La storia del diritto del mare affonda le proprie radici in epoche molto lontane. Infatti, le prime norme sul diritto marittimo furono elaborate già dagli antichi egizi, fenici, greci e romani, per i quali valeva, in via generale, il principio della libertà dei mari.
Tuttavia, volendo circoscrivere la comprensione dell’evoluzione del diritto del mare internazionale dall’inizio dell’età moderna ai giorni nostri, è necessario esaminare gli atteggiamenti manifestati dagli Stati a partire dalle grandi scoperte geografiche ed all’espansionismo coloniale europeo.
Orbene, per un lungo periodo, si era imposta l’idea-guida che gli spazi marini potessero essere oggetto di dominio statale. In base a tale principio, le maggiori potenze marittime avevano esteso la propria sovranità sulle acque in ragione della sola superiorità delle loro forze navali.
In breve, la generale diffusione della teoria del dominio sui mari aveva consentito la nascita di una sorta di “monopolio” dello sfruttamento del mare, dapprima di zone ristrette e, via via, sempre più vaste.
Si pensi a Venezia ed a Genova che, rispettivamente, dominavano in maniera del tutto incontrastate sull’Adriatico sul Tirreno e, successivamente, alla Spagna ed al Portogallo che pretendevano di esercitare la propria esclusiva sovranità rispettivamente sull’Oceano Indiano e sull’Oceano Atlantico.
In conseguenza delle aperte e ferme contestazioni mosse da Francia, Inghilterra ed Olanda nei confronti di Portogallo e Spagna lungo le rotte di collegamento con il Nuovo Mondo, si giunse alla progressiva affermazione dell’opposto principio della libertà dei mari.
Detto principio, tuttavia, si consolidò soltanto allorquando “l’Inghilterra divenne la più grande potenza marittima mondiale, l’unica in grado di esercitare un controllo su scala planetaria delle rotte commerciali più importanti”.