono cumulatali il
dimezzamento che deriva dalla astratta previsione legale di cui all’ art. 645 c.p.c. con quello che
può discendere da un apposito provvedimento di dimezzamento di tali termini richiesto ai sensi
dell’art. 163 bis, comma 3. (Cass. n. 4719/1995, 18203/2008).
Nè potrebbe indurre a diverse conclusioni l’osservazione che, se si ritiene irrilevante la volontà
dell’opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, potrebbe
sorgere il dubbio che il sacrificio del suo termine di costituzione possa essere ingiustificato, alla
luce dell’ art.24 Cost., come potrebbe desumersi da corte cost. n. 38/2008. Infatti, l’effetto legale
del dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente, dipendente sia solo fatto della
proposizione dell’opposizione, è pur sempre un effetto che discende dalla scelta del debitore che
non può non conoscere quali sono le conseguenze processuali che la legge ricollega alla sua
iniziativa.
Infine, la diversa ampiezza dei termini di costituzione dell’opponente rispetto a quelli dell’opposto
non appare irragionevole posto che la costituzione del primo è successiva alla elaborazione della
linea difensiva che si è già tradotta nell’atto di opposizione rispetto al quale la costituzione in
giudizio non richiede che il compimento di una semplice attività materiale, mentre nel termine per
la sua costituzione l’opposto non è chiamato semplicemente a ribadire le ragioni della sua
domanda di condanna, oggetto di elaborazione nella fase anteriore alla proposizione del ricorso
per decreto ingiuntivo, ma ha la necessità di valutare le allegazioni e le prove prodotte
dall’opponente per formulare la propria risposta.
4. E’ consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo,
la tardiva costituzione dell’opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta
l’improcedibilità dell’opposizione ( Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 652/1978,
3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 2488/1957,
3128/1956). E’ innegabile infatti, da una parte, che la specialità della norma di cui all’ art. 647
c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che
la costituzione tardiva altro non è che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge. Il
ricorrente non ha prospettato ragioni decisive che possano indurre la Corte a discostarsi da tale
orientamento. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi, in relazione al dibattito esistente sulle questioni oggetto del presente
giudizio, per compensare le spese.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 20 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2010