Un esempio di contratto di mutuo può essere così descritto: Tizio trasferiva a Caio dieci anfore di vino, convenendo con lui la restituzione della stessa quantità e qualità di vino .
a) Per qualificare l’affare come mutuum il primo requisito era l’effettiva traslazione della proprietà delle dieci anfore di vino al mutuatario. Se Tizio ne trasmetteva la sola detenzione o il solo possesso, non concludeva un mutuo, bensì un commodato, un deposito o un pegno.
b) In secondo luogo era necessario che tra Tizio e Caio vi fosse la convenzione di creare un obbligo di restituzione.
Nella totale mancanza di tale accordo, pur essendoci la volontà di dare e ricevere la proprietà, poteva sorgere ad esempio una donazione, ma non un mutuo.
Per Ulpiano , era da escludersi sia il mutuo che la donazione nell’ipotesi di dissenso tra le parti sull’obbligo di restituzione: come quando Tizio aveva creduto di donare e Caio di prendere in prestito.
Tuttavia il mero accordo di dare e ricevere a credito, privo di fatto traslativo, poteva dar vita semplicemente ad un patto preliminare, ossia ad un pactum de mutuo dando, o ad un pactum de mutuo accipiendo, o ad un pactum dando et accipiendo .
c) Quanto all’oggetto del mutuo, le parti dovevano tendere alla restituzione di cose dello stesso genere e della stessa buona qualità di quelle ricevute a mutuo . Non era lecito infatti al debitore rendere una cosa peggiore dello stesso genere, come ad esempio del vino nuovo al posto del vecchio .
In particolare se convenivano per una restituzione in specie avevano voluto un contratto reale c.d. in senso improprio . Altresì, nella circostanza in cui i soggetti si fossero accordati per la riconsegna di un aliud genus, pur trattandosi di un genere, non sorgeva il mutuo, ma al più una permuta . Anzi se tra le parti vi era contrasto circa la restituzione in specie o in genere, anche qui, non si formava alcun negozio, per errore sulla causa .
d) Logicamente il nostro Tizio, per trasmettere il dominium delle dieci anfore di vino, doveva esserne non solo proprietario, ma doveva anche avere la capacità di alienare.
I giuristi romani , esaminando il caso del prestito di denaro concesso dal pupillus senza l’auctoritas tutoris, erano giunti alla conclusione che il pupillus, pur proprietario, era incapace di far uscire alcunché dal suo patrimonio. Pertanto, non essendoci passaggio di proprietà, non nasceva alcun contratto di mutuo. Tanto è vero che se la mutua pecunia non era stata consumata ed era ancora individuabile, il pupillus poteva rivendicarla.
Che fare, al contrario, se l’accipiente avesse consumato il denaro? Quale fosse la soluzione classica a noi non è dato sapere. Secondo la compilazione giustinianea, nell’eventualità di consumazione in mala fede, si accordava al malcapitato l’actio ad exhibendum, un rimedio extracontrattuale volto al recupero del controvalore . Nel caso di buona fede, soccorreva la condictio per arricchimento ingiusto , proponibile senza osservanza di termini e senza possibilità di pretendere interessi .
e) A maggior ragione non era valido il mutuo di cose altrui . A tal proposito Paolo scriveva “In mutui datione oportet dominum dantem”.
Ecco che, se si trasferiva una somma in comune con altri, il creditum poteva formarsi limitatamente alla quota che spettava al mutuante.