Consiglio di Stato – Decisione 18 giugno 2008 , n. 3030
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello iscritto al NRG. 7763 del 2007 proposto dalla PROVINCIA UMBRO PICENA DEL TERZO ORDINE REGOLARE DI S. FRANCESCO e dalla società T. a r.l., ognuna in persona del legale rappresentante in carica, entrambe rappresentate e difese dagli avvocati Michele Conte, Pietro Alessandrini e Massimo Merlini, con i quali sono elettivamente domiciliate in Roma, via E. Q. Visconti, n. 99 (presso lo studio del primo);
contro
COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Sportelli, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
e nei confronti di
ASSOCIAZIONE, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lo Mastro, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Lucrezio Caro, n. 38;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, n. 5149 del 4 giugno 2007;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma e dell’Associazione;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2008 il Consigliere Carlo Saltelli;
Uditi per le parti M. Conte, P. Alessandrini, Capotorto su delega dell’avv. C. Sportelli e G. Lo Mastro;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Il Comune di Roma (IX Dipartimento – II U.O. – Concessioni Edilizie) con atto n. 1036/C del 25 settembre 2002, in relazione alla domanda presentata in data 17 febbraio 2000, rilasciava alla Provincia Umbro – Picena del Terzo Ordine Regolare di San Francesco d’Assisi una concessione edilizia per la realizzazione in Roma, via …omissis… – Via …omissis…, di un Centro studi e servizi parrocchiali con demolizione del manufatto esistente, conformemente al progetto presentato e a condizione, oltre che del rispetto delle prescrizioni del sanitario riportate a tergo della concessione stessa, che “il manufatto da demolire, libero da persone e cose, lo sia anche prima dell’inizio dei lavori di costruzione”.
In data 22 settembre 2003 il concessionario comunicava il coevo inizio dei lavori, indicando anche il nominativo del direttore dei lavori.
Il Corpo della Polizia Municipale, con nota prot. 73945 RHDEA del 23 dicembre 2004 rilevava nell’area sita in via …omissis…, un abuso edilizio così descritto: “in un’area delimitata da bandoni metallici con esposto cartello relativo ai dati di cui alla concessione n. 1036/C del 25/09/2002, i lavori non erano iniziati nell’anno successivo al rilascio della stessa. In data 28.08.04 inizio ai lavori nonostante l’inefficacia, per decadenza, delle precedente concessione senza richiedere relativo permesso di costruire”; quali responsabili di tale abuso venivano individuati la Provincia Umbro Picena, titolare della concessione edilizia decaduta, e la società T. s.r.l., acquirente dell’area in questione ed esecutrice dei lavori privi del permesso di costruire.
A seguito di ciò con determina n. 17 del 7 gennaio 2005 il dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio IV – Roma Montesacro disponeva la sospensione dei lavori.
2. La società T. s.r.l., divenuta proprietaria – giusta compromesso in data 18 settembre e successivo rogito notarile del 7 luglio 2004 – del terreno con annesso in immobile sito in Roma, via …omissis… angolo via …omissis… (in catasto al foglio 274, n. 228 e 230, già di proprietà della Provincia Umbro – Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco), relativamente al quale era stata rilasciata la ricordata concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l’annullamento delle predetta determina dirigenziale n. 17 del 7 gennaio 2006, in uno con tutti gli atti connessi e conseguenti, nonché il risarcimento del danno conseguente.
In sintesi la ricorrente, delineati minuziosamente i fatti di causa e ricordato che con D.I.A. in data 1^ settembre 2004 (prot. 53586) ai sensi degli articoli 22 e 23 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, era stata presentata una variante d’opera (alla originaria concessione n. 1036/C del 22 settembre 2002) per la realizzazione di due piani interrati da adibire a parcheggio pertinenziale dell’erigendo manufatto, deduceva l’illegittimità del provvedimento impugnato alla stregua di tre motivi di censura (rubricati rispettivamente “violazione di legge sub specie di violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, nonché dell’art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000”; “violazione di legge degli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione – errata ed insufficiente motivazione artt. 2 e 3 L. 241/90 – Eccesso di potere sub specie, difetto di istruttoria, irragionevolezza dell’azione amministrativa”; “violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 23 D.P.R. 380/01 in relazione agli artt. 19 e 20 L. 241/90”), in quanto non era stata assicurata la necessaria partecipazione procedimentale, tanto più che, per un verso, esso di fondava sull’erroneo presupposto del mancato tempestivo inizio dei lavori assentiti con la concessione n. 1036/C del 22 settembre 2002, circostanza che era smentita dalla documentazione versata in giudizio, e che, per altro verso, esso aveva inammissibilmente inciso anche sui lavori inerenti alla realizzazione di un parcheggi pertinenziale del tutto legittimi in quanto oggetto della D.I.A. in data 1^ settembre 2004, di cui altrettanto erroneamente ed illegittimamente si predicava l’inefficacia ad oltre cinque mesi dalla sua presentazione.
In detto giudizio iscritto al NRG 3507 dell’anno 2005 si costituiva il Comune di Roma, rivendicando la legittimità dei provvedimenti impugnati.
3. Con determinazione n. 1023 del 29 aprile 2005 il dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio IV – Roma Montesacro, a seguito dell’abuso edilizio accertato dal Corpo della Polizia Municipale di Roma, IV Gruppo (giusta nota prot. 18882 del 31 marzo 2005,abuso consistente nella realizzazione delle seguenti opere edili prive del permesso di costruire: “realizzazione di palificazione interrata perimetrale di tutta l’area in conglomerato cementizio armato in ferro con pali di dimensioni variabili; dall’estremità fuoriescono tondini di ferro predisposti per il collegamento di cordolatura tra i pali stessi ed eventuali altre opere collegabili; realizzazione di una gabbia, al momento non ancora ultimata, per una lunghezza di mtl. 15 circa”), ordinava alla società T. s.r.l. l’immediata sospensione dei lavori, comunicandole contestualmente l’avvio del procedimento relativo alla contatta violazione urbanistico – edilizia.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 9 giugno 2005 la società T. s.r.l. chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’annullamento di detta determinazione, denunciandone l’illegittimità alla stregua degli stessi tre motivi di censura spiegati nel ricorso NRG. 3507/2005 (violazione di legge sub specie di violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 nonché dell’art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000; violazione di legge degli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione – errata ed insufficiente motivazione artt. 2 e 3 L. 241/90 – eccesso di potere sub specie, difetto di istruttoria, irragionevolezza dell’azione amministrativa; violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 23 D.P.R. 380/01 in relazione agli artt. 19 e 20 L. 241/90 e L. 443/01 – silenzio assenso e silenzio approvativi).
In detto giudizio, iscritto al NRG. 5869 dell’anno 2005, si costituiva il Comune di Roma, chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Con altra determinazione dirigenziale n. 523 del 26 aprile 2005 il direttore del Dipartimento IX – U.O. 2 del Comune di Roma (Ufficio Concessioni Edilizie) dichiarava l’avvenuta decadenza in data 26 settembre 2003 della concessione edilizia n. 1036/C/2002, rilasciata alla Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco, per non essere i relativi lavori iniziati entro un anno dal rilascio del titolo; con lo stesso provvedimento veniva altresì respinta l’istanza in data 12 agosto 2004 della società T. s.r.l. per la voltura in suo favore della predetta concessione e disposta la sospensione dei lavori, se in corso.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 27 giugno 2005 la Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’annullamento di detto provvedimento di decadenza, spiegando due motivi di censura, il primo rubricato “violazione e falsa applicazione di legge in riferimento all’art. 15 D.P.R. 380/2001 – eccesso di potere nelle sue forme sintomatiche (difetto di istruttoria, errore di fatto, travisamento, illogicità, contraddittorietà) nella parte in cui si “dichiara” del provvedimento impugnati” e il secondo “eccesso di potere nelle sue forme sintomatiche (errore di fatto, difetto di istruttoria) del provvedimento impugnato nella parte di “determina””.
In sintesi, secondo la ricorrente, diversamente da quanto inopinatamente sostenuto dagli uffici comunali, i lavori relativi alla concessione edilizia n. 1036/C/2002 rilasciata il 25 settembre 2002 erano effettivamente iniziati entro l’anno, come risultava dalla comunicazione in data 23 settembre 2002, circostanza che non poteva considerarsi smentita dal verbale della Polizia Municipale il cui accertamento, indipendentemente dal suo contenuto, era comunque intervenuto a notevole distanza di tempo dalla scadenza del termine per l’inizio dei lavori; sotto altro profilo, peraltro, poiché l’area in questione era stata ceduta alla società T. s.r.l., era illegittima la sospensione dei lavori in corso ingiunta alla ricorrente Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco.
In detto giudizio, iscritto al NRG. 6503 dell’anno 2005, si costituivano in giudizio il Comune di Roma e l’Associazione, che instavano per l’accoglimento del ricorso, nonché la società T. s.r.l. che ne chiedeva l’accoglimento.
5. Infine con determinazione n. 1291 del 3 giugno 2005 il dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio IV – Roma Montesacro, sulla scorta delle proprie precedenti determinazioni n. 17 del 7 gennaio 2005 e n. 1023 del 29 aprile 2005 e degli abusi edilizi ivi indicati, ordinava alla società T. s.r.l. di provvedere entro 90 giorni alla demolizione di tutte le opere abusive eseguite e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con l’avviso che l’inutile decorso del tempo assegnato avrebbe comportato la loro acquisizione al patrimonio pubblico unitamente all’area di sedime.
Anche di tale provvedimento la società T. s.r.l. chiedeva l’annullamento al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, denunciandone l’illegittimità: a) in via derivata dall’illegittimità del provvedimento di decadenza della concessione edilizia n. 1036/C/2002, impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato per “violazione dell’art. 15 e art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. edilizia) – eccesso di potere per errore o travisamento dei presupposti di diritto e di fatto, per carente ed erronea istruttoria, per carente ed erronea motivazione con violazione dell’art. 3, 1^ comma, L. 7.8.1990, n. 241, per contraddittorietà e per carenza dell’interesse pubblico – violazione dell’art. 10, lett. b), della L. n. 241/90”; b) per vizi propri per “eccesso di potere per assoluta illogicità e per impossibilità dell’attività ingiunta – violazione dell’art. 1, comma 2, L. n. 241/90 per aggravamento del procedimento – violazione dell’intera normativa circa la sicurezza e la protezione degli effetti inquinanti dell’amianto – violazione e falsa applicazione dell’art. 31 T.U. edilizia”.
In detto giudizio, iscritto al NRG. 7686 dell’anno 2005, si è costituito il Comune di Roma, chiedendo il rigetto del ricorso.
6. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, con la sentenza n. 5149 del 4 giugno 2007, riuniti i ricorsi, respinte le dedotte eccezioni di inammissibilità dell’intervento in giudizio dell’Associazione, ha: a) respinto il ricorso NRG. 6305/05, ritenendo immune dai vizi la determinazione dirigenziale n. 523 del 26 aprile 2005, recante la dichiarazione di decadenza della concessione edilizia n. 1036/C del 25 settembre 2002 e il rigetto dell’istanza di voltura della stessa alla società T. s.r.l.; b) dichiarato improcedibili i ricorsi NRG. 3507/05 e NRG. 5869/05, entrambi proposti dalla società T. s.r.l. avverso le determinazioni dirigenziali n. 17 del 7 gennaio 2005 e n. 1023 del 29 aprile 2005, entrambe di sospensione dei lavori; c) dichiarato in parte inammissibile (per la pendenza di un ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso lo stesso provvedimento impugnato in sede giurisdizionale) ed in parte infondato il ricorso NRG.7686/05 proposto dalla Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco avverso la determinazione dirigenziale n. 1292 del 3 giugno 2005.
In sintesi, secondo l’adito tribunale, correttamente l’amministrazione comunale aveva dichiarato la decadenza della concessione edilizia n. 1036/C del 25 settembre 2002, non essendo stato provato l’effettivo tempestivo inizio dei relativi lavori, irrilevante e non pertinente essendo il materiale probatorio versato in atto, così come correttamente – di conseguenza – era stata ingiunta la sospensione dei lavori eseguiti senza permesso edilizio.
7. Avverso tale statuizione hanno proposto appello la Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco e la società T. s.r.l., chiedendone la riforma alla stregua di quattro motivi di gravame, rubricati rispettivamente, il primo “Violazione dell’art. 15 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 – violazione dell’articolo 18 della L. 7 agosto 2000, n. 241 – violazione del principio generale per il quale in caso di forza maggiore i termini di efficacia dei provvedimenti amministrativi devono essere prorogati – Omesso esame di fatti rilevanti al fine di decidere”; il secondo “Violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – omesso esame di un punto determinante dei ricorsi proposti”; il terzo “Violazione degli artt. 22 e 23 del D.P.R 6 giugno 2001 n. 380”; il quarto “Risarcimento del danno”.
Hanno resistito al gravame, deducendo l’infondatezza e chiedendone perciò il rigetto, il Comune di Roma e l’Associazione.
Tutte le parti hanno illustrato le proprie tesi difensive con apposite memorie difensive.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e deve essere respinto.
1.1. Con il primo motivo le appellanti hanno denunciato “Violazione dell’art. 15 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 – violazione dell’articolo 18 della L. 7 agosto 2000, n. 241 – violazione del principio generale per il quale in caso di forza maggiore i termini di efficacia dei provvedimenti amministrativi devono essere prorogati – Omesso esame di fatti rilevanti al fine di decidere”.
A loro avviso i primi giudici, pur affermando principi corretti, ne avrebbero tuttavia fatto erronea applicazione al caso di specie, non avendo considerato che la concessione edilizia n. 1036/C del 25 settembre 2002 era subordinata alla condizione che il manufatto da demolire fosse libero dalle cose e dalle persone che lo occupavano: di conseguenza poiché tale evenienza si era effettivamente verificata, come emergeva indiscutibilmente dalla documentazione in atti, solo nell’estate del 2004 e successivamente erano state avviate senza alcun indugio le operazioni preliminare alla demolizione (quale la rimozione e lo smaltimento dell’amianto presente), non si erano verificati in punto di fatto i presupposti per la dichiarazione di decadenza del predetto titolo abitativo.
D’altra parte, sempre secondo le appellanti, non solo il titolare del titolo abitativo non aveva alcun obbligo di comunicare la eventuale situazione di forza maggiore, quale la presenza di cittadini extracomunitari nel manufatto da demolire, per quanto tale circostanza era nota alla stessa amministrazione comunale, come risultava dalla documentazione versata in atti: anche sotto tale ulteriore profilo era evidente l’errore di giudizio e di valutazione in cui erano incorsi i primi giudici.
La tesi, puntualmente avversata dalle parti appellate, non può essere condivisa (e ciò indipendentemente dalla sua stessa intima contraddittorietà, atteso che per un verso si sostiene che i lavori relativi alla concessione edilizia n. 1036/C del 25 settembre 2002 sarebbero stati effettivamente iniziati entro l’anno dal suo rilascio, giusta comunicazione in data 23 settembre 2003 della Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco, e, per altro verso, si invoca quale causa impeditiva dell’avvio dei lavori la presenza di extracomunitari nel manufatto da demolire).
I.1.1. Innanzitutto la Sezione osserva che l’articolo 15 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dopo aver stabilito al comma 1 che nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, al secondo periodo del comma 2, prevede che detti termini possono essere prorogati con provvedimento motivato per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti è la stessa norma che, oltre a prevedere la perentorietà dei termini di inizio e di conclusione dei lavori assentiti con il permesso di costruire, ammette la proroga di tali termini solo con provvedimento motivato che, a sua volta, presuppone la istanza dell’interessato (istanza indispensabile per consentire all’amministrazione di valutare la fondatezza e la rilevanza delle ragioni che la giustificano): ciò esclude in radice la possibilità di una sospensione automatica dei termini, anche nell’ipotesi di forza maggiore.
D’altra parte, anche a voler prescindere dalla pur non irrilevante considerazione che la concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002 era stata rilasciata a condizione – tra l’altro – che il manufatto da demolire fosse libero da cose e da persone (così che non può ragionevolmente ritenere che la presenza di extracomunitari possa integrare una ipotesi di causa di forza maggiore, trattandosi invece di una situazione di cui il titolare del permesso di costruire doveva effettivamente tener conto nella stessa programmazione dei lavori da eseguire), non può non rilevarsi che la dedotta presenza di persone nel manufatto da demolire non poteva in alcun modo ostacolare o impedire la presentazione di una istanza di proroga dei termini di inizio dei lavori assentiti.
Poiché tale istanza di proroga non risulta giammai essere stata presentata dal titolare della concessione edilizia, correttamente l’amministrazione comunale ha dichiarato la decadenza del citato titolo abilitativo, alla stregua peraltro di un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di decadenza, in mancanza di apposita istanza di proroga, si qualifica come atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato completamento dei lavori nel termine assegnato (C.d.S., sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3196; Sez. V, 3 febbraio 2000, n. 597).
1.1.2. Anche la tesi secondo cui i lavori sarebbero effettivamente iniziati entro l’anno dal rilascio della concessione edilizia non ha trovato alcun sicuro riscontro probatorio.
Anche a prescindere, infatti, dalla circostanza che l’affermazione contenuta nell’accertamento svolto dal Corpo di Polizia Municipale di cui alla nota prot. 73945 del 23 dicembre 2004 non ha trovato alcuna idonea smentita (tale non potendo essere considerata la mera avversa contestazione o la inammissibile prova per testi ex adverso avanzata in primo grado attraverso le forme della dichiarazione di scienza da parte di non meglio identificati soggetti a conoscenza dei fatti), non può non rilevarsi che la tesi delle parti appellanti si incentra sulla sufficienza al riguardo della nota in data 22 settembre 2003 con cui il titolare della concessione ebbe a comunicare l’inizio dei lavori.
Sennonché tale generica dichiarazione non può ritenersi idonea a dimostrare l’inizio dei lavori, che doveva essere provato in modo rigoroso, quanto meno con riferimento all’effettivo svolgimento delle attività necessarie direttamente e immediatamente collegate al predetto inizio dei lavori, tali non potendo essere considerate la recinzione del cantiere ed il posizionamento della baracca del cantiere: in tal senso è significativa la lettura del Piano operativo di sicurezza in data 22 settembre 2003, versato in atti dalle appellanti, da cui emerge che la preparazione dell’area di cantiere, comprendente l’installazione del cantiere per la realizzazione del fabbricato (assentito con la concessione edilizia n. 1036/C del 25 settembre 2002) ed in particolare la realizzazione della recinzione del cantiere, la pulizia dell’area, la realizzazione dell’impianto elettrico e di terra del cantiere, l’installazione della cartellonistica di cantiere, etc., si sarebbe esaurita nell’arco di cinque giorni lavorativi (dal 22 al 26 settembre 2003), con la conseguenza che tale attività non può giammai considerarsi in senso stretto inizio dei lavori di cui alla più volte citata concessione n. 1036/C/2002.
Del resto la conferma che la nota in data 22 settembre 2003 costituisca una mera comunicazione cui non corrisponde il benché minimo inizio dei lavori trova conferma proprio nel fatto che le stesse parti appellanti hanno affermato di non poter avviare i lavori assentiti per la presenza di persone nel manufatto da demolire, invocando a tal fine la causa di forza maggiore.
E’ appena il caso di rilevare che, al riguardo, la giurisprudenza ai fini del rispetto del termine di efficacia della concessione edilizia esige che vi sia stato un serio inizio dei lavori (C.d.S., sez. V, 29 novembre 2004, n. 7748).
Il motivo in esame deve essere pertanto respinto.
I.2. Parimenti infondato è il secondo motivo di gravame, con il quale le appellanti, lamentando “violazione degli artt. 7 ed 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Omesso esame di un punto determinante dei ricorsi proposti”, hanno sostenuto che i primi giudici non avrebbero tenuto conto del puntuale motivo di censura con il quale era stato dedotto che il provvedimento di decadenza della concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002, per mancato tempestivo inizio dei lavori, non era stato preceduto dall’espletamento delle necessarie garanzie partecipative di cui agli articoli di legge in rubrica.
Tale motivo, oltre che infondato, è anche inammissibile.
Infatti, come si ricava dall’attenta lettura del ricorso introduttivo del giudizio (notificato il 27 giugno 2005) volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento di decadenza della predetta concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre, non è stata giammai sollevata la censura di violazione gli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e quindi delle relative garanzie partecipative, di cui si assume la mancata valutazione.
Il motivo di gravame in esame è pertanto, sotto un primo profilo, inammissibile atteso che è noto che il thema decidum del giudizio di appello è delimitato dalle censure dedotto in primo grado e nell’eventuale atto per motivi aggiunti, con conseguente inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., di censure nuove dedotte per la prima volta con l’atto di appello (C.d.S., sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2372).
Di ciò peraltro le parti appellanti sono probabilmente ben consapevoli, giacché hanno sostenuto che tale motivo di gravame (pur evidentemente non appuntato specificamente avverso il ricordato provvedimento di decadenza della concessione) era stato formulato tuttavia nei confronti dei provvedimenti (in qualche modo presupposti a quello – della cui legittimità si discute) con cui era stata disposta la sospensione dei lavori asseritamente ritenuti abusivi dall’amministrazione comunale, pure impugnati, ma i cui ricorso sono stati dichiarati improcedibili (di qui l’erronea omessa pronuncia sul punto da parte dei primi giudici).
Sennonché tale argomentazione è priva di qualsivoglia fondamento giuridico, atteso che, com’è noto, la riunione di cause connesse lascia comunque inalterata l’autonomia dei singoli giudizi (Cass. Civ., sez. II, 4 agosto 2006, n. 17674; C.d.S.., sez. IV, 12 agosto 2005, n. 4372), così che i motivi di impugnazione proposti in un determinato giudizio non possono trasmettersi ad un’altra impugnazione rivolta avverso un altro provvedimento, a nulla rilevando che le diverse impugnazioni siano state riunite per ragioni di connessione oggettiva o soggettiva.
In ogni caso il motivo è da ritenersi anche infondato in punto di fatto.
Dalla attenta lettura del provvedimento di decadenza della concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002 si ricava agevolmente che esso si fonda, tra l’altro, sulla nota n. 73945 del 23 dicembre 2004 del Corpo della Polizia Municipale di Roma – U.O. IV Gruppo che aveva accertato l’esecuzione di opere edilizie prive di titolo, specificando in questo modo l’abuso: “in un’area delimitata da bandoni metallici con esposto cartello relativo ai dati di cui alla concessione n. 1036/C del 25/09/2002, i lavori non erano iniziati nell’anno successivo al rilascio della stessa. In data 28.08.04 inizio ai lavori nonostante l’inefficacia, per decadenza, delle precedente concessione senza richiedere relativo permesso di costruire”.
A seguito di tale accertamento veniva emanata la determina n. 17 del 7 gennaio 2005, con cui il dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio IV – Roma Montesacro disponeva la sospensione dei lavori, avvertendo tuttavia che essa costituiva anche comunicazione dell’avvio del procedimento a carico della Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco per la constata violazione urbanistica indicata nella predetta comunicazione della Polizia Municipale.
Non può pertanto fondatamente negarsi che la comunicazione di avvio del procedimento vi sia stata e che essa fosse finalizzata all’adozione anche della dichiarazione di decadenza della concessione per il mancato tempestivo inizio dei lavori, tale essendo chiaramente indicato nella nota della Polizia Municipale coma la ragione fondamentale dell’abuso edilizio accertato; ciò senza contare che con la nota in data 25 febbraio 2005 a firma congiunta dell’avv. Massimo Merlini e del legale rappresentante della Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco (diretta al Comunione di Roma – Municipio IV Montesacro proprio con riferimento all’invito contenuto nella ricordata determina dirigenziale n. 17 del 7 gennaio 2005) veniva proprio da tale Provincia contestata l’affermazione del tardivo inizio dei lavori assentiti con la concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002.
La partecipazione procedimentale non solo è stata astrattamente garantita, ma si è anche effettivamente realizzata.
I.3. Alla infondatezza dei primi due motivi di gravame consegue la conferma della correttezza del giudizio dei primi giudici in ordine alla legittimità della determinazione dirigenziale n. 523 del 26 aprile 2005 di decadenza della più volte citata concessione edilizia n. 1036/C del 22 settembre 2002.
Detta concessione costituiva d’altra parte il presupposto logico – giuridico della “variante” di cui alla D.I.A. presentata dalla società T. s.r.l. in data 1^ settembre 2004, così che la legittima decadenza dichiarata della prima travolge necessariamente la predetta istanza di variante ed esclude qualsiasi rilevanza della dedotta violazione al riguardo degli articoli 22 e 23 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non potendo essersi formato per silenzio alcun titolo abilitativo autonomo (la variante – come detto – accedendo necessariamente alla prima concessione edilizia).
Ugualmente infondato è il quarto motivo di appello con cui le appellanti hanno chiesto il risarcimento del danno, difettandone il presupposto principale, vale a dire la illegittimità dei provvedimenti impugnati ed in particolare del provvedimento dichiarativo della decadenza della concessione n. 1036/C del 22 settembre 2002.
E’ appena il caso di precisare che nulla vieta agli interessati di riproporre, ove ne sussistano i presupposti, la domanda per il rilascio del necessario titolo abilitativo.
2. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Nondimeno la peculiarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Provincia Umbro Picena del Terzo Ordine Religioso di S. Francesco e dalla società T. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, n. 5149 del 4 giugno 2007, lo respinge.
Dichiara compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 aprile 2008, con l’intervento dei signori:
– Costantino SALVATORE – Presidente f.f.
– Pier Luigi LODI – Consigliere
– Carlo SALTELLI – Consigliere, est.
– Salvatore CACACE – Consigliere
– Sandro AURELI – Consigliere
IL PRESIDENTE F.F.
Costantino Salvatore
L’ESTENSORE
Carlo Saltelli
IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo
Depositata in Segreteria il 18 giugno 2008