Il TAR della Calabria-Reggio Calabria, con la Sentenza del 7 ottobre 2009, n. 629, afferma che, in presenza anche di un singolo episodio di goliardia o comunque di esuberanza tra compagni di scuola, è legittima una valutazione di sufficienza in condotta da parte dell’Autorità scolastica relativamente al suo autore, laddove l’episodio in questione possa ritenersi espressivo di un generale e più radicato atteggiamento vessatorio, che sia tale da costituire un ambiente sfavorevole per qualcuno dei compagni di classe, secondo il prudente apprezzamento dell’Autorità scolastica medesima, che è responsabile sia della valutazione educativa e pedagogica della rilevanza dei fatti, sia della conseguente e doverosa azione educativa cui è chiamata per correggere gli squilibri che l’hanno prodotta.
Invero, il voto di condotta esprime un giudizio che l’Autorità scolastica rende in ordine ad aspetti non solamente didattici, ma, prima ancora, essenzialmente formativi ed educativi dei ragazzi (art. 2 del DL 137/2008; Decreto Ministeriale del 16.01.2009, nr. 5; cfr. anche l’art. 78 del RD 653/1925).
Come tale, attiene ad una sfera educativa che rappresenta il punto di incontro tra l’azione di più agenzie educative (in primo luogo, la famiglia, ma anche la scuola stessa) le quali sono chiamate ad interagire quanto più possibile in maniera consapevole e coordinata.
Il contenuto concreto di tale interazione, e, dunque, la finalità primaria della formazione della persona, non è lasciato al caso, ma è delineato da un sistema valoriale, giuridicamente vincolante, costituito dai precetti del DPR 249/98 che sono diretta attuazione dei più alti valori dell’Ordinamento, consacrati nell’art. 3 della Costituzione.
In tal senso, si può affermare che l’istituzione scolastica, opportunamente interagendo con le altre agenzie educative e formative dei ragazzi, in particolare la famiglia ed il contesto sociale di riferimento, deve assicurare la concreta attuazione degli obblighi generali di solidarietà che la Repubblica ha costituzionalmente assunto come propri, e che sono finalizzati a consentire il pieno sviluppo della persona umana nel contesto sociale che gli è proprio, eliminando o comunque concorrendo a ridurre quanto più possibile, le disfunzioni, le disuguaglianze e le discriminazioni, di qualsiasi genere o fonte esse siano, che limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Tale principio è particolarmente impegnativo, per l’Autorità scolastica, proprio perché essa è deputata a curare la formazione delle giovani coscienze, visto che la comunità di apprendimento della scuola offre ai ragazzi ed alle ragazze che la frequentano (per contenuti, tempo e qualità della convivenza) la più importante occasione per imparare ad interagire come individui, responsabilmente e secondo la propria inclinazione.
Ecco la sentenza in argomento:
Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria-Reggio Calabria
Sentenza 7 ottobre 2009, n. 629
FATTO E DIRITTO
Ricorrono i sigg.ri P. e F., in proprio e n.q. di genitori del minore Alfredo, per avversare le determinazioni dell’Istituto scolastico Liceo Classico Tommaso Campanella relative alla valutazione conclusiva dell’anno scolastico 2008-2009, relative alla classe quinta F del Liceo Classico “T.Campanella” nella parte in cui è stata attribuita la votazione di 6 (sei) in condotta all’allievo Alfredo.
Censurano l’illegittimità della sufficienza, in quanto quest’ultima sarebbe stata inflitta senza effettive motivazioni o comunque con ragioni insufficienti, legate a singoli episodi della vita scolastica (in particolare, l’avere preso parte l’alunno a cori di scherno verso altro compagno durante una gita).
A tale proposito, la difesa dei ricorrenti deduce che la valutazione della condotta avrebbe dovuto essere svolta alla luce dell’intero anno scolastico e non in relazione ad un singolo episodio verificatosi al termine di esso, in forza del quale, peraltro, solo l’allievo P. sarebbe stato oggetto di sanzione, non gli altri alunni che pure partecipavano ai suddetti cori (I censura); il “sei” in condotta sarebbe stata così una punizione inflitta e non un giudizio sulla maturità personale del ragazzo (II censura); il Consiglio di Classe avrebbe operato sulla base di criteri, e più precisamente di una tassonomia legata ad una propria scala docimologica stabilita sul momento e non deliberata all’inizio dell’anno scolastico dal Collegio dei Docenti, unico organo competente, e, peraltro violando questo stesso criterio presupposto (che prevedeva un voto di sufficienza solamente in presenza di avvenute sospensioni, invece mai avvenute: III censura).
Si è costituito l’Istituto scolastico, per mezzo del ministero dell’Avvocatura di Stato, che resiste al ricorso, di cui chiede il rigetto, difendendo la legittimità della votazione.
Alla camera di consiglio del 23 settembre 2009 la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta ai sensi dell’art. 26 e 21 della l. 1034/71, per essere decisa in forma semplificata, ammonite le parti presenti in camera di consiglio circa la regolarità e la completezza del contraddittorio e della istruttoria.
Ad avviso del Collegio, ed in adesione alle tesi difensive dell’Avvocatura di Stato che sono state puntualmente illustrate durante la discussione orale, il ricorso è infondato e come tale va respinto, con alcune precisazioni, tuttavia, che si rendono necessarie e che saranno esposte a seguire.
I) Va premesso, in punto di diritto, che il voto di condotta esprime un giudizio che l’Autorità scolastica rende in ordine ad aspetti non solamente didattici, ma, prima ancora, essenzialmente formativi ed educativi dei ragazzi (art. 2 del DL 137/2008; Decreto Ministeriale del 16.01.2009, nr. 5; cfr. anche l’art. 78 del RD 653/1925).
Come tale, attiene ad una sfera educativa che rappresenta il punto di incontro tra l’azione di più agenzie educative (in primo luogo, la famiglia, ma anche la scuola stessa) le quali sono chiamate ad interagire quanto più possibile in maniera consapevole e coordinata.
Il contenuto concreto di tale interazione, e, dunque, la finalità primaria della formazione della persona, non è lasciato al caso, ma è delineato da un sistema valoriale, giuridicamente vincolante, costituito dai precetti del DPR 249/98 che sono diretta attuazione dei più alti valori dell’Ordinamento, consacrati nell’art. 3 della Costituzione.
In tal senso, si può affermare che l’istituzione scolastica, opportunamente interagendo con le altre agenzie educative e formative dei ragazzi, in particolare la famiglia ed il contesto sociale di riferimento, deve assicurare la concreta attuazione degli obblighi generali di solidarietà che la Repubblica ha costituzionalmente assunto come propri, e che sono finalizzati a consentire il pieno sviluppo della persona umana nel contesto sociale che gli è proprio, eliminando o comunque concorrendo a ridurre quanto più possibile, le disfunzioni, le disuguaglianze e le discriminazioni, di qualsiasi genere o fonte esse siano, che limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Tale principio è particolarmente impegnativo, per l’Autorità scolastica, proprio perché essa è deputata a curare la formazione delle giovani coscienze, visto che la comunità di apprendimento della scuola offre ai ragazzi ed alle ragazze che la frequentano (per contenuti, tempo e qualità della convivenza) la più importante occasione per imparare ad interagire come individui, responsabilmente e secondo la propria inclinazione.
Per queste ragioni, mentre il voto delle singole materie è volto ad esprimere un giudizio didattico,ossia relativo al processo di apprendimento, e deve essere giustificato e sorretto da una motivazione riferibile all’avvenuta acquisizione delle nozioni previste dai programmi formativi (quindi è un voto che esprime la valutazione di una corrispondente situazione oggettiva di fatto e come tale va inteso, secondo i principi generali in tema di motivazione di un atto amministrativo), il voto in condotta, invece, esprime un giudizio più lato che investe sia la maturità personale complessiva della persona, sia la sua capacità di interazione con l’ambiente, nonché il grado di inserimento in quel sistema di valori che, sulla base della Carta Costituzionale, sono da considerarsi fondanti della società e del vivere civile. Dunque, quest’ultimo è un giudizio che è relativo ad una condizione soggettiva della persona non solo attuale, ma anche in prospettiva, in itinere, e ciò comporta due conseguenze, sul piano giuridico (della disciplina dell’istituto) e sul piano formativo (della finalità dell’istituto).
La prima è che la sufficienza in condotta va ricondotta ad una motivazione più lata di un voto di apprendimento e, dunque, può essere legittimamente sorretta da un apprezzamento avente un maggiore contenuto valutativo e discrezionale (nel senso che implica anche giudizi di opportunità sulle condizioni e sulle prospettive educative della ragazza o del ragazzo cui è attribuito): per tale ragione, può essere attribuita anche a seguito di un singolo e specifico episodio, magari di per sé anche non grave, ma che, alla luce del contesto complessivo della situazione della classe, si riveli espressivo di una abitudine, o di una tendenza negativa, suscettibile, a sua volta, di denotare un inserimento solo sufficiente nel sistema di valori che è proprio dell’ordinamento, e, dunque, della comunità scolastica (che nel primo e dal primo trae la propria autorevolezza e la propria effettività sul piano educativo e formativo); o che implichi anche solo l’opportunità di inserire nel percorso educativo degli allievi, in quel determinato contesto storico, un elemento di forte richiamo alle responsabilità cui li si vuole educare.
La seconda è che la sufficienza in condotta impegna, vincolandone l’operato, la comunità scolastica, prima ancora che lo studente o la studentessa che la ricevono, a porre in essere idonei programmi, strumenti ed occasioni di intervento per trasformare quella sufficienza in un voto pieno, (ciò, naturalmente, in proporzione al periodo di tempo che resta per il completamento del corso di studi); all’adozione di tali strumenti (che devono trovare apposito spazio nei progetti educativi dell’istituto e nei corrispondenti programmi scolastici) ed alla loro effettiva esecuzione, le famiglie degli studenti hanno interesse legittimo che è tutelabile nelle apposite sedi, anche giurisdizionali.
In altri termini, il sei in condotta, laddove sussistono tempi adeguati, lungi dall’influenzare il giudizio dei docenti sulle materie, inducendoli a ridurre le meritate votazioni a fronte di un ottimale rendimento scolastico (come paventato da parte ricorrente), li responsabilizza (moralmente, prima che giuridicamente) ad intervenire sul contesto e sulle persone, al fine di orientarne il comportamento verso quel modello di forte solidarietà nella responsabilità che è proprio dell’art. 3 della Costituzione.
A tali fini, quindi, va data particolare cura a perseguire e promuovere l’integrazione tra compagni e compagne di classe, contenendo le personalità dominanti e sostenendo quelle meno formate nell’irrobustirsi e trovare i propri spazi: in tale contesto, all’Autorità scolastica è demandato un delicato e particolare apprezzamento delle relazioni interpersonali tra gli allievi della scuola, che, per le specifiche responsabilità educative che involve, va esercitato con una responsabile discrezionalità, sorretta da corrispondente motivazione (che, oltre ad essere rilevante sul piano strettamente giuridico, è indispensabile sotto il profilo del rapporto educativo con gli allievi che devono poter percepire le ragioni delle scelte e così imparare a valutare le conseguenze delle proprie azioni).
II) Nella odierna fattispecie all’esame del Collegio, puntuali applicazioni di tali principi si evincono dalla lettura dei verbali del 12 giugno 2009, versati in atti dalla difesa erariale, e dal Regolamento d’Istituto (titolo IV, art. 2, comma 2) che è richiamato in essi (pag. 2 del verbale della seduta diurna, e pag. 3 della seduta relativa allo scrutinio finale). Ulteriori applicazioni di tali principi si evincono dalla lettura dei medesimi verbali, nelle parti ove si riscontra che è stato previsto il ricorso ad appositi percorsi educativi finalizzati a far acquisire, agli studenti tutti, dinamiche personali e di gruppo a partire dal prossimo anno scolastico, con il supporto di personale esperto chiamato a coinvolgere docenti allievi e genitori (cfr. ad es. il secondo punto del deliberato del 12 giugno 2009, pag. 4).
In tal senso, le determinazioni dell’Autorità scolastica si rivelano sorrette da un iter motivazionale complessivo coerente, coordinato con apposite iniziative che danno seguito alle valutazioni sugli alunni per offrire una competente risposta educativa e dunque l’azione dell’Istituto si rivela niente affatto errata o irrazionale; né il giudizio dell’Autorità è contraddetto dalla relazione del 9 giugno 2009, reso dalla prof.ssa F., considerato che quest’ultima esprime solo una propria valutazione sui fatti che, dunque, nella loro consistenza sono confermati.
Invero, dal complesso degli atti di causa, si evince anche che la complessiva situazione della classe, nella quale è maturato l’evento lesivo specifico dei cori di scherno avutisi (peraltro in più occasioni ed in un generale contesto comprensibilmente intollerabile per l’alunno che ne è stata vittima) durante la gita a Siracusa, appare connotata da più elementi di rilievo, indicatori della sussistenza di un contegno concordante di atteggiamenti negativi da parte dei compagni di classe: più precisamente, è emerso un effettivo collegamento tra l’iniziativa della pubblicazione di materiale video o fotografico su Internet, le modalità con le quali tale pubblicazione è avvenuta (in particolare la costituzione di un gruppo di condivisione che ha assunto quale proprio titolo il contenuto dei cori di scherno) e la proposizione dei suddetti cori di scherno da parte dell’allievo figlio degli odierni ricorrenti, divenuti poi collettivi, quando lo scherno è divenuto di “pubblica” rilevanza anche presso alunni di altre classi (ossia non direttamente in rapporti con l’allievo).
Tale più generale contesto, più che il fatto specifico, risulta nei verbali di Istituto come il vero e coerente impianto motivazionale della decisione di valutare come solo sufficiente la condotta dei tre allievi, ciascuno con evidenti diverse responsabilità nella produzione collettiva dell’atteggiamento di scherno,ma uniti nella pratica condivisione spontanea di un atteggiamento sicuramente da censurare nelle dovute forme.
In tal senso, dunque, sono da respingersi le tesi difensive di parte ricorrente: non corrisponde al contesto motivazionale effettivo, come ricostruito alla luce dei verbali depositati in giudizio, che la sufficienza in condotta sia stata inflitta a fronte di un episodio irrilevante, perché la ritenuta insignificanza dell’accaduto viene argomentata da parte ricorrente mediante decontestualizzazione dei fatti, cosa che non può trovare la condivisione del Collegio.
A fronte di ciò, non valgono neppure le ulteriori censure dedotte: in relazione alla prima, il complessivo impianto motivazionale che emerge dai verbali indica che, sia pure in occasione dello specifico contesto dell’accadimento, è stato valutato dall’Autorità scolastica l’effettivo grado di maturazione del ragazzo, così come denotatosi in relazione all’evento lesivo, e dunque anche rapportandolo al complessivo andamento dell’anno; a nulla rileva che gli altri allievi che presero parte ai cori non sono stati oggetto di analoga valutazione, perché è emerso che è stato il figliuolo degli odierni ricorrenti a svolgere un ruolo attivo nel “lancio” dei cori, che lo ha dunque distinto dal resto dei compagni (I censura), con la conseguenza che la scelta di non estendere la sufficienza a tutta la classe è stata quanto meno saggia, quindi niente affatto irrazionale o foriera di ingiustificata disparità di trattamento, perché, diversamente, l’Autorità scolastica avrebbe coalizzato la medesima classe contro l’allievo, correndo il rischio di perdere le finalità educative della sufficienza in condotta; non appare neppure condivisibile che il “sei” in condotta sia stato in realtà una punizione inflitta e non un giudizio sulla maturità personale del ragazzo, dato il contesto motivazionale complessivo cui si è fatto riferimento prima (II censura); l’ampia motivazione fornita dall’Autorità scolastica del giudizio sul ragazzo, consente quindi di superare il rilievo che il Consiglio di Classe avrebbe operato sulla base di criteri, e più precisamente di una tassonomia legata ad una propria scala docimologica, stabilita sul momento e non deliberata all’inizio dell’anno scolastico dal Collegio dei Docenti, perché l’eventuale mancanza di tale indicazione all’inizio dell’anno non può certo paralizzare o rendere inefficace il potere-dovere dell’Autorità scolastica di esprimere le valutazioni di propria competenza, alla fine dell’anno, essendo comunque sufficiente a tale scopo l’indicazione dei criteri di riferimento prima della votazione medesima, in modo da renderne palesi contenuto e finalità; quanto alla asserita violazione dello stesso criterio presupposto, sebbene, in effetti, quest’ultimo contempli la sufficienza in condotta solamente per effetto di intervenute sospensioni, mai avvenute (III censura), è evidente che in maniera razionale e comprensibile l’Istituto abbia considerato il valore intrinseco dell’accadimento, rapportandolo alla “sanzione” che sarebbe stata astrattamente da infliggere, allo scopo di ulteriormente il giudizio.
Pertanto, si deve affermare che, in presenza anche di un singolo episodio di goliardia o comunque di esuberanza tra compagni di scuola, è legittima una valutazione di sufficienza in condotta da parte dell’Autorità scolastica relativamente al suo autore, laddove l’episodio in questione possa ritenersi espressivo di un generale e più radicato atteggiamento vessatorio, che sia tale da costituire un ambiente sfavorevole per qualcuno dei compagni di classe, secondo il prudente apprezzamento dell’Autorità scolastica medesima, che è responsabile sia della valutazione educativa e pedagogica della rilevanza dei fatti, sia della conseguente e doverosa azione educativa cui è chiamata per correggere gli squilibri che l’hanno prodotta.
Per tutte queste ragioni, dunque, il ricorso è infondato e come tale da respingersi.
La novità della fattispecie portata alla decisione del Collegio costituisce giusta causa di compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, RIGETTA il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e manda alla Segreteria di comunicarne copia alle parti.