I diritti della persona o della personalità sono diritti a carattere emblematicamente non patrimoniale ma morale e mirano a difendere beni non solo immateriali ma anche immanenti alla persona fisica.
Solo alcuni di questi diritti sono codificati, mentre altri emergono e si impongono con il tempo grazie all’opera di dottrina e giurisprudenza.
Si discute se esista un unico diritto della personalità (tesi monistica) ovvero sussistano tanti diritti della personalità (tesi pluralistica).
Oggi risulta prevalente la tesi monistica, che fa leva sull’art. 2 della Cost. capace di dare fondamento a tutti i valori della persona che via via il contesto sociale, politico e tecnologico fanno affiorare.
I diritti della personalità presentano, pur nell’ambito delle sottocategorie dei diritti di rispetto e dei diritti
di solidarietà (gli uni in chiave oppositiva e gli altri pretensiva) elaborate dalla dottrina, gli omogenei caratteri dell’assolutezza, dell’innatezza, della indisponibilità (relativa e non assoluta per
effetto del limite della dignità umana che tutti li affascia), della carenza di contenuto patrimoniale (ma alcuni di essi come il nome, l’immagine e la riservatezza, possono essere oggetto di sfruttamento
economico, sia pure con il limite della revocabilità in ogni tempo del consenso, salvo il risarcimento del danno se oggetto di impegno contrattuale) e della imprescrittibilità.
A tutela del diritto all’immagine, quale diritto positivizzato dal legislatore che trova pieno riconoscimento nell’art.10 c.c., e nella normativa sul diritto d’autore (art.3) sono previsti rimedi inibitori e risarcitori.
Quale diritto di natura assoluta comportante uno ius excludendi alios, ne viene riconosciuta una possibilità di sfruttamento da parte di terzi limitatamente ai casi in cui il titolare ne presti il consenso (a tale
riguardo, occorreva un accenno relativamente all’importanza del consenso stesso ai fini della diffusione dell’immagine, evidenziando come l’esigenza di informazione e di conoscenza rinvenga una valida giustificazione solo nella notorietà del personaggio, nella importanza sociale dell’informazione etc.).
Di qui, l’incriminazione, a livello penale, di ogni violazione dell’immagine connessa alla riservatezza: si pensi alle cd. interferenze illecite nella vita privata, nel domicilio, anche informatico e telematico, attuate per mezzo di strumenti sonori e visivi, di cui agli artt.614 c.p., 615 bis, ter e segg. c.p., ma anche alle interferenze con l’onore e la reputazione nei casi in cui venga rappresentata in modo disdicevole ed offensivo, con la sola scriminante del diritto di satira.
Il riconoscimento dei diritti all’onore
(patrimonio dei valori spirituali, morali ed intellettivi facenti capo a ciascun individuo) ed alla reputazione ( considerazione e stima di cui gode l’individuo nell’ambito della società in cui vive), come
diritti della personalità, è avvenuto, invece, tramite la normativa penalistica, rinvenendo solo successivamente il suo fondamento nell’esigenza di salvaguardia della dignità umana, negli artt.2 e 3 Cost..
La tutela, predisposta a favore di qualunque individuo, sia persona fisica che giuridica, prescinde, secondo qualche autore, dalla stessa consapevolezza dell’offesa da parte dei destinatari, estendendosi, perciò, anche ai soggetti incapaci, ai dormienti, ai sordi etc..
Il diritto alla riservatezza, ritenuto espressione ora
del diritto all’immagine, ora del diritto alla identità personale (attraverso il collegamento dell’immagine al nome), riconosciuto a livello penale (attraverso la tutela del domicilio, con la incriminazione delle interferenze illecite nella vita privata, delle
intercettazioni etc.), risulta oggi positivizzato e riconosciuto dal legislatore come diritto autonomo, attraverso la ratifica che ha ricevuto dalla normativa sul trattamento dei dati personali. Non è più
uno ius excludendi alios, ma risulta una proiezione esterna e dinamica del soggetto che si traduce nei dati personali, soprattutto sensibili (dove il consenso dell’interessato, oltre che l’autorizzazione del
Garante, diviene strumento di controllo ai fini del trattamento e, quindi, limite alla diffusione degli stessi).
Per il diritto alla riservatezza originariamente riconosciuto, sussistevano problemi di tutela a livello civilistico, ricorrendosi ad un’applicazione analogica
della disciplina prevista per i diritti finitimi, quali, ad esempio, l’immagine, soprattutto ai fini della risarcibilità del danno. Mentre l’azione inibitoria, per la sua tipicità, era applicabile alle sole ipotesi previste dalla legge. Con la legge sul trattamento dei dati
personali, il problema ha trovato una definitiva risoluzione nella predisposizione di una serie di rimedi di tipo cautelare (quali il blocco), inibitorio (la cessazione del trattamento, il divieto di divulgazione dei dati etc.) e risarcitorio (anche ex art.2059 c.c.). Di
qui la tesi, rimasta, tuttavia, minoritaria, della sua tendenziale applicazione ad ogni tipo di lesione inerente al diritto alla riservatezza, al di là del trattamento dei dati personali, al fine di consacrarla come normativa a tutela di tutti i diritti della personalità.
I limiti al loro esercizio sono quelli che derivano dalla
loro interferenza con altri diritti o libertà fondamentali che, nell’ambito di un giudizio di bilanciamento operato direttamente dalla legge o affidato al giudice, ma sulla base dei parametri rinvenibili in essa o nel sistema ordinamentale (limiti esterni ) ovvero nella stessa ratio, fondamento e funzione rinvenibili nella struttura e nello scopo delle norme (o della norma fondamentale dell’art.2 Cost. che li legittima), si pongono come limiti interni ad essi.
Si pensi, ad es. per il diritto all’immagine, alla normativa sul diritto d’autore che ne
fissa i limiti (notorietà del personaggio, avvenimenti pubblici o ufficiali, ragioni di polizia, sicurezza, giustizia, ordine pubblico, etc).
Lo stesso è a dirsi per il diritto alla riservatezza. Per essi e per il diritto all’identità personale, si prospettano, inoltre, anche i limiti derivanti dal trattamento dei dati personali, inteso come espressione della libertà di informazione, non richiedente neanche il
consenso dell’interessato nel caso in cui si tratti di attività strumentali alla professione giornalistica o di attività riservata dall’amministrazione per fini di pubblico interesse.
Per il diritto alla riservatezza sussiste anche il limite dell’accesso ai documenti amministrativi di cui alla legge 241 del ’90, come modificata dalla
legge n.15 del 2005, specie ove l’accesso sia richiesto per tutelare in giudizio situazioni giuridicamente rilevanti. Da ultimo, però, la novella relativa all’accesso ai dati sensibili della salute e dell’identità sessuale, prevede che il giudice sia tenuto ad operare un bilanciamento tra gli interessi sottesi all’istanza di accesso, a fini di tutela giurisdizionale, ed il diritto alla riservatezza dei dati suddetti, dando prevalenza ai primi ove si tratti di diritti o libertà fondamentali di rango pari o superiore alla riservatezza, e sempre in
una prospettiva concreta.
Quanto al diritto all’onore e alla reputazione (ma lo stesso vale anche per quello alla riservatezza)
viene in rilievo il limite del diritto di cronaca come espressione del diritto ad informare il pubblico (species del diritto di manifestazione del pensiero) che è destinato a prevalere, sempre che vengano rispettati i limiti della verità oggettiva dei fatti riportati (o quanto meno della verosimiglianza desunta da una seria attività di riscontro immune da colpa), della rilevanza sociale della notizia e della continenza formale e sostanziale (lo stesso è a dirsi per il diritto di critica anche se con esclusione della verità oggettiva e per
il diritto di satira, che, in quanto manifestazione artistica, richiede solo un minimo di continenza formale oltre che il rilievo sociale della notizia).
Si è detto che notevole importanza assume anche il
consenso dell’avente diritto, come atto di natura latamente autorizzativa, con effetti relativamente impegnativi, idoneo a rimuovere, almeno entro certi confini (salvo il rispetto della dignità umana), i limiti suddetti. Si ricordi che nei casi in cui il consenso
refluisca in un contratto dispositivo, pur essendo sempre revocabile, obbligherebbe al risarcimento del danno.
Quanto ai rimedi predisposti a tutelare tali diritti, è pacifica l’ammissibilità dell’inibitoria cautelare e speciale ove espressamente prevista o ricorso al rimedio analogico ma atipico, di cui all’art.700 c.p.c., come strumenti preventivi unitamente ai rimedi risarcitori in forma specifica (accenni alla rettifica ed alla pubblicazione della sentenza) e per equivalente economico.
E’ ammesso anche il risarcimento del danno patrimoniale solo nel caso in cui sia ipotizzabile lo
sfruttamento economico dell’immagine o dei dati personali, mentre per il danno non patrimoniale, il discorso è un pò più complesso.
Infatti, ab origine il danno non patrimoniale era risarcibile solo se previsto dalla legge ex art. 2059 c.c., ovvero se l’illecito integri anche gli estremi del reato, sub specie di danno morale subiettivo.
A seguito delle sentenze gemelle della Cassazione del 2003 (nn.8827 e 8828) si è giunti al riconoscimento della risarcibilità del danno esistenziale come danno
non patrimoniale in combinato disposto dell’.art.2059 c.c.con le norme (o il solo art. 2 Cost.) costituzionali poste a fondamento dei diritti della personalità violati.