Fondamentale per la valida costituzione del matrimonio è lo scambio del consenso dei nubendi (Cfr. Can. 1057 CIC). Tuttavia, circostanze particolari legate alla capacità psichica della persona possono influenzare negativamente questa manifestazione della volontà, tanto da poter determinare in alcuni casi l’incapacità canonica a contrarre un valido matrimonio (Cfr. Can 1095 CIC).
In tempi recenti, è emersa sempre più la massiccia influenza di disturbi patologici della personalità, che incidono sulla capacità matrimoniale per difetto di discrezione di giudizio o per una incapacità ad assumere gli oneri matrimoniali – di conseguenza portando il giudice ecclesiastico a riconoscere una nullità delle nozze – causati dall’uso ossessivo compulsivo della tecnologia digitale.
Il profilarsi di questi casi ha richiamato l’attenzione degli studiosi che hanno alimentato la dottrina canonistica circa il rapporto tra le “nuove dipendenze” e la nullità matrimoniale.
Il matrimonio richiede la capacità dei soggetti contraenti di comprendere pienamente la natura dell’unione e gli obblighi che ne derivano, chi manca di discretio iudicii non potrà comprendere giustamente questa esigenza.
La giurisprudenza ecclesiastica vede sempre più una evoluzione dei casi di incapacità al matrimonio. Alcuni di questi, si vogliono evidenziare, poiché riguardano l’esistenza di dipendenze che potrebbero impedire o alterare la capacità di assumere gli oneri del matrimonio.
La gravità di questa situazione al momento del consenso va esaminata caso per caso e in detto esame i giudici devono servirsi di un perito nel settore, il quale dovrà effettuare una diagnosi e fornire le proprie conclusioni logiche in merito.
Altresì, rende nullo il matrimonio per dolo l’errore sulla persona del coniuge, dovuto alla reticenza circa determinate qualità che ineriscono alla comunione sponsale, tra queste proprio le dipendenze legate al mondo digitale vanno a costituire un elemento importante da esaminare circa la capacità consensuale e l’idoneità delle parti a mantenere saldamente in vita il consortium matrimoniale.
Esistono, e sono continuamente allo studio della scienza psichiatrica e psicologica, ossessioni e compulsioni che possono compromettere l’efficienza dell’intelletto umano, tale da impedire alla persona di valutare con sufficiente concretezza la realtà che lo circonda. In particolare, questo può avvenire riguardo la persona del coniuge, la natura del matrimonio da celebrare, la possibilità di vivere nel futuro un’unione paritaria, duratura e affettivamente sana.
In taluni casi, la libertà interiore (intellettuale e volitiva) del soggetto viene compromessa dalla patologica “dipendenza” da una sostanza, comportando un inestinguibile bisogno al consumo e alla ricerca della sostanza, mentre ogni privazione genere una insopportabile astinenza. Di fatti: le dipendenze patologiche agiscono sul sistema nervoso centrale e modificano il comportamento abituale del soggetto, il suo modo di agire e i suoi vissuti psichici. Le dipendenze patologiche causano disturbi di personalità e limitazione di diverse potenzialità fisiche e psichiche nell’individuo.
L’incapacità di un soggetto di controllare le proprie azioni è collegabile ad un disturbo psicologico del controllo degli impulsi, tanto che la persona si comporta in quel modo anche se si rende conto che l’azione è dannosa per sé o anche per gli altri.
Il giudice ecclesiastico è chiamato, dall’ordinamento canonico, a valutare se esiste un nesso di casualità logico – usufruendo della cooperazione scientifica di un perito circa la determinazione della patologia psichica – tra la dipendenza e la scelta matrimoniale e la realizzazione della vita coniugale.
La norma di riferimento sarà il Can. 1095 CIC. Il giudice dovrà valutare se la fragilità della persona incide tanto gravemente sulla capacità intellettive e volitive del soggetto, la cui esistenza non riesce ad accogliere la realtà del matrimonio, perché unicamente incentrata sulla sostanza o sul comportamento oggetto della dipendenza.
Un soggetto potrebbe presentare una dipendenza non collegata all’uso di sostanze (droghe, alcool, acidi, ecc.), bensì un tipo di disturbo comportamentale reiterato, dovuto alla compulsività di un’attività o di un comportamento, dal quale trae un appagamento del quale non può fare a meno. Tali forme di disturbo antisociale di personalità sono detti “dipendenza psichica”, “new addiction” o anche “addiction”.
Con questo termine si vuole indicare lo stato generale in cui la dipendenza psicologica costringe l’individuo a cercare ossessivamente la sostanza o l’oggetto, perché vivere senza una determinata sostanza o senza attuare un determinato tipo di comportamento risulta privo di ogni valore esistenziale.
Invero, queste nuove dipendenze sono delle patologie non-sostanziali, in cui il comportamento morboso non dipende dall’uso di una sostanza chimica o simili, ma da un’azione che anche apparentemente ordinaria, diventa ossessiva per il soggetto che compulsivamente deve realizzare quell’attività e ottenerne il beneficio desiderato. Ovviamente questo va a discapito di ogni relazione umana, sana ed empatica. L’assenza di questo comportamento genera nella persona una vera e propria astinenza e provoca l’ostinata ricerca di ciò che compiace la propria addiction.
Nell’elenco delle dipendenze patologiche non sostanziali ritroviamo: dipendenza da internet, da gioco d’azzardo, dallo shopping, dal lavoro, dal sesso, dal cibo, dallo sport.
La realtà esistenziale del soggetto affetto da questi disordini comportamentali è particolarmente fragile, lo sviluppare una dipendenza dall’uso di questi materiali, costituisce una alterazione del normale scorrere della vita, del proprio panorama affettivo, dell’uso del tempo e delle risorse, nonché resta lesivo della stessa personalità.
La rete, poi, diventa il terreno su cui si vive questa dipendenza, portando ad aggravare l’isolamento e la frenesia del dipendente, che sarebbe disposto a trascorrere tutta la vita davanti allo schermo per ottenere la propria assuefazione.
Il soggetto dipendente sperimenta nella propria condizione una significativa diminuzione del desiderio affettivo e sessuale nei confronti del proprio coniuge, con la conseguente incapacità di creare una relazione autentica e sincera: manca la reciproca donazione di sé per costituire il consortium totius vitae. La persona dipendente da internet, da un lato non sa vedere e non può comprendere i bisogni degli altri, dall’altro lato si convince dell’impossibilità che i suoi stessi bisogni siano riconosciuti.
In punto di nullità matrimoniale, possiamo individuare l’ipotesi di incapacitas stabilita nel n.2 del Can. 1095, poiché il soggetto a causa della sua addiction non è capace di valutare concretamente i diritti e i doveri del matrimonio: il bisogno compulsivo di rifugiarsi nel mondo digitale incide gravemente sulla sua volontà di autodeterminarsi in ordine ad una scelta matrimoniale libera.
Inoltre, il soggetto dipendente non è in grado di donarsi per instaurare un’autentica unione coniugale finalizzata al dovere matrimoniale del bonum coniugum, configurando un’ipotesi si incapacità per il n. 3 del Can. 1095: a causa del comportamento patologico, il soggetto si ripiega solo sul proprio appagamento e sulle proprie esigenze e considera il coniuge e il suo corpo solo come un oggetto.
In conclusione, gli è del tutto impossibile affrontare le normali fatiche che derivano dal vivere le relazioni interpersonali in un’ottica di sostanziale complementarietà e pari dignità. Appare palese, considerando i già citati riferimenti all’incidenza delle dipendenze sulla capacità matrimoniale, che una tale singolare e complessa forma di addiction da tecnologia digitale risulta costituire un serio problema per la vita coniugale, per la validità del consenso, per il discernimento circa i diritti e i doveri matrimoniali e riguardo gli obblighi da assumere nella vita sponsale.