Il Consiglio di Stato, con la Sentenza del 4 novembre 2015, n. 5043, ci offre l’occasione per trattare il tema del “matrimonio omosessuale”, che, com’è ovvio che sia, prima ancora di aprire un acceso dibattito giuridico, esprime tutta la sua rilevanza in campo etico, religioso, socio-economico e politico.
Orbene, per matrimonio omosessuale si intende l’unione per mezzo dell’istituto del matrimonio tra coniugi del medesimo sesso. In alcuni Stati detta unione è consentita, mentre in altri è vietata.
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha recentemente condannato l’Italia al risarcimento dei danni morali in favore di tre coppie omosessuali, che da anni vivono insieme in una relazione stabile, in quanto l’Italia, non riconoscendo in una forma istituzionale definita le unioni tra persone dello steso sesso, ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Per la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, infatti, “la tutela legale attualmente disponibile” in Italia “per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di due persone impegnate in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”.
L’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso è una delle principali rivendicazioni nell’ambito dei diritti civili.
Tale esigenza nasce dal dovere di eliminare dalle legislazioni gli ostacoli all’eguaglianza e alla parità di trattamento, sul presupposto che il rapporto omosessuale sia una espressione della sessualità e che il diritto al matrimonio sia un diritto inalienabile della persona.
Conseguentemente il matrimonio aperto a coppie dello stesso sesso deve essere definito come “egualitario” in quanto in linea col principio di eguaglianza tra persone e perché accessibile da tutte le coppie a prescindere dal sesso dei contraenti.
Il giurista italiano Stefano Rodotà, in occasione della pubblicazione del suo ultimo saggio, “Diritto d’Amore”, riflette su quanto poco le Nostre leggi corrispondano ai mutamenti della vita affettiva e su come sia triste il diritto che non parla d’amore.
Per il diritto l’amore non esiste. Nel codice civile italiano la parola non compare mai, segno di una incompatibilità od insofferenza tra amore e diritto, che in Italia è forse più forte che altrove.
In conformità al pensiero di Stefano Rodotà è possibile affermare che il diritto è stato usato, tradizionalmente, come strumento di neutralizzazione dell’amore nella sua presenza sociale.
Infatti, secondo il giurista: «Nell’esperienza storica il diritto si è fortemente impadronito dell’amore. Con l’istituzione del matrimonio l’amore è stato recintato in un perimetro all’interno del quale è stata operata una seconda riduzione di esso: il rapporto tra coniugi è stato ricondotto a una schema tipico di rapporto patrimoniale, in cui vige la logica del cosiddetto “debito coniugale” di natura sia economica che sessuale, che sancisce una sorta di diritto di proprietà nei confronti dell’altro».
L’illustre giurista soggiunge che «L’idea di sovranità affermata dallo Stato diventa un connotato trasferito nella sfera personale degli individui: come lo Stato deve avere un capo, così deve essere anche per la famiglia. È con l’avvento del codice civile francese che si ha la laicizzazione del matrimonio. E con la riforma del diritto di famiglia moglie e marito nel contrarre il matrimonio acquisiscono gli stessi diritti e doveri. Oggi viviamo un cambiamento molto forte dell’antropologia legata agli affetti. Al cospetto della ritirata del diritto che giustamente ha rinunciato ad impadronirsi delle persone, ci troviamo di fronte a un amore a bassa istituzionalizzazione. Viviamo, però, in un mondo incerto dove manca all’amore una cornice sociale che lo confermi e lo stabilizzi, senza stigma della parola “altro”, nella necessità di dare riconoscimento alle unioni di fatto, di allontanarsi dalla politica del disgusto che si esercita verso gli omosessuali. Il cambiamento di antropologia lo ravvisiamo anche nel cambiamento di linguaggio: oggi si parla molto di più di “coppie” a prescindere dal matrimonio, dal sesso, dall’ambiente in cui si collocano».
A mio sommesso avviso nel Nostro ordinamento giuridico esiste il diritto all’accesso al matrimonio e la questione del riconoscimento del matrimonio egualitario deve essere affrontato con libertà di pensiero.
Si tratta semplicemente di rimuovere un ostacolo alla parità dei diritti.
Ebbene, giova ricordare che l’art. 3 della Costituzione, al secondo comma, scolpisce il principio secondo il quale: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Tuttavia, ritornando alla pronuncia del Consiglio di Stato in argomento, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso proposto dal Codacons e dai ricorrenti indicati in epigrafe avverso gli atti applicativi della circolare del Ministro dell’interno in data 7 ottobre 2014, mentre li ha accolti, nella parte riferita a quest’ultima, nel punto in cui, con la stessa, era stata impartita ai Prefetti l’istruzione di provvedere all’annullamento d’ufficio delle eventuali trascrizioni di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, sulla base dell’assorbente rilievo per cui la rettifica o la cancellazione degli atti dello stato civile resta riservata all’autorità giudiziaria ordinaria.
Avverso la predetta decisione proponeva appello il Ministero dell’Interno, domandandone la riforma, con conseguente declaratoria di inammissibilità o reiezione del ricorso di primo grado.
Resistevano il Codacons e le parti “indicate in epigrafe”, eccependo la inammissibilità dell’appello del Ministero dell’Interno per violazione dell’art. 101 del c.p.a., contestandone, nel merito, la fondatezza, impugnando in via incidentale la statuizione relativa alla legittimità della circolare del Ministro dell’interno, nella parte in cui aveva stabilito la intrascrivibilità in Italia di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, e concludendo per la reiezione dell’appello principale del Ministero e, in riforma della decisione impugnata in via incidentale, per l’annullamento in toto della circolare controversa.
Si costituivano in giudizio anche il Comune di Napoli, Roma Capitale e le persone fisiche “indicate in epigrafe”, invocando la reiezione dell’appello del Ministero.
Il Consiglio di Stato, nell’assumere la decisione, argomentava come segue:
“1. Deve preliminarmente circoscriversi l’ambito del thema decidendum alle sole questioni devolute all’esame di questo Collegio per effetto degli appelli principale ed incidentale, precisando, in particolare, che risulta passato in giudicato il capo di decisione di declaratoria di inammissibilità del ricorso contro gli atti applicativi della circolare (che non risulta impugnato in via incidentale dalle parti oneratevi). Restano, invece, controverse le questioni relative all’interesse a ricorrere contro la circolare del Ministro dell’interno in data 7 ottobre 2014 e alla legittimità di quest’ultima, nella parte in cui aveva impartito ai Prefetti l’istruzione di provvedere all’annullamento d’ufficio delle eventuali trascrizioni di matrimoni tra persone dello stesso sesso, siccome devolute al giudizio di secondo grado con l’appello principale del Ministero, e quella relativa alla intrascrivibilità in Italia dei predetti matrimoni, siccome ritualmente introdotta in appello con impugnazione incidentale.
2. Il rispetto dell’ordine logico nella trattazione delle questioni impone di principiare dall’esame di quella relativa alla sussistenza, in capo agli originari ricorrenti, dell’interesse ad impugnare la circolare del Ministro dell’interno in data 7 ottobre 2014, siccome logicamente antecedente a tutte le altre censure, in quanto afferente alla stessa ammissibilità del ricorso di primo grado.
Il Tribunale capitolino ha disatteso l’eccezione formulata in primo grado dalle amministrazioni resistenti, sulla base del rilievo che l’interesse e la legittimazione a ricorrere contro la predetta circolare, nella misura in cui detta istruzioni preclusive della trascrizione di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all’estero, sussistono sia in capo alle persone fisiche ricorrenti, in quanto unite da matrimoni omosessuali celebrati all’estero ed ancorché non avessero richiesto la relativa trascrizione in Italia, sia in capo al Codacons, in quanto associazione rappresentativa degli utenti del “servizio” relativo alla tenuta degli atti dello stato civile.
2.1. Il Ministero dell’interno critica tale statuizione insistendo nel sostenere l’insussistenza sia in capo alle persone fisiche sia in capo al Codacons di qualsivoglia legittimazione e interesse all’impugnativa della circolare con cui era stato vietato ai Sindaci di procedere alla trascrizione di matrimoni omosessuali contratti all’estero ed ai Prefetti di provvedere all’annullamento di eventuali trascrizioni ordinate in violazione della predetta istruzione”.
L’appello veniva ritenuto fondato e meritevole di accoglimento in forza delle seguenti seguenti considerazioni:
“2.3. In ordine alla posizione del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) è sufficiente ricordare che lo stesso è legittimato, alla stregua del suo statuto, alla sola tutela, (funzionale alla corretta gestione dei servizi pubblici, della giustizia, della scuola, dei trasporti, dei servizi telefonici, dei servizi radio televisivi, dei servizi sanitari, dei servizi finanziari, bancari e assicurativi, della stampa e dei diritti d’autore, della urbanistica ed edilizia, nonché alla protezione della salute, dell’istruzione, dell’ambiente, degli animali, dei beni storico archeologici e paesaggistici, dell’incolumità pubblica, della fede pubblica, della economia pubblica, dell’industria, del commercio), dei diritti e degli interessi degli utenti, dei consumatori, dei risparmiatori e dei contribuenti, per escludere la titolarità di qualsivoglia interesse o legittimazione a contestare la legittimità della circolare in questione.
Basti, infatti, esaminare la tipologia di interessi che il Codacons è statutariamente legittimato a rappresentare e la classificazione dei servizi in relazione alla cui corretta gestione può assumere iniziative giurisdizionali, per negare che l’interesse azionato nel presente giudizio rientri entro il perimetro del c.d. “interesse istituzionalizzato”, che, alla stregua, del condivisibile e recepito insegnamento giurisprudenziale (si veda, per tutte, C.d.S., Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10), costituisce l’unico canone alla cui stregua giudicare l’ammissibilità dei ricorsi proposti da enti esponenziali.
Se si intendesse, peraltro, la legittimazione del Codacons come finalizzata, in generale, ad assicurare la correttezza dell’esercizio di pubbliche funzioni (posto che, pacificamente, la tenuta dei registri dello stato civile non può qualificarsi come servizio pubblico), senza alcun ancoraggio statutario alla tipologia di interessi istituzionalmente rappresentati, si perverrebbe all’inammissibile conseguenza di dover ammetterne l’iniziativa giurisdizionale in qualsiasi controversia amministrativa nella quale si giudichi la correttezza dell’esercizio di potestà pubbliche con efficacia generale.
Ciò che risulta chiaramente confliggente anche con la lettura più estensiva della legittimazione processuale degli enti esponenziali, che postula, in ogni caso, un indefettibile collegamento con l’interesse istituzionalizzato, per come cristallizzato nello statuto dell’associazione (e che, risulta, nondimeno, del tutto assente nella presente fattispecie).
2.4. Quanto, invece, alla posizione delle ricorrenti persone fisiche, basti osservare che le stesse non hanno richiesto la trascrizione del loro matrimonio in Italia per escludere qualsiasi portata lesiva, nei loro riguardi, della predetta circolare e, quindi, qualsivoglia loro interesse alla sua impugnazione.
Non sussiste, in altri termini, alcun interesse concreto ed attuale alla rimozione degli effetti (asseritamente pregiudizievoli) prodotti dal provvedimento impugnato.
Risulta, quindi, mancare una delle condizioni fondamentali cui è soggetta l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo ovvero l’interesse ad agire nella sua tradizionale definizione di “bisogno di tutela giurisdizionale”, i cui caratteri essenziali, come è stato chiarito dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 9 del 2014, restano la concretezza e l’attualità del danno (anche in termini di probabilità) alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela, con la conseguenza che esso deve intendersi logicamente escluso quando sia meramente strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte, in quanto meramente ipotetiche (come nel caso di specie).
Ne deriva la inammissibilità del ricorso di primo grado delle ricorrenti persone fisiche, anche in ossequio al costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa che preclude ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse (astratto) al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia (C.d.S., sez. III, 9 giugno 2014, n. 2892) e non supportata dall’esigenza di rimuovere una lesione concreta alla posizione soggettiva azionata.
3. L’accoglimento del primo motivo dell’appello principale esime il Collegio, nella misura in cui comporta la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso di primo grado, dall’esame delle censure riferite al gravato giudizio di illegittimità della predetta circolare, nonché dell’appello incidentale (che dev’essere dichiarato improcedibile), la cui cognizione postula logicamente l’ammissibilità del gravame originario.
Si osserva, in ogni caso, che, quand’anche si dovesse giudicare ammissibile il ricorso di primo grado, lo stesso andrebbe, comunque, respinto nel merito, alla stregua delle considerazioni (da intendersi, qui, integralmente richiamate), assunte a fondamento delle decisioni di questa Sezione in data 26 ottobre 2015 nn. 4897, 4898 e 4899, con le quali è stata riconosciuta la legittimità della citata circolare del Ministro dell’interno.
4. Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l’accoglimento dell’appello, con la declaratoria, in parziale riforma della decisione appellata, dell’inammissibilità in toto del ricorso di primo grado, e la dichiarazione dell’improcedibilità dell’appello incidentale.
5. La natura della decisione e degli interessi controversi giustificano la compensazione per intero tra tutte le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio”.
Emblematicamente, il Consiglio di Stato così giudicava: “P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della decisione appellata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado, dichiara improcedibile l’appello incidentale e compensa tra tutte le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Vista la richiesta dell’interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati nella predetta istanza”.
Emiliana Matrone