La Cassazione, nella Sentenza del 12 dicembre 2007 n. 26012, risolve positivamente la questione, già ampiamente dibattuta sia in giurisprudenza che in dottrina, sulla possibilità del socio di una società in nome collettivo (o, più in generale, del socio illimitatamente responsabile di una società di persone, quale il socio accomandatario) di prestare garanzia fideiussoria per le obbligazioni sociali.
Secondo un primo indirizzo, infatti, il presupposto che l’obbligazione “altrui”, cui l’art. 1936 cod. civ. condiziona la possibilità di prestare fideiussione, sia costituita dalla diversità soggettiva tra debitore e fideiussore, e che tale situazione non si verifichi nell’ipotesi di garanzia prestata da chi – come il socio di una società di persone – sia già tenuto, proprio in virtù di questa sua qualità, al soddisfacimento dell’obbligazione garantita con tutto il suo patrimonio.
Il socio illimitatamente responsabile che si costituisse fideiussore per un’obbligazione della società, sarebbe tenuto a soddisfare, a titolo di fideiussione, un’obbligazione per la quale è già tenuto a rispondere “illimitatamente” a titolo di socio; ma la molteplicità di titoli in forza dei quali il socio sia chiamato a rispondere di un’obbligazione, non implica anche molteplicità di obbligazioni.
Secondo un diverso orientamento, invece, si osserva che anche alle società di persone, in quanto titolari di un patrimonio autonomo, deve riconoscersi una soggettività. Nelle società di persone l’autonomia patrimoniale si esprime, rispetto a quella delle società di capitali, con intensità minore; ma tale situazione, che rende possibile entro certi limiti l’assoggettamento del patrimonio personale dei soci all’azione dei creditori sociali, e quello del patrimonio sociale alle iniziative dei creditori personali del socio, non incide sul principio della separazione e distinzione del patrimonio sociale rispetto a quello personale dei soci. E sebbene tale separazione non valga ad attribuire alla società la personalità giuridica riconosciuta dall’ordinamento giuridico alle sole società di capitali (cfr. l’art. 2331 cod. civ.), non pare contestabile che essa si manifesti in una forma di soggettività giuridica, sia pure attenuata e tale in ogni caso da configurare un’alterità tra soci, da una parte, e società, dall’altra, come si desume da ben precisi indici normativi che la dottrina non ha mancato di sottolineare (artt. 2257, 2258 e 2260 cod. civ., per i quali l’amministrazione ed i diritti ed obblighi degli amministratori hanno come riferimento la società; art. 2266 c.c., comma 1, ove è stabilito che la società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi; art. 2297 e 2317 cod. civ. relativo alla mancata iscrizione nel registro delle imprese ed ai rapporti tra “la società e i terzi”; artt. 2298 e 2031 cod. civ. relativi alla rappresentanza della s.n.c. e, rispettivamente, al divieto di atti di concorrenza dei soci verso la società; art. 2659 e 2839 cod. civ., che considerano la società di persone come un vero e proprio soggetto, a favore o contro il quale possono essere effettuate trascrizioni di acquisti immobiliari ed iscrizioni di ipoteche). Le stesse disposizioni sulla responsabilità solidale ed illimitata dei soci (art. 2267 cod. civ. per la società semplice; art. 22191 per la società in nome collettivo; art. 2313 cod. civ. per la società in accomandita semplice), oltre ad evidenziare differenze di disciplina in virtù delle quali la responsabilità solidale ed illimitata non vale sempre e per tutti i soci, confermano la rilevata alterità soggettiva, posto che il vincolo solidale riguardo ad una determinata obbligazione postula per l’appunto una pluralità di soggetti che all’adempimento di tale obbligazione sono tenuti.
Pertanto, è possibile ribadire che la società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità processuale. In forza di tale autonomia (per effetto della quale è possibile l’instaurazione di rapporti giuridici distinti tra la società e terzi e tra la prima e gli stessi soci), così come legittimato ad agire in giudizio per gli interessi della società e far valere diritti, ovvero per contestare eventuali obblighi ad essa ascritti, è esclusivamente il soggetto che rivesta la qualità di legale rappresentante (cfr., tra le altre, Cass. 13 aprile 2007, n. 8853;13 dicembre 2006, n. 26744), e così come riguardo ad esse è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società (Cass. 17 gennaio 2007, n. 104 5), allo stesso modo deve ritenersi che la fidejussione prestata dal socio a favore della società, proprio per effetto della rilevata autonomia patrimoniale e della distinzione di sfere giuridiche (quella sociale e quella del socio) rientra tra le garanzie prestate per le obbligazioni “altrui”, secondo lo schema delineato dall’art. 1936 cod. civ..
Né può sostenersi che la fideiussione rilasciata dal socio, già illimitatamente responsabile “ex lege” per le obbligazioni sociali, sia priva di causa, sotto il profilo che essa non aggiungerebbe nulla di più alla garanzia patrimoniale già offerta al creditore per effetto della disciplina legislativa.
Vari possono essere infatti gli interessi che muovono il creditore sociale a voler pretendere una ulteriore garanzia: quello che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società oppure quello di svincolarsi dal limite del beneficio di escussione fissato dall’art. 2304 c.c. che subordina l’escussione dei singoli soci a quella del patrimonio sociale.
È pertanto sufficiente l’esistenza in concreto di uno qualsiasi di tali interessi per affermare la validità della fideiussione rilasciata dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone.
Emiliana Matrone
Cassazione civile, sez. I, 12 dicembre 2007, n. 26012
Fatto
Con atto di citazione notificato il 5 ottobre 1992 B.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Brescia la società cooperativa a responsabilità limitata Banca Popolare di Brescia, la s.a.s. Tecnop… di T. G.& C., T.G., M.G. e Bo.Fr. e proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il presidente del Tribunale di Brescia gli aveva intimato di pagare alla Banca la somma di L. 132.525.898 quale saldo di un rapporto di conto corrente intrattenuto con la Tecnoprogetti per la cui esposizione avevano prestato fideiussione il B., il T. ed il M.. Esponeva che la fideiussione risultava essere stata presa con riferimento alle esposizioni della s.n.c. Tecnop… di T. G.& c. (della quale, fra l’altro, B. era socio) e non della s.a.s.
Tenop…, ad esso opponente estranea e le cui esposizioni non aveva ragione né interesse a garantire; che ciò era ben noto alla Banca la quale, proprio su richiesta della s.a.s., aveva provveduto a sostituire il c/c n. (OMISSIS) intestato alla s.n.c. con il c/c n. (OMISSIS) intestato alla s.a.s.; che la s.n.c. aveva chiuso il rapporto con la Banca “in attivo”, con la conseguenza che l’opponente – il quale, come fideiussore, nulla era tenuto a prestare più del debitore principale – nulla doveva alla Banca. Il successivo sviluppo del rapporto con il nuovo soggetto, al quale B. era estraneo, rifletteva libere determinazioni della Banca che giammai egli aveva ritenuto di garantire; inoltre la nuova società costituita in forma di s.a.s., vale a dire con il solo socio accomandatario illimitatamente responsabile, offriva minori garanzie rispetto alla precedente, così che l’opponente doveva considerarsi esonerato, ex art. 1956 c.c., da ogni responsabilità per il credito incautamente dalla banca erogato a tale meno affidabile soggetto; manifestava, inoltre, l’intento di essere surrogato nel diritti della banca, in ipotesi di rigetto della opposizione, nei confronti delle società (s.n.c. e s.a.s.) e dei soci illimitatamente responsabili, compresi i convenuti M. e Bo., accomandanti ingeritisi nella gestione della s.a.s.; chiedeva, infine, di potere agire in regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva porzione e, in particolare, chiedeva di essere garantito da Bo.Fr., il quale, acquistando la quota di esso B., ne aveva espressamente assunto tutte le passività, gli oneri e le obbligazioni.
Si costituiva in giudizio la sola Banca sostenendo che il mutamento della struttura societaria non valesse ad immutare il soggetto, che restava il medesimo, nei confronti del quale l’opponente aveva prestato fideiussione; contestava che dopo il mutamento dell’assetto sociale ed il trasferimento delle posizioni già esistenti sul conto intestato alla s.n.c. al nuovo conto intestato alla s.a.s., la Banca avesse continuato ad erogare credito a quest’ultima e sottolineava l’onere, per l’opponente, di fornire di tale affermazione rigorosa prova. Chiedeva quindi che l’opposizione fosse respinta previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo.
Con sentenza del 24 febbraio 2000 il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. Osservava il primo giudice che, nella specie, si trattava di pretesa discendente dalla fideiussione prestata da B., socio illimitatamente responsabile della s.n.c. Tecnoprogetti, per le obbligazioni future di detta s.n.c. nei confronti della Banca e che, pertanto, il contratto era nullo per mancanza di causa, questa dovendo essere individuata, con riguardo al contratto di fideiussione, nella funzione di garanzia svolta mediante l’allargamento della base soggettiva tenuta al soddisfacimento del debito principale, allargamento non ravvisabile nella ipotesi di fideiussione prestata da soggetto già illimitatamente responsabile, quale socio di una s.n.c., delle obbligazioni della società medesima.
Proposta impugnazione dalla Banca, la decisione del Tribunale veniva confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza del 22 gennaio – 2 luglio 2003 contro la quale la Bipop Carire s.p.a., già Banca Popolare di Brescia s.coop. a r.l., facente parte del Gruppo Bancario Capitalia, ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria successiva.
Il B. ha resistito notificando controricorso e proponendo ricorso incidentale condizionato.
Diritto
1. Preliminarmente il ricorso n. 21965/03 R.G. ed il ricorso n. 24231/03 R.G. debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.
2. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2251, 2291 e 2304 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la Corte d’appello evidenziate e valorizzate l’autonomia e la distinzione tra socio e società di persone, di cui il primo fa parte, con il risultato di non porre in luce l’autonomia patrimoniale della società che, senza raggiungere le caratteristiche della personalità giuridica spettante alle società di capitali, è tale da rendere l’ente titolare di diritti verso terzi o verso i soci, per effetto di una capacità certamente ridotta rispetto a quella delle persone, ma pur sempre esistente.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto per non avere la Corte d’appello tenuto in debita considerazione il principio, ricavatile dall’applicazione della L. Fall., art. 184, in base al quale il socio di una collettiva in concordato preventivo può rispondere pro quota, nei limiti della proposta concordataria, e per la residua entità fino alla somma totalmente dovuta al creditore per effetto della garanzia prestata in qualità di fideiussore, come emergerebbe in modo chiaro dal comma 3 della norma in esame, e come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 5642/84. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 2267 e 2304 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte d’appello affermato, per la prestazione di una fideiussione, la necessità dell’allargamento della base soggettiva come condizione unica di validità, quando invece l’alterità – ovvero l’allargamento della base soggettiva – si verifica anche con la contrapposizione del socio alla società della quale egli fa parte, potendo quindi il socio prestare fideiussione alla società, e dare origine in tal modo ad un’obbligazione esonerata dal beneficium excussionis ex art. 2304 cod. civ.. Facendo richiamo alla sentenza 30 giugno 1998, n. 6407 di questa Corte, secondo cui la garanzia fideiussoria può essere data e quindi costituire un impegno non privo di causa solo quando vi sia allargamento della base soggettiva passiva, il giudice d’appello avrebbe trascurato di considerare che il socio è componente della società garantita, ma non si identifica con essa, con conseguente allargamento della base soggettiva in caso di prestazione da parte del socio stesso della garanzia fideiussoria.
Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1255 e 1926 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Corte d’appello, pur riconoscendo che la garanzia fidejussoria prestata da un socio può assicurare vantaggi maggiori di quelli derivanti dall’obbligazione che legava il socio alla società, ha però affermato la mancanza di causa per effetto della mancanza di alterità, cioè dell’allargamento della base soggettiva passiva, senza considerare che – una volta riconosciuta l’autonomia patrimoniale delle società di persone rispetto ai soci – non è di ostacolo alla validità della fidejussione la prestazione della garanzia da parte del socio, attesa appunto l’autonomia delle posizioni giuridiche.
Con il quinto motivo la ricorrente ha dedotto omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, e violazione degli artt. 1255 e 1950 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello affermato che la qualità di fideiussore e socio non possono concorrere nel medesimo soggetto, né che sia possibile il regresso del fideiussore verso la società garantita.
3. Il controricorrente ha riproposto le ulteriori ragioni da esso invocate a sostegno dell’opposizione a decreto ingiuntivo, sia come motivi di ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale, sia quali argomenti nel merito per l’ipotesi in cui questa Corte ritenesse di dover decidere la causa senza rinvio ai sensi dell’art. 384 c.p.c.. In relazione a ciò, egli ha dedotto;
a) violazione o falsa applicazione degli artt. 1235, 1275 e 1939 cod. civ., con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omessa motivazione, con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte d’appello negato l’intervenuta estinzione per novazione soggettiva dell’obbligazione di Tecnoprogetti s.n.c. nei confronti della ricorrente;
b) violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omessa motivazione, con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte d’appello negato la violazione del dovere di correttezza e buona fede per aggravamento del rischio;
c) omessa motivazione con riguardo alla declaratoria di infondatezza dell’eccezione di nullità parziale della fideiussione per violazione degli artt. 1283 e 1284 cod. civ. in relazione alla L. 7 marzo 1996, n. 108.
4. I cinque motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente ed il ricorso merita accoglimento. Alla base della sentenza impugnata vi è infatti il presupposto che l’obbligazione “altrui”, cui l’art. 1936 cod. civ. condiziona la possibilità di prestare fideiussione, sia costituita dalla diversità soggettiva tra debitore e fideiussore, e che tale situazione (definita dalla Corte d’appello in termini di “allargamento della base soggettiva”) non si verifichi nell’ipotesi di garanzia prestata da chi – come il socio di una società di persone – sia già tenuto, proprio in virtù di questa sua qualità, al soddisfacimento dell’obbligazione garantita con tutto il suo patrimonio.
Questa tesi può essere sostenuta solo facendo coincidere l’ambito della soggettività giuridica (o, meglio, l’ambito applicativo dell’art. 1936 cod. civ. nella parte in cui la norma fa riferimento all’obbligazione “altrui”) con quello riferibile alle persone fisiche ed agli enti dotati di personalità giuridica, e solo ipotizzando – secondo l’impostazione analiticamente sviluppata dal resistente nelle proprie difese – che i debiti di cui il socio risponde ai sensi dell’art. 2291 cod. civ. debbono essere considerati come debiti propri (anche) del socio: l’avverbio “illimitatamente”, figurante nel testo della norma, starebbe infatti a significare non tanto la “quantità” di obbligazioni per le quali il socio risponde, quanto la sfera patrimoniale con cui si risponde, e varrebbe ad esprimere la destinazione del patrimonio del socio, come complesso di beni presenti e futuri, a garanzia del valore pecuniario delle obbligazioni della società a favore dei creditori di essa e la soggezione di tale patrimonio al potere di aggressione o coazione dei creditori, in base ai concetti comunemente accolti di responsabilità patrimoniale. Il socio illimitatamente responsabile che si costituisse fideiussore per un’obbligazione della società, sarebbe tenuto a soddisfare, a titolo di fideiussione, un’obbligazione per la quale è già tenuto a rispondere “illimitatamente” a titolo di socio; ma la molteplicità di titoli in forza dei quali il socio sia chiamato a rispondere di un’obbligazione, non implica anche molteplicità di obbligazioni.
In contrasto con tale opinione, si deve invece osservare che, se la società di persone è indubbiamente priva di personalità giuridica ed in essa l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali costituiscono uno strumento giuridico volto a consentire alla pluralità dei soci medesimi unitarietà di forme di azione, senza che tale pluralità venga a dissolversi nella unicità esclusiva di un “ens tertium” (cfr., tra le altre, Cass. aprile 2006, n. 7886), nella giurisprudenza di questa Corte è altrettanto consolidata l’affermazione che anche alle società di persone, in quanto titolari di un patrimonio autonomo, deve riconoscersi una soggettività. Nelle società di persone l’autonomia patrimoniale si esprime, rispetto a quella delle società di capitali, con intensità minore (e con graduazioni diversamente accentuate a seconda delle diverse forme sociali); ma tale situazione, che rende possibile entro certi limiti l’assoggettamento del patrimonio personale dei soci all’azione dei creditori sociali, e quello del patrimonio sociale alle iniziative dei creditori personali del socio (cfr. l’art. 2270 cod. civ., dove peraltro si parla di utili e di quota di pertinenza del socio), non incide sul principio della separazione e distinzione del patrimonio sociale rispetto a quello personale dei soci. E sebbene tale separazione non valga ad attribuire alla società la personalità giuridica riconosciuta dall’ordinamento giuridico alle sole società di capitali (cfr. l’art. 2331 cod. civ.), non pare contestabile che essa si manifesti in una forma di soggettività giuridica, sia pure attenuata e tale in ogni caso da configurare un’alterità tra soci, da una parte, e società, dall’altra, come si desume da ben precisi indici normativi che la dottrina non ha mancato di sottolineare (artt. 2257, 2258 e 2260 cod. civ., per i quali l’amministrazione ed i diritti ed obblighi degli amministratori hanno come riferimento la società; art. 2266 c.c., comma 1, ove è stabilito che la società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi; art. 2297 e 2317 cod. civ. relativo alla mancata iscrizione nel registro delle imprese ed ai rapporti tra “la società e i terzi”; artt. 2298 e 2031 cod. civ. relativi alla rappresentanza della s.n.c. e, rispettivamente, al divieto di atti di concorrenza dei soci verso la società; art. 2659 e 2839 cod. civ., che considerano la società di persone come un vero e proprio soggetto, a favore o contro il quale possono essere effettuate trascrizioni di acquisti immobiliari ed iscrizioni di ipoteche). Le stesse disposizioni sulla responsabilità solidale ed illimitata dei soci (art. 2267 cod. civ. per la società semplice; art. 22191 per la società in nome collettivo; art. 2313 cod. civ. per la società in accomandita semplice), oltre ad evidenziare differenze di disciplina in virtù delle quali la responsabilità solidale ed illimitata non vale sempre e per tutti i soci, confermano la rilevata alterità soggettiva, posto che il vincolo solidale riguardo ad una determinata obbligazione postula per l’appunto una pluralità di soggetti che all’adempimento di tale obbligazione sono tenuti. Pur dovendosi dunque escludere che rispetto alla questione dibattuta nel presente giudizio possa assumere rilievo la norma della L. Fall., art. 184, comma 1 (il quale, nello stabilire che i creditori, soggetti alla obbligatorietà del concordato, conservano impregiudicati i diritti contro i fideiussori, si riferisce ai terzi diversi dai soci, trovando titolo la responsabilità di questi ultimi, nel concordato come nel fallimento, proprio nella loro qualità di soci, in via assorbente rispetto ad eventuali diverse fonti di responsabilità per i medesimi debiti sociali: Cass. Sez. Unite 24 agosto 1989, n. 3749; Cass. 1 marzo 1999, n. 1688); e pur essendo corretto affermare che la responsabilità del socio illimitatamente responsabile di società di persone, in quanto prevista direttamente dalla legge, riguarda debiti che non possono dirsi a lui estranei, occorre ribadire – alla stregua dell’orientamento consolidato di questa Corte – che la società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità processuale. In forza di tale autonomia (per effetto della quale è possibile l’instaurazione di rapporti giuridici distinti tra la società e terzi e tra la prima e gli stessi soci), così come legittimato ad agire in giudizio per gli interessi della società e far valere diritti, ovvero per contestare eventuali obblighi ad essa ascritti, è esclusivamente il soggetto che rivesta la qualità di legale rappresentante (cfr., tra le altre, Cass. 13 aprile 2007, n. 8853;13 dicembre 2006, n. 26744), e così come riguardo ad esse è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società (Cass. 17 gennaio 2007, n. 104 5), allo stesso modo deve ritenersi che la fidejussione prestata dal socio a favore della società, proprio per effetto della rilevata autonomia patrimoniale e della distinzione di sfere giuridiche (quella sociale e quella del socio) rientra tra le garanzie prestate per le obbligazioni “altrui”, secondo lo schema delineato dall’art. 1936 cod. civ..
Né può sostenersi che la fideiussione rilasciata dal socio, già illimitatamente responsabile “ex lege” per le obbligazioni sociali, sia priva di causa, sotto il profilo che essa non aggiungerebbe nulla di più alla garanzia patrimoniale già offerta al creditore per effetto della disciplina legislativa. Come, infatti, è stato osservato in dottrina, nonostante la garanzia già fornita “ex lege” dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale (nei casi, naturalmente, e con riguardo ai soci per i quali tale regime sia previsto), possono esservi altri interessi che muovono il creditore sociale a voler pretendere una ulteriore garanzia:
l’interesse, ad esempio, a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l’altro dal limite (sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione) del “beneficium excussionis” di cui all’art. 2304 cod. civ.; e sarebbe sufficiente accertare l’esistenza in concreto di uno qualsiasi di tali interessi per affermare la validità della fideiussione rilasciata dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone. Contrariamente a quanto sostenuto dal resistente, il rilascio della fidejusssione da parte del socio illimitatamente responsabile non altera lo schema “legale” delle società personali,che resta immutato, ma semplicemente aggiunge un titolo diverso in base al quale, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, e con specifico riferimento alle obbligazioni garantite dal contratto di fideiussione, consente tra l’altro al creditore di agire in sede esecutiva senza che al fideiussore – in quanto tale – sia consentito avvalersi del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale. La circostanza che tale effetto possa in qualche modo alterare la parità di condizioni tra creditori, non implica alcuna deviazione rispetto al “tipo” legale di società, dal momento che la norma relativa al “beneficium excussionis” è posta chiaramente a tutela dei soci, che dunque possono disporne senza che ciò comporti alcun contrasto con norme inderogabili.
Consegue da quanto sopra che il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile. La lettura della sentenza impugnata rende infatti evidente che i rilievi della Corte d’appello relativi all’infondatezza “delle altre ragioni addotte da B. a sostegno dell’opposizione” (pagg. 7-8 della sentenza impugnata) costituiscono affermazioni del tutto incidentali, rimaste estranee alla “ratio decidendi”, sicchè tutte tali questioni dovranno costituire oggetto di esame da parte del giudice del rinvio.
In relazione all’accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile quello incidentale; in relazione all’accoglimento del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2007