Considerato che a tutti i soggetti di diritto (persone fisiche o enti immateriali) è riconosciuta la capacità giuridica ossia l’attitudine ad essere centri di riferimento ed imputazione di diritti ed obblighi, dovrebbe pacificamente ammettersi l’estensione e, quindi, il riconoscimento di tali diritti anche in capo agli enti immateriali.
Piuttosto, poichè gli enti immateriali sono privi del requisito della fisicità, occorreva verificare quali tra questi diritti della personalità siano ad essi riconoscibili.
Non certo quelli all’integrità fisica ed alla vita, ma sicuramente quello al nome (ovvero alla denominazione sociale) come segno identificativo della propria esistenza e della propria operatività (così come la ditta, il marchio, etc., per quelli con scopo di lucro), ma anche quello alla propria identità personale con proiezione esterna e relazionale della propria soggettività (particolarmente rilevante e significativo per gli enti di tendenza, quali i partiti politici, i sindacati e le associazioni religiose), in ragione del patrimonio ideologico, confessionale, politico, etc. (si pensi ai casi di scissione dei sindacati e partiti politici, laddove si contesti la continuazione dell’identità dell’ente rispetto al suo patrimonio ideologico e politico), così come quello alla riservatezza (riconosciuto incontestabilmente in tema di accesso ai documenti amministrativi, anche agli enti immateriali) o al segreto (commerciale, industriale, know how, per le società con scopo di lucro, tutelato anche dal diritto penale), alla riservatezza della corrispondenza e del domicilio informatico, ma non vi è dubbio che anche l’immagine sia tutelata in tutti i casi in cui si prospettino azioni o fatti di discredito economico o professionale, mentre per quanto riguarda la reputazione singolare è la tutela accordata a certi enti di beneficenza contro fatti disdicevoli per la loro onorabilità ed affidabilità, benchè, nella maggior parte dei casi, la tutela si accordata all’ente più in ragione della protezione dell’onore e della reputazione dei suoi membri.
E’ questo un aspetto che esprime un disagio della giurisprudenza nella estensione della tutela dei diritti della personalità dell’ente che si è spesso risolto in una vistosa contraddizione. Infatti, laddove si riconosce tutela agli enti a salvaguardia della loro personalità, lo fa spesso optando per una soluzione organicistica che privilegia quella delle singole persone fisiche che per essi operano con un contraddittorio e vistoso svuotamento della loro soggettività giuridica. Se è vero, infatti, che agli enti vengono imputati direttamente atti o fatti giuridici grazie all’operare dei suoi organi persone fisiche, valorizzando spesso i loro stati soggettivi ed i loro vizi della volontà (utilizzando gli schemi della rappresentanza, dello stato di bisogna etc.), è anche vero, però, che qui è in gioco non già il riconoscimento della loro soggettività, ma quella dell’ente di riferimento che viene letteralmente by-passata.
E’ quanto è avvenuto, in particolare, con riferimento al risarcimento del danno non patrimoniale come conseguenza della lesione di diritti della personalità dell’ente (applicazione del diritto alla ragionevole durata del processo per effetto della Legge Pinto). In tali casi, il danno morale soggettivo (sub specie di perturbamento psichico, patema d’animo) conseguente alla loro violazione per un fatto costituente o meno reato o integrante il cd. danno esistenziale, è stato ritenuto presunto in capo ai membri dell’ente, mentre è a quest’ultimo che andava riferito e valutato in termini di pregiudizio al perseguimento dei suoi scopi istituzionali, da provare al di là di ogni presunzione.Il problema del riconoscimento del danno all’immagine dell’amministrazione, si è posto all’indomani delle condanne dei funzionari pubblici per corruzione (acquisizioni di tangenti) nell’ambito dei processi di Tangentopoli. Qui si è affermato che anche l’immagine dell’amministrazione vada tutelata alla luce della portata dell’art. 97 Cost. che offre un’immagine della stessa che deve essere improntata all’esercizio delle competenze funzionali in termini di correttezza, imparzialità, efficienza, efficacia ed economicità. Gli atti di corruzione dei dipendenti pubblici ledono indubbiamente tale immagine agli occhi della collettività, arrecando pregiudizio al suo modo di organizzarsi ed operare nel rispetto di quei canoni producendo un discredito che si traduce in un danno erariale su cui è chiamata a pronunciarsi in via istituzionale la Corte dei Conti nei giudizi di responsabilità nei confronti dei dipendenti pubblici. Il pregiudizio subito va valutato in termini di ripristino dell’immagine pubblica attraverso interventi correttivi delle disfunzioni organizzative e di razionalizzazione e gestione delle risorse economiche pubbliche.