Il Tar Milano, con la Sentenza 27 ottobre 2009 n. 4912, respinge il ricorso per l’annullamento del provvedimento con il quale veniva rigettata la richiesta di usufruire della legalizzazione prevista dal d.l. 195/2002, in quanto, nel caso concreto, il rapporto di lavoro irregolare del ricorrente non poteva essere legalizzato, dal momento che la condanna ascritta al ricorrente rientra tra le circostante ostative alla legalizzazione di cui all’art. 1, comma 8, d.l. 195 del 2002, anche se riportate prima dell’entrata in vigore del richiamato decreto del 2002.
Il Collegio, nel prendere la detta decisione, premette che per legge nessun soggetto extracomunitario può entrare in Italia, ed ivi stabilmente soggiornare, qualora non sia munito di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, e cioè di un titolo amministrativo che autorizzi questi allo stabilimento, alla circolazione ed allo svolgimento di attività per specifiche tassative ragioni (di visita, affari, turismo, studio, lavoro, ricongiungimento familiare e motivi familiari, protezione sociale, asilo e protezione temporanea, cure mediche).
A questo punto i Giudici soggiungono che le norme sulla legalizzazione del lavoro irregolare non si applicano ai rapporti di lavoro riguardanti lavoratori extracomunitari: a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno; b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato; c) che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’interessato non lo ha commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dall’articolo 411 del codice di procedura penale ovvero risultino destinatari dell’applicazione di una misura di prevenzione o di sicurezza, salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione.
Con riferimento alla condizione ostativa da ultimo citata, la Corte Costituzionale, con sentenza 18 febbraio 2005, n. 78, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione di una denuncia per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza. E’ stato correttamente osservato dalla giurisprudenza che l’utilizzo nel dispositivo della sentenza n. 78 del 2005 della Corte Costituzionale dell’avverbio “automaticamente” bene evidenzia come la declaratoria di illegittimità dell’art. . 1 comma 8 lett c, d.l. n. 195 del 2002 abbia colpito soltanto l’efficacia automaticamente ostativa della denuncia e non già l’impianto complessivo della norma che intende precludere la regolarizzazione ai soggetti che si siano resi responsabili dei reati di cui all’art. 380 e 381 c.p.p. Pertanto ove la denuncia per taluno dei reati, di cui alle menzionate norme del codice di procedura penale, sia sfociata in una condanna viene meno l’effetto automaticamente ostativo che è stato stigmatizzato dalla Corte costituzionale con la conseguenza che legittimamente una condanna potrà essere invocata dall’Amministrazione come fondamento di un provvedimento di diniego di regolarizzazione. In definitiva, l’ipotesi di denuncia per reato ostativo poi sfociata nell’accertamento della responsabilità penale dell’interessato resta immune dalla declaratoria di incostituzionalità poiché non si produce alcun automatismo tra denuncia e rigetto dell’istanza di regolarizzazione, ma il provvedimento negativo viene fondato sull’accertamento della piena responsabilità penale dell’interessato.
TAR MILANO – sentenza 27 ottobre 2009 n. 4912
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso depositato il 26 settembre 2007, il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale è stata rigettata la sua richiesta di poter usufruire della legalizzazione prevista dal d.l. 195/2002, chiedendo al Tribunale Amministrativo Regionale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituito in giudizio il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza del 4 ottobre 2007, il Tribunale Amministrativo ha rigettato la domanda cautelare ritenendo sussistente il fumus boni iuris.
Sul contraddittorio così istauratosi, all’udienza del 9 ottobre 2009, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva.
2. La legislazione nazionale adottata negli ultimi anni, d.lgs. n. 286 del 1998, l. n. 189 del 2002, d.l. n. 195 del 2002, si fonda sulla radicale premessa per la quale nessun soggetto extracomunitario può entrare nello Stato, ed ivi stabilmente soggiornare, qualora non sia munito di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, e cioè di un titolo amministrativo che autorizzi questi allo stabilimento, alla circolazione ed allo svolgimento di attività per specifiche tassative ragioni (di visita, affari, turismo, studio, lavoro, ricongiungimento familiare e motivi familiari, protezione sociale, asilo e protezione temporanea, cure mediche).
3. L’Amministrazione, con il provvedimento impugnato, ha rigettato l’istanza deducendo, quale ragione ostativa, l’essere stato il ricorrente condannato per il reato previsto e punito dall’art. 110, 628 c.p. (rapina in concorso), con sentenza del Tribunale di Milano del 10 ottobre 2001. La pronuncia è stata confermata dalla Corte di Appello del 6 ottobre 2004.
4. Ai sensi dell’art. 1, comma 8, d.l. 9 settembre 2002, n. 195, come convertito con modificazioni in legge 9 ottobre 2002, n. 222 (recante disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), le disposizioni sulla legalizzazione del lavoro irregolare non si applicano ai rapporti di lavoro riguardanti lavoratori extracomunitari: a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno; b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato; c) che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’interessato non lo ha commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dall’articolo 411 del codice di procedura penale ovvero risultino destinatari dell’applicazione di una misura di prevenzione o di sicurezza, salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione.
Con riferimento alla condizione ostativa da ultimo citata, la Corte Costituzionale, con sentenza 18 febbraio 2005, n. 78 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione di una denuncia per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza. E’ stato correttamente osservato dalla giurisprudenza che l’utilizzo nel dispositivo della sentenza n. 78 del 2005 della Corte Costituzionale dell’avverbio “automaticamente” bene evidenzia come la declaratoria di illegittimità dell’art. . 1 comma 8 lett c, d.l. n. 195 del 2002 abbia colpito soltanto l’efficacia automaticamente ostativa della denuncia e non già l’impianto complessivo della norma che intende precludere la regolarizzazione ai soggetti che si siano resi responsabili dei reati di cui all’art. 380 e 381 c.p.p. Pertanto ove la denuncia per taluno dei reati, di cui alle menzionate norme del codice di procedura penale, sia sfociata in una condanna viene meno l’effetto automaticamente ostativo che è stato stigmatizzato dalla Corte costituzionale con la conseguenza che legittimamente una condanna potrà essere invocata dall’Amministrazione come fondamento di un provvedimento di diniego di regolarizzazione (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 13 novembre 2008, n. 1984). In definitiva, l’ipotesi di denuncia per reato ostativo poi sfociata nell’accertamento della responsabilità penale dell’interessato resta immune dalla declaratoria di incostituzionalità poiché non si produce alcun automatismo tra denuncia e rigetto dell’istanza di regolarizzazione, ma il provvedimento negativo viene fondato sull’accertamento della piena responsabilità penale dell’interessato (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 25 maggio 2005, n. 1078).
5. Orbene, nel caso di specie, osserva il Collegio che la condanne ascritta al ricorrente (per reato ricompreso nelle previsioni di cui all’art. 380 c.p.p.) rientra senza dubbio tra le circostante ostative alla legalizzazione di cui all’art. 1, comma 8, d.l. 195 del 2002, anche se riportate prima dell’entrata in vigore del richiamato decreto del 2002 (cfr. CdS VI, 29 dicembre 2008 n. 6596).
Il rapporto di lavoro irregolare del ricorrente, dunque, non poteva essere legalizzato.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza, come di norma.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:
Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Amministrazione resistente che si liquida in euro 500,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 09/10/2009