Si tentò di stroncare la prassi anatocistica con interventi legislativi numerosi e sempre più duri: in uno di questi, risalente all’epoca dell’imperatore Diocleziano, si arrivò a comminare l’infamia per chi violasse il divieto.
C. 2.11.20 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Fortunato):
“Improbum fenus exigebus et usuras usurarum illicite exigintibus infamiae macula inroganda est”.
Billeter ha sostenuto che tale provvedimento legislativo non ebbe mai vigore effettivo o lo ebbe per un ristretto arco di tempo.
Non a caso, all’epoca di Giustiniano fu ancora necessario intervenire in materia. Con una costituzione del 529 d.C., si proibì definitivamente qualsiasi operazione intesa anche indirettamente all’applicazione di interessi sugli interessi.
C. 4.32.28 pr.1:
“Ut nullo modo usurae a debitoribus exigabatur, et veteribus quidem legibus constitum fuerat, sed non perfectissime cautum.
Si enim usuras in sortem redigere fuerat concessum et
totius summae usuras stipulari, quae differentia erat debitoribus, qui re vera usurarum usuras exigebatur.
Hoc certe erat non rebus, sed verbis tantummodo leges ponere. Quapropter hac apertissima lege definimus nullo modo licere cuidam usuras preteriti vel futuri temporis in sortem redigere et earum iterum usuras stipulari, sed si hoc fuerit sbsecutum, usuras quidem semper usuras manere et nullum aliarum usurarum incrementum sentire, sorti autem antiquae tantummodo incrementum usurarum accedere” .
Per la prima volta, in questo passo viene sancita esplicitamente la nullità delle convenzioni tra privati in base alle quali il debitore si obbligava a corrispondere interessi anatocistici. Negli altri passi, infatti, vengono richiamati o rimedi azionabili dai privati o provvedimenti che riguardavano la valutazione del comportamento del soggetto in virtù della comminazione dell’infamia.