La legge n. 54/2006 riformulando l’art. 155 c.c., introduce il principio secondo cui anche in caso di separazione dei genitori il figlio minore ha il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Occorre, tuttavia, evidenziare che il diritto a mantenere rapporti con i nonni, non è un diritto “dei nonni”, stabilito a loro tutela, ma è un diritto del nipote.
Pertanto, i nonni che non riescono a far visita ai nipoti possono attivare la procedura prevista dall’art. 333 c.c., innanzi al Tribunale per i minorenni.
Sulla scorta di tanto il Supremo Collegio, con la nota sentenza 24423 del 08/11/2007, riconosce il diritto dei nonni di partecipare alla vita dei nipoti a meno che non venga dimostrato che questa partecipazione nuoce al minore o non contribuisce in nessun modo al suo sviluppo psico-fisico.
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 244423 del 8 novembre 2007
Svolgimento del processo
1. M. L. e L. P. L., nonni materni di L., nato nel 1992, e di C. G., nata nel 1994, si rivolsero, ai sensi degli artt. 333 e 336 cod. civ., al Tribunale per i minorenni di Roma, lamentando che, a causa dell’interruzione dei rapporti con la loro figlia E. e suo marito G. G., ad essi ricorrenti era impedito di vedere i nipoti , e chiedendo la pronuncia di un provvedimento che consentisse loro tali incontri.
I genitori dei suddetti minori si costituirono in giudizio, opponendosi a tale richiesta.
Il Tribunale per i minorenni, dopo aver tentato inutilmente di far riprendere i rapporti tra i nonni ed i nipoti, con decreto in data 4 novembre 2004 incaricò il Servizio sociale di compiere attività di mediazione tra i genitori ed i nonni materni e di organizzare, valutata la disponibilità dei minori, incontri protetti con i nonni medesimi, con l’obiettivo di dirimere la conflittualità fino ad allora esistente.
2. La Corte d’appello di Roma, sezione per i minorenni, sentite le parti e la psicologa del Dipartimento materno infantile, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 23 gennaio 2006 ha respinto il reclamo proposto dai genitori di L. e di C.
2.1. Ad avviso della Corte territoriale, nella sua composizione specializzata, quello che va salvaguardato è l’interesse dei minori, che consiste nel vivere sereni e tranquilli, mantenendo buoni ed equilibrati rapporti con tutti i propri parenti, ivi compresi i nonni. La serenità di tali rapporti – hanno precisato i giudici del reclamo – non può venir imposta con un provvedimento giurisdizionale, ma è precipuo compito del giudice minorile operare al fine di garantire ai minori la serenità e l’equilibrio in detti rapporti.
Il provvedimento del Tribunale è, secondo la Corte d’appello, corretto e ben indirizzato, in quanto incarica personale di specifica competenza di attivarsi, nel modo ritenuto via via più opportuno al fine di stemperare la conflittualità esistente, in particolar modo tra madre e figlia, consentendo, così, ai nipoti di usufruire anche di un buon rapporto con i nonni, che è cosa importante per il loro equilibrio.
La Corte capitolina non ha, infine, ritenuto opportuno vincolare, come chiesto dai nonni, l’opera del Servizio incaricato con precise disposizioni, tenuto conto che per dirimere eventuali difficoltà nell’esecuzione del provvedimento è competente il giudice tutelare, il quale ha mezzi di intervento più rapidi e pertinenti.
3. Per la cassazione del decreto della Corte d’appello i coniugi G. G. ed E. L. G. hanno interposto ricorso, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, con atto notificato il 9 marzo 2007, sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito, con controricorso, L. P. L. e M. L. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 della Costituzione e degli artt. 333, 336 e 155 cod. civ., in relazione all’art. 360, numero 3), cod. proc. civ., pongono il quesito «se i nonni – quando nulla possa rimproverarsi ai genitori, che vivono non separati, ma anzi uniti fra di loro e con i loro figli – abbiano autonomo diritto di visita e di frequentazione con i nipoti, figli di genitori non separati».
Il secondo mezzo, prospettando violazione e falsa applicazione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 360, numero 3), cod. proc. civ., chiede a questa Corte «se il giudice possa imporre giudizialmente a genitori maggiorenni ed adulti trattamento psicoterapeutico ed incontri tra genitori e nonni, con accesa conflittualità».
Il terzo motivo è rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, numero 3), cod. proc. civ., nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti, in relazione all’art. 360, numero 5), cod. proc. civ. I ricorrenti domandano «se il giudice, allorché verifichi che i genitori sono stati traumatizzati negli anni della loro crescita in famiglia dai nonni dei propri figli ed in presenza di relazione dei Servizi sociali che ritiene non attuabile la relazione affettiva tra i nonni ed i nipoti, possa ritenere opportune le visite e le frequentazioni giudizialmente imposte tra nonni e nipoti, i quali sono sereni, equilibrati, ben educati ed hanno un buon rendimento scolastico, tanto più che, ove non imposte giudizialmente, le visite e le frequentazioni tra nonni e nipoti sono consentite dai genitori, anche alla presenza della zia materna».
Il quarto motivo prospetta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 96 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, numero 3), cod. proc. civ., nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti, in relazione al numero 5) del medesimo art. 360 cod. proc. civ. Esso si chiude con il quesito «se, allorché è richiesta la condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., il giudice abbia l’obbligo comunque di pronunciarsi e di motivare».
2. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione attinente alla ritualità del controricorso, sollevata, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, dai ricorrenti. Essi sostengono che la notifica del controricorso, effettuata in base alla legge 21 gennaio 1994, n. 53 (che facoltizza gli avvocati a procedere alle notificazioni degli atti civili), sarebbe nulla: sia perché la relata non sarebbe stata firmata dall’Avv. Nicola Romano (che ha proceduto ad eseguire la notifica in via diretta, ai sensi dell’art. 4 della citata legge), né vi sarebbe apposto il timbro dello stesso in calce; sia perché l’atto sarebbe stato vidimato in alto sulla decima pagina dall’Avv. Rossi, Consigliere dell’Ordine degli avvocati di Roma, per delega del Presidente, senza l’indicazione della delibera di delega al detto Consigliere. L’eccezione è infondata. A prescindere da ogni altra considerazione, è assorbente il rilievo che il denunciato vizio della notifica sarebbe in ogni caso sanato con effetto ex tunc per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, ultimo comma, cod. proc. civ., a seguito del deposito, da parte dei ricorrenti, della memoria illustrativa in prossimità dell’udienza con cui (v. pag. 7, in fine) si confutano le deduzioni sollevate nel controricorso medesimo, in particolare con riguardo alla inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Cass., Sez. I, 23 settembre 1986, n. 5705; Cass., Sez. III, 22 marzo 2005, n. 6152).
3. Passando all’esame del ricorso, è stata eccepita dai controricorrenti l’inammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, giacché il provvedimento impugnato sarebbe non definitivo e privo di contenuto decisorio, di portata meramente ordinatoria-amministrativa, e come tale non idoneo ad incidere su posizioni di diritto soggettivo in conflitto.
L’eccezione è fondata, nei limiti di seguito precisati.
3.1. In una non recente pronuncia di questa Sezione (sentenza 24 febbraio 1981, n. 1115), è stato statuito – sulla premessa che l’esperibilità o meno del ricorso per cassazione, a norma dell’art. 111 della Costituzione, avverso il provvedimento camerale, reso dalla corte d’appello su reclamo avverso decreto del tribunale, va riscontrata, a prescindere dalla forma del provvedimento medesimo, a seconda che esso incida in via definitiva su posizioni di diritto soggettivo in conflitto, ovvero abbia portata meramente ordinatoria ed amministrativa – che tale esperibilità deve essere affermata con riguardo al provvedimento che decida, ai sensi degli artt. 333 e 336 cod. civ., sul conflitto insorto tra nonni e genitore esercente la potestà sul figlio minore, in ordine alla facoltà o meno di quest’ultimo di escludere visite o contatti tra il figlio stesso e detti nonni. In quell’arresto, la Corte operò una distinzione. Quando ha per oggetto la mera opportunità, nel caso concreto, di consentire ai nonni contatti con il nipote nonostante la contraria volontà dei genitori di quest’ultimo o le concrete modalità con cui il diritto di visita deve svolgersi, il ricorso per cassazione avverso il decreto della corte d’appello è inammissibile perché la valutazione di dette opportunità o modalità non acquista mai valore di giudicato. Detto ricorso è, invece, ammissibile allorché investe una questione preliminare di puro diritto, vale a dire la questione se, qualora manchi una prova specifica del pregiudizio effettivo subito dal minore per l’interruzione di qualsiasi rapporto con i nonni imposta dal genitore, quest’ultimo sia libero secondo il nostro ordinamento di insistere in tale suo atteggiamento come lecita estrinsecazione del suo diritto-dovere di potestà sui figli minori, senza che possa farsi ricorso all’applicazione dell’art. 333 cod. civ. anche qualora non deduca (o non riesca, a sua volta, a provare) che il loro contatto coi nonni sia nocivo per i figli stessi.
La giurisprudenza successiva, anche a Sezioni Unite, ha tuttavia escluso che, ai fini dell’ammissibilità del mezzo di impugnazione, la natura del provvedimento possa risultare ancorata, anziché alla valutazione dell’effetto dello stesso, al tipo di questione sollevata con il motivo di ricorso per cassazione. Si è infatti affermato che le statuizioni della corte d’appello emesse, ai sensi degli artt. 333 e 336 cod. civ., nel quadro degli atti “innominati” incidenti sull’esercizio della potestà dei genitori, non sono mai assistite dall’autorità della cosa giudicata sostanziale, risultando, per converso, caratterizzate dalla meno intensa efficacia propria dei provvedimenti camerali di volontaria giurisdizione, non risolutivi di alcun contrasto tra contrapposti diritti soggettivi, ma funzionali alla sola tutela interinale del minore (e, pertanto, soggetti a modifica o revoca da parte del giudice che li ha emessi); con la conseguenza che gli eventuali vizi del provvedimento impugnato (pur se, in concreto, sussistenti), non essendo idonei a produrre effetti irreparabili (ben potendosi adottare, in seguito, altra decisione, immune dagli errori denunciati), non possono essere legittimamente denunciati con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass., Sez. Un., 23 ottobre 1986, n. 6220; Cass., Sez. I, 11 marzo 1987, n. 2528; Cass., Sez. I, 27 novembre 1987, n. 8825; Cass., Sez. I, 20 marzo 1998, n. 2934; Cass., Sez. I, 2 agosto 2002, n. 11582; Cass., Sez. Un., 15 luglio 2003, n. 11026; Cass., Sez. I, 20 ottobre 2005, n. 20333; Cass., Sez. I, 23 gennaio 2007, n. 1480).
Quest’ultimo orientamento deve essere qui ribadito.
Il decreto in questa sede impugnato è un provvedimento di volontaria giurisdizione, reso in sede di reclamo, con cui sono state confermate le modalità di esercizio della visita da parte dei nonni materni stabilite dai primi giudici, i quali hanno incaricato i Servizi sociali di attivarsi, nel modo ritenuto via via più opportuno al fine di stemperare la conflittualità esistente tra i nonni ed i genitori, consentendo, così, ai nipoti di usufruire anche di un buon rapporto con i nonni, che è cosa importante per il loro equilibrio.
Tale provvedimento, reso dalla corte d’appello in esito ad un procedimento ai sensi degli artt. 333 e 336 cod. civ., non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost., perché privo dei requisiti della decisorietà (intesa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status) e della definitività (intesa come mancanza di rimedi diversi e nell’attitudine del provvedimento a pregiudicare con l’efficacia propria del giudicato quei diritti e quegli status), essendo revocabile in ogni tempo per motivi originari o sopravvenuti ed avendo la funzione non di decidere una lite tra soggetti – i nonni, da una parte, ed i genitori, dall’altra -, ma di controllare e governare gli interessi dei minori, essendo dettato a tutela e protezione di tali interessi e ponendosi, quindi, in funzione gestoria di essi. Conseguentemente, l’impugnato provvedimento non incide con attitudine al giudicato sull’attribuzione o sulla negazione di un bene della vita, neppure in relazione ad un arco di tempo determinato, appunto perché, potendo essere modificato o revocato in ogni momento, non fa stato nel senso di cui all’art. 2909 cod. civ. né dà luogo al giudicato in senso formale (art. 324 cod. proc. civ.).
4. Il provvedimento, reso in sede di reclamo, di regolamentazione della visita dei minori da parte dei nonni materni, ancorché non sia di per sé ricorribile per cassazione per le ragioni appena esposte, è tuttavia impugnabile con tale mezzo limitatamente alla parte – veicolata con il quarto motivo – recante l’omessa pronuncia in ordine alla domanda di condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
Difatti, la pronuncia sulla responsabilità per lite temeraria, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame essa è stata adottata, ha i connotati della decisione giurisdizionale e l’attitudine al passaggio in giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche – di volontaria giurisdizione – del provvedimento cui accede (cfr., in materia di pronuncia sulle spese nei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Cass. , Sez. I, 19 settembre 2003, n. 13892 ; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2004, n. 20957; Cass., Sez. II, 29 dicembre 2004, n. 24140; Cass., Sez. II, 26 giugno 2006, n. 14742; Cass., Sez. I, 21 marzo 2007, n. 6805). Ma, pur essendo in sé proponibile il mezzo, il motivo è infondato, giacché l’avvenuta compensazione delle spese contiene un’implicita reiezione della domanda a causa dell’esclusione dei presupposti richiesti ai fini della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata (Cass., Sez. I, 30 marzo 2000, n. 3876).
5. Il ricorso è, pertanto, inammissibile in relazione ai primi tre motivi ed infondato con riguardo al quarto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso in relazione ai primi tre motivi e rigetta il quarto motivo; condanna i ricorrenti al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in euro 1.600, di cui euro 1.500 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.