Cons. di Stato – Decisione del 21.02.2008 n. 636 – Telecom non deve pagare la sanzione accessoria sull’importo della multa erogata dall’antitrust
Cons. di Stato – Sez. VI – Decisione del 21.02.2008 n. 636
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Bernardino Libonati, Filippo Lattanzi, Filippo Satta, Alberto Toffoletto e Piero D’Amelio, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo, in Roma, via della Vite, n. 7;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del Presidente pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato presso la stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; e nei confronti
Esatri s.p.a., non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, n. 1459/2007;
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 4-12-2007 relatore il Consigliere Roberto Chieppa. Uditi l’Avv. D’Amelio e l’Avv. dello Stato Arena; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O E D I R I T T O
1. A conclusione del procedimento A351, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato irrogava a Telecom Italia s.p.a. una sanzione pari a € 152.000.000,00 in relazione ad infrazioni alla legge n. 287/1990. Tale determinazione veniva impugnata davanti al Tar del Lazio, che dapprima, con ordinanza n. 835 del 16 febbraio 2005, sospendeva il provvedimento limitatamente alla irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria e, successivamente, accoglieva il ricorso con sentenza n. 3655 dell’11 maggio 2005.
Tale decisione veniva riformata da questa Sezione del Consiglio di Stato, che con sentenza n. 1271 del 10 marzo 2006 accoglieva in parte l’appello dell’Autorità e, nell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui all’art. 23 della legge 689/1981, rideterminava la sanzione in complessivi € 115.000.000,00.
Con nota del 17 maggio 2006 l’Autorità chiedeva a Telecom Italia il pagamento della sanzione come sopra rideterminata; sollecitando altresì anche il pagamento delle maggiorazioni previste dall’art. 27, comma 6, della legge 689/1981. Telecom Italia informava l’Autorità, con nota del successivo 19 giugno di aver provveduto al pagamento nel prescritto termine di giorni 30 e di non aver, tuttavia, pagato l’importo corrispondente alla sanzione accessoria di cui al comma 6 dell’art. 27 della legge 689/1981, ritenendo non sussistere, nella fattispecie, i presupposti per l’applicazione della maggiorazione ivi prevista.
Con ricorso al Tar del Lazio Telecom Italia ha contestato la cartella esattoriale recante obbligo di pagamento della somma di € 23.021.468,10 a titolo di maggiore ritardo nel pagamento di sanzione pecuniaria ai sensi del comma 6 della legge 689/1981.
Con sentenza n. 1459/07 il Tar ha accolto in parte il ricorso, dichiarando non dovuta da Telecom Italia la menzionata maggiorazione e invece dovuti, per il periodo al quale la controversia si riferisce, gli interessi al tasso legale. Tale decisione è stata impugnata da Telecom Italia con ricorso in appello principale, relativo alla statuizione inerenti gli interessi e dall’Autorità, con ricorso in appello incidentale (improprio) per la parte concernente la non applicabilità della maggiorazione ex art. 27, comma 6, della legge 689/1981. All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio è limitato all’accertamento dell’obbligo di pagare importi accessori rispetto ad una sanzione irrogata dall’Autorità antitrust, dapprima sospesa e poi rideterminata dal giudice amministrativo. Non è stata impugnata la statuizione della sentenza di primo grado, relativa alla legittimazione passiva dell’Autorità. In ordine logico deve essere previamente esaminato l’appello dell’Autorità, con cui questa sostiene che Telecom Italia deve pagare la maggiorazione, prevista dall’art. 27, comma 6, della legge n. 689/1981.
Secondo l’Autorità la sospensione dell’originaria sanzione, cui non è seguito il definitivo annullamento in sede di merito, non fa venire meno la responsabilità del debitore per il ritardo nel pagamento, tenuto anche conto che il presupposto per la maggiorazione ex art. 27, comma 6, della legge n. 689/81 è il semplice ritardo ultrasemestrale, senza alcun margine per criteri di imputabilità soggettivi.
Il ricorso è privo di fondamento.
L’art. 27, comma 6, della legge n. 689/1981 prevede che “in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all’esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti”. Come correttamente ritenuto dal Tar, si tratta di una maggiorazione (di rilevante importo) di natura sanzionatoria, che richiede la sussistenza del requisito del ritardo nel pagamento imputabile al debitore.
La natura sanzionatoria della maggiorazione è stata confermata anche dalla Corte Costituzionale, che con sentenza n. 308 del 1999 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 d.l. 30 aprile 1992 n. 285 e 27 comma 6 l. n. 689 del 1981, nella parte in cui prevedono misure aggiuntive assai più gravose rispetto agli interessi moratori. Secondo la Consulta, la maggiorazione per il ritardo nel pagamento prevista dal citato art. 27, comma 6 a carico dell’autore di un illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, non ha funzione risarcitoria come nel caso degli interessi moratori, o corrispettiva, ma riveste carattere di sanzione aggiuntiva, nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.
Ciò presuppone che il ritardo sia imputabile al debitore, come non è nel caso di specie, in cui la sanzione irrogata dall’Autorità era stata dapprima sospesa dal Tar del Lazio (prima della scadenza del termine di 90 giorni fissato per il pagamento), poi annullata in parte qua sempre dal Tar in parziale accoglimento del ricorso e successivamente rideterminata dal Consiglio di Stato. Tali vicende processuali hanno comportato che la sanzione, come rideterminata dal Consiglio di Stato, sia divenuta esigibile solo dopo la sentenza di appello del giudice amministrativo. In precedenza, la sanzione non era stata mai esigibile, in quanto sospesa con ordinanza i cui effetti erano stati assorbiti (ma non erano venuti meno) dalla sentenza del Tar di parziale accoglimento del ricorso, la cui esecuzione avrebbe comportato quanto meno una rideterminazione della sanzione da parte dell’Autorità. La rideterminazione è stata poi effettuata dal Consiglio di Stato, che da tempo si è espresso in favore della tesi dell’applicabilità ai giudizi in materia antitrust dell’art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981, che prevede il potere del giudice di annullare in tutto o in parte (l’ordinanza) o di modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta.
Questa Sezione ha aderito alla tesi dell’applicabilità del citato art. 23 e della conseguente giurisdizione di merito sulle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità (con possibilità quindi di modificarle in sede giurisdizionale), richiamando sia il principio di legalità, che tutela il diritto del privato a non subire imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 23 Cost.), sia la compatibilità con i principi della legge n. 287/1990 dell’art. 23 della legge n. 689/1981, sia infine la diversità del potere esercitato dall’Autorità per l’applicazione di una sanzione amministrativa tipicamente punitiva, quale quella pecuniaria (Cons. Stato, VI, 24 maggio 2002, n. 2869; 30 agosto 2002 n. 4362; 2 agosto 2004, n. 5368).
La somma dovuta a titolo di sanzione antitrust è divenuta nel caso di specie esigibile solo dopo la rideterminazione da parte del Consiglio di Stato e, avendo Telecom Italia provveduto al pagamento dopo tale rideterminazione, non può essere all’impresa imputato il ritardo per un periodo, in cui la sanzione non è stata mai esigibile ed anzi era stata quantificata in modo erroneo dall’Autorità. La natura sanzionatoria della maggiorazione ex art. 27, comma 6, della legge n. 689/1981 esclude in radice l’applicabilità della stessa al caso in esame.
3. Le precedenti considerazioni conducono anche all’accoglimento del ricorso in appello, proposto da Telecom Italia con riferimento all’obbligo del pagamento degli interessi legali. Il giudice di primo grado ha dichiarato dovuti gli interessi legali, sulla base del “pacifico principio della naturale fecondità del danaro” e ritenuto che il debito della Telecom doveva essere considerato, ex post, come un debito esigibile.
In realtà, è stato appena affermato che il debito di Telecom Italia è divenuto esigibile solo a seguito della rideterminazione della sanzione da parte del Consiglio di Stato. La sanzione originariamente irrogata dall’Autorità era erronea ed è stata sostituita da quella (corretta) indicata dal giudice. In assenza di esigibilità della sanzione e tenuto conto che la rideterminazione della stessa da parte del giudice non può avere effetto retroattivo, alcuna disposizione di legge e alcun principio generale prevedono il pagamento di interessi legali, che lo stesso art. 1282 c.c. collega a crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro.
Né può essere sostenuto che il riconoscimento praeter legem degli interessi legali, effettuato dal Tar, eviti ingiustificati pregiudizi per l’erario, oltre che inique discriminazioni tra le imprese che ottemperino immediatamente ed in via subito definitiva alla sanzione e quelle, invece, che, come la ricorrente, adempiano, ancorché giustificatamente, ma nondimeno oggettivamente, con ritardo. Infatti, nel caso di specie, il mancato pagamento immediato della sanzione non è dipeso dal mero ritardo della ricorrente, ma dalla sospensione della sanzione, seguita dal suo annullamento e poi dalla definitiva rideterminazione.
Tale fattispecie non può essere equiparata a quella delle imprese che pagano subito la sanzione, in quanto, in assenza di sospensione, il pagamento è atto dovuto e in caso di annullamento della sanzione le imprese hanno diritto alla restituzione delle somme, maggiorate di interessi legali dal giorno del pagamento al giorno dell’effettivo rimborso (Cons. Stato, VI, n. 2940/2003; n. 2941/2003); in ipotesi di rideterminazione della sanzione, la restituzione, oltre interessi, avviene solo per la differenza e, in questo caso, le eventuali differenze che possono sorgere sono inevitabili conseguenze di diverse valutazioni effettuate al giudice in sede cautelare e non costituiscono comunque motivo per introdurre in via pretoria un obbligo di pagamento di interessi, non previsto.
La tesi dell’Autorità condurrebbe, peraltro, ad escludere differenze tra chi non paga la sanzione senza alcuna ragione e chi non la paga per effetto di un provvedimento giurisdizionale favorevole; non si può neanche sostenere che tale tesi condurrebbe ad incentivare i ricorsi, in quanto ciò che scrimina non è la semplice proposizione dell’azione giudiziaria, ma gli effetti delle decisioni adottate dal giudice.
Alcun elemento in favore della tesi dell’Autorità può, infine, essere tratto dalla sentenza della Corte di Giustizia da questa richiamata (25 ottobre 1983, C-107/82), in quanto in quel caso la sospensione della sanzione era stata disposta anche in considerazione del fatto che la Commissione si era dichiarata disposta a sospendere l’esecuzione provvisoria della decisione, purché la ricorrente s’impegnasse a pagare gli interessi in caso di soccombenza dinanzi alla Corte; l’impresa aveva assunto l’impegno, con riserva, tuttavia, della valutazione della Corte circa la possibilità di pretendere il pagamento di detti interessi. Il giudizio si era concluso, a differenza di quello Telecom, con la reiezione del ricorso dell’impresa sanzionata e il riconoscimento degli interessi costituiva, quindi, un naturale effetto dell’esito del giudizio. Deve, quindi, ritenersi che Telecom Italia dovesse corrispondere, nel termine assegnato dopo la rideterminazione della sanzione, solo l’importo base della stessa senza alcuna maggiorazione, né ex art. 27, comma 6, della legge n. 689/1981, né a titolo di interessi legali.
4. In conclusione, deve essere accolto l’appello principale proposto da Telecom Italia s.p.a. e deve essere respinto l’appello incidentale proposto dall’Autorità, con conseguente accoglimento integrale del ricorso di primo grado. Tenuto conto della novità della questione, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello principale proposto da Telecom Italia s.p.a. e respinge il ricorso in appello incidentale proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’atto impugnato.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 21/02/2008