Negli ultimi anni, il mobbing è stato oggetto di notevole attenzione sia in dottrina che in giurisprudenza. Secondo l’Associazione contro lo Stress Psico-sociale ed il Mobbing, fondata in Germania nel 1993, il mobbing consiste in “una situazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti, nella quale la persona attaccata (il mobbizzato o one-down) viene posta in una posizione di debolezza e aggredita, direttamente o indirettamente, da una o più persone (il mobber o one-up) in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”.
Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e, a lungo andare, accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche ad invalidità psicofisiche permanenti di vario genere.
Si può concordare, fin da ora, che esistono casi in cui il mobbing è evidente e, perfino, tipizzato, cioè si tratta di ipotesi tipiche di illecito datoriale, qualificabili modernamente in termini di mobbing: si pensi al demansionamento, al licenziamento ingiusto, al licenziamento ingiurioso, etc.
Esistono, poi, casi atipici di condotte di mobbing, cioè condotte che di per sé non sono illecite o, comunque, non sono già sanzionabili sulla base della normativa protettiva del lavoratore.
Da questo punto di vista, la categoria in esame non ha solo funzione descrittiva o sistematica, ma anche funzione pratica, nel senso di rendere risarcibile condotte altrimenti prive di adeguata tutela.
La fattispecie in argomento viene, in genere, qualificata come illecito contrattuale, attraverso il richiamo dell’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure di tutela necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro. Viene, altresì, richiamato l’art. 2 Cost. in considerazione del fatto che l’ambiente di lavoro è uno dei luoghi in cui si svolge la personalità del lavoratore, danneggiata dalla condotta mobbizzante.
In particolare, si parla di mobbing orizzontale quando i comportamenti posti in essere ai danni di un lavoratore, con finalità emulative, provengono da colleghi; invece, si parla di mobbing verticale, o bossing quando autore del mobbing è un superiore o il datore di lavoro.
Discussa è configurabilità del mobbing dal basso verso l’alto, per cui la condotta emulativa risulta messa in atto da un lavoratore al fine di danneggiare il datore di lavoro. Sul punto, si delineano due opposte teorie, entrambe caratterizzate da luci ed ombre.
Secondo la tesi negativa, il diritto del lavoro, per sua natura, mira a tutelare il soggetto più debole del rapporto, cioè il prestatore di lavoro. Pertanto, sarebbe un paradosso consentire la configurabilità di una condotta illecita in capo al lavoratore al fine di rafforzare la posizione del datore di lavoro, che è già il più forte.
Oltre tutto, il datore di lavoro ha a propria disposizione strumenti efficaci per “difendersi” dal comportamento mobbizzante di un dipendente, senza che sia necessario ricorrere alla figura del mobbing dal basso verso l’alto.
Secondo una diversa ricostruzione, invece, alla domanda prima posta potrebbe essere data una risposta positiva. Nella prassi capita, invero, che il dirigente nominato attraverso logiche di spoil system nell’ambito del pubblico impiego privatizzato non venga rispettato dai dipendenti (per una serie di motivi, tra cui l’età, l’inesperienza) e si trovi costretto a subire atteggiamenti denigratori mobbizzanti anche di carattere corporativo.
Chiaramente, qui, non è applicabile l’art. 2087 c.c. dedicato alla tutela del lavoratore, quanto piuttosto l’art. 1375 c.c., in quanto il lavoratore che mobbizzi il datore di lavoro certamente terrebbe, nell’esecuzione del contratto, un comportamento contrario a buona fede.
Inoltre, l’obiezione secondo cui il datore di lavoro avrebbe già a disposizione lo strumento del licenziamento, per cui non si giustificherebbe il ricorso al mobbing, sarebbe superabile in quanto, proprio nell’ipotesi di accordo corporativo dei lavoratori ai danni del datore di lavoro, difficilmente si potrebbe ricorrere al licenziamento.