TRIBUNALE DI NOLA
(Giudizio N.R. 58/2000)
Oggetto: impugnativa di licenziamento.
MOTIVAZIONE
contestuale ex art. 281 sexies c.p.c.
da allegare al verbale di udienza del 06.11.2006
Tribunale di Nola, Giudice del Lavoro, Dott.ssa Monica Galante, sentenza del 06.11.06
Con ricorso depositato in data 18.01.2000 il ricorrente domandava al Tribunale di Nola, in funzione di giudice del lavoro, la declaratoria dell’ “obbligo da parte della convenuta s.r.l. LA XXXX al repechage del lavoratore licenziato per mancanza di porto d’armi nel 3° livello tecnico-amministrativo così come da mansioni precedentemente svolte dallo stesso”.
In particolare, dichiarava di essere stato alle dipendenze della resistente dal 1990; di avere svolto le mansioni di guardia particolare giurata (g.p.g.) e di esattore, provvedendo alla riscossione delle bollette di pagamento per il servizio di vigilanza presso gli utenti nei Comuni di Zzzzz e Kkkkk dal 1990 al 1992; di essere stato promosso nel 1994 maresciallo maggiore, occupandosi in modo prevalente di predisporre i servizi per le guardie, effettuare lavori di ufficio, controllare i vari servizi; di essere stato licenziato con effetto immediato in data 18.03.1998 a causa del mancato rinnovo da parte dell’Autorità Prefettizia del decreto di approvazione della nomina a g.p.g., scaduto il 13.09.1997, per pendenza a suo carico di un procedimento penale con imputazione di associazione per delinquere nonché una querela per insolvenza fraudolenta; di avere impugnato in data 24.03.1998 il licenziamento. Sosteneva, inoltre, che il giudice ordinario può valutare sia pure incidentalmente il decreto di diniego della Prefettura ai fini della valutazione della personalità del ricorrente; che la convenuta aveva fatto dipendere il recesso dall’impossibilità di utilizzo del ricorrente nella sua struttura produttiva; che, invece, il ricorrente aveva svolto già da tempo compiti diversi di g.p.g. o comunque mansioni promiscue, con possibilità di essere inserito nella struttura della resistente nel III livello tecnico-amministrativo.
Notificato il ricorso e il decreto di fissazione, si costituiva tempestivamente l’Istituto di Vigilanza Privata “La XXXX” srl, che domandava il rigetto della domanda. In particolare, affermava che il rapporto di lavoro tra le parti era iniziato nel 1992 con assegnazione del ricorrente della matricola n. 21 sino al 01.02.1996, data di un primo licenziamento. Precisava che all’epoca il ricorrente era stato incaricato, per assenza temporanea di un addetto alla specifica mansione, alla riscossione di alcune rate di canone presso utenti del servizio di vigilanza e che non aveva versato alla società l’importo di alcune fatture indebitamente trattenute, oltre al mancato pagamento di beni acquistati nella gioielleria Nnnnn di …… Aggiungeva, poi, che dal 01.03.1996 il ricorrente era stato riassunto con mansioni di guardia semplice e non più di maresciallo; che, in data 23.03.1998 la Prefettura di Napoli aveva rimesso il decreto col quale in data 18.03.1996 era stato denegato il rinnovo di porto d’armi al ricorrente per pendenza a suo carico di un procedimento penale con imputazione di associazione per delinquere, contraffazione ed uso di documenti di riconoscimento e ricettazione di titoli di credito; che per tale motivo era stato licenziato, attesa altresì l’impossibilità di un suo utilizzo in mansioni equivalenti a quelle svolte. Precisava che nessun sindacato avrebbe potuto essere esercitato dal giudice ordinario su un provvedimento amministrativo ampiamente discrezionale; che il diniego di rinnovo del porto d’armi costituiva un fatto oggettivo che determinava l’impossibilità assoluta e permanente della prestazione lavorativa; che era da escludere il repechage nel caso in cui l’impossibilità di svolgimento delle mansioni derivasse da un fatto che riguardava la persona del lavoratore. Ad ogni modo, precisato che i compiti comportanti il maneggio di danaro erano stati affidati solo occasionalmente e svolti impropriamente (per l’omesso versamento delle somme incassate) e che l’organico della società era al completo, eccepiva l’infondatezza della domanda di riassunzione.
Nel corso del processo il giudice procedeva al libero interrogatorio delle parti ed al tentativo di conciliazione che dava esito infruttuoso; venivano poi escussi i testi AA e BB , di parte resistente; veniva, inoltre, dichiarata all’udienza del 10.02.2003 (rectius: 10.02.2005) la decadenza del ricorrente dalla prova per omessa intimazione del teste ammesso per l’udienza del 13.01.05 ex art. 104 disp. att. c.p.c. All’udienza del 06.11.2006, previo deposito di note e di copia del libro matricola (da cui risultava un numero superiore a 15 dipendenti alla data del licenziamento del ricorrente), il giudice, invitate le parti alle discussione, decideva la causa come da separato dispositivo e motivazione contestuale.
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Va, preliminarmente, affermato che quanto alla prova della applicabilità della tutela reale e, dunque, della possibilità di reintegra del lavoratore per il requisito dimensionale del datore, ai sensi della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni Unite n. 141 del 2006, le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. Nel caso di specie, dai libri matricola allegati dalla resistente risulta un numero di dipendenti superiore a 15: dunque, è applicabile la tutela reale.
Quanto ai fatti di causa, è incontestato tra le parti che con decreto del Prefetto del 18.03.1998 sono state respinte sia l’istanza prodotta dalla società La XXXX intesa ad ottenere il rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata in favore del ricorrente sia l’istanza prodotta da quest’ultimo per la connessa licenza di porto d’armi, attesa la pendenza presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico del ricorrente, di un procedimento penale per associazione a delinquere, contraffazione, uso di documenti di riconoscimento e ricettazione di titolo di credito (conclusosi con sentenza di assoluzione, allegata), per la segnalazione dal Comando dei Carabinieri di Battipaglia alla Pretura Circondariale di Salerno a seguito di querela per insolvenza fraudolenta nonché la valutazione in ordine al ricorrente che non offriva le “necessarie garanzia di affidabilità per l’espletamento delle delicate mansioni connesse alla qualifica di guardia giurata” (cfr. decreto allegato dalla resistente).
E’ pacifico anche che con lettera del 18.03.1998 la società resistente ha licenziato con effetto immediato il ricorrente a causa del mancato rinnovo da parte dell’Autorità Prefettizia del decreto di approvazione della nomina a guardia particolare giurata, che risulta scaduto lo scorso 13.09.1997. In tale lettera è, inoltre, specificato che “mancando la nomina, Ella non può svolgere la Sua normale attività lavorativa di guardia giurata all’interno della Società, né si rinviene nel residuo contesto aziendale alcuna possibilità di un Suo utilizzo in mansioni equivalenti a quelle da ultimo da Lei svolte” (ctr. Lettera di licenziamento allegata dalla resistente).
Sul punto, va applicato l’art. 74 CCNL vigilanza istituti privati del 21.12.1995, allegato dal ricorrente (e richiamato dall’istante nel ricorso e dalla società nella lettera del 18.03.1998 inviata alla Prefettura ed allegata nella produzione di parte), “nel caso di sospensione o di mancato rinnovo del decreto di nomina a Guardia particolare giurata e/o della licenza di porto d’armi, il datore di lavoro potrà sospendere dal servizio e dalla retribuzione il lavoratore. Trascorso un periodo di 180 giorni di calendario senza che il lavoratore sia tornato in possesso dei documenti di cui sopra, il datore di lavoro potrà risolvere il rapporto di lavoro per tale motivo senza preavviso o indennità sostitutiva. Diversi termini potranno essere concordati in sede locale”.
E’, dunque, data la possibilità al datore di licenziare il lavoratore nel caso di mancato rinnovo del decreto di nomina a g.p.g., atteso che il rapporto di lavoro, che si instaura fra un istituto di vigilanza e le dipendenti guardie giurate, ha natura particolare: l’esercizio delle relative funzioni, inserito nel generale potere organizzativo della polizia per la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica e per l’esercizio di compiti di polizia, è subordinato al rilascio delle prescritte autorizzazioni (art. 133 ss. del r.d. 18-6-1931 n. 773, r.d.l. n. 1952 del 1935, articoli 249 e 256 del r.d. n. 635 del 1940); consegue che un rapporto di lavoro del genere non può svolgersi al di fuori delle autorizzazioni e dei controlli, posti in modo tassativo dalla legge, e la sopravvenuta sospensione a tempo indeterminato o mancato rinnovo dei titoli autorizzativi rende impossibile la prestazione di lavoro. In tal caso, è legittimo il licenziamento, intimato esclusivamente per tale ragione (Cass. 3-7-1984 n. 3906; Cass. civ., 03/07/1987, n. 5848, Sez. lav.; Cass. civ., Sez. lav., 07/09/1988, n. 5076), configurandosi un fatto oggettivo (“factum principis”) che determina l’impossibilità assoluta e permanente della prestazione lavorativa, dato che il possesso del porto d’armi è condizione essenziale per lo svolgimento del rapporto (Pret. Milano, 17/05/1996), idonea a giustificare la risoluzione secondo le norme generali (art. 1464 c. c.) e un giustificato motivo di licenziamento a norma dell’art. 3, l. 15 luglio 1966, n. 604 (Cass. civ., Sez. lav., 06/06/1989, n. 2727).
Per quanto riguarda gli effetti che la revoca della nomina e del porto d’armi esplica sul rapporto di lavoro delle guardie private, dunque, non può omettersi di rilevare che un’eventuale disapplicazione del provvedimento amministrativo – da doversi peraltro escludere, atteso l’ampio margine di discrezionalità di cui dispone l’autorità di P.S. nella valutazione dei fatti disciplinarmente rilevanti che, concretizzandosi nella violazione degli obblighi imposti alla guardia giurata, sconsigliano il mantenimento della nomina e del porto d’armi – non potrebbe determinare un diverso atteggiamento della situazione di fatto, posto che alla disciplina dei suddetti provvedimenti, pronunciata dal giudice ordinario, non potrebbe, comunque conseguire il ripristino della nomina e del porto d’armi, costituendo attribuzione dell’autorità amministrativa (Cass. civ., 07/09/1988, n. 5076, Sez. lav.).
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per evento esulante dal rapporto di lavoro – come, nella fattispecie in esame, il ritiro da parte dell’autorità amministrativa del titolo di guardia particolare giurata – deve essere valutata nel coordinamento degli artt. 1463 e 1464 c.c. con la legge 15 luglio 1966 n. 604, che all’art. 1 dispone che il recesso datoriale dal rapporto a tempo indeterminato può avvenire solo per giusta causa o per giustificato motivo.
Occorre, pertanto, che il datore di lavoro dimostri o che la prestazione è divenuta totalmente impossibile – occupando egli solo lavoratori addetti all’attività di guardia particolare giurata – oppure, ove occupi anche personale svolgente mansioni diverse, non richiedenti alcun titolo di polizia (come nella fattispecie esaminata), che egli non abbia un “interesse apprezzabile” alla prosecuzione del rapporto; dove questo “apprezzamento” va interpretato, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, alla stregua delle “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (cfr. Cass., 14 aprile 1981 n. 2256; 28 febbraio 1992 n. 2461). Di conseguenza, nel secondo caso, il datore di lavoro deve dimostrare di non poter impiegare il lavoratore in altre mansioni non richiedenti quel titolo revocato dall’autorità amministrativa (Cass. civ., Sez. lavoro, 08/11/2005, n. 21672; Cass. civ., 24/10/2000, n. 13986, Sez. lav.).
Il problema, poi, della rilevanza o meno di una “colpa” del lavoratore in relazione alla emanazione del provvedimento amministrativo di revoca del titolo, agli effetti della sussistenza o meno di un obbligo di repechage, va risolto in base a quella che è stata la motivazione del licenziamento (non potendo avere riguardo a fatti denunciati in giudizio per l’immodificabilità della motivazione del recesso).
Se è stato addotto il giustificato motivo oggettivo, costituito dal factum principis, allora diviene irrilevante la condotta (colpevole) del lavoratore che abbia determinato quel provvedimento.
Diverso è il caso in cui il licenziamento si fondi, più che sulle conseguenze del comportamento del lavoratore (il provvedimento di revoca), sul comportamento stesso, di modo che il motivo del recesso é costituito in realtà da un giustificato motivo soggettivo, rientrante nella prima parte dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966: “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”. É evidente che in questo caso, una volta accertato l’inadempimento posto alla base della revoca del titolo di polizia, il datore di lavoro non è tenuto a “rinvenire nell’ambito dell’azienda, per il lavoratore colpevole, un posto di lavoro con mutamento di mansioni” (così Cass., 27 giugno 1986 n. 4294, in motivazione).
Nel caso in esame, la stessa società ha licenziato il ricorrente per il fatto oggettivo della revoca del titolo (e, quindi, con giustificato motivo oggettivo) ed ha dichiarato l’impossibilità di rinvenire un possibile utilizzo in mansioni equivalenti a quelle svolte (cfr. lettera di licenziamento) per completezza dell’organico: diviene, dunque, irrilevante la valutazione della condotta del lavoratore, nonostante nella lettera di licenziamento impropriamente sia stato indicato il recesso come “provvedimento disciplinare” (cfr. intestazione).
Quanto alla prova della dedotta impossibilità di “ripescaggio” del ricorrente, va preliminarmente osservato che, concernendo il suddetto onere probatorio un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi (come la circostanza che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati) o mediante la prova che, dopo il licenziamento, non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica.
Orbene, tenendo conto della deduzione ed allegazione del lavoratore della possibilità di reimpiego (con compiti di esattore e coordinatore dei servizi per le varie g.p.g.) tra gli elementi posti a fondamento dell’azione e tra i presupposti della sua domanda, necessaria per l’insorgenza dell’onere per il datore di lavoro convenuto di offrire la prova della concreta insussistenza di tale possibilità di diverso e conveniente utilizzo del dipendente licenziato (Cass. civ., Sez. lavoro, 02/04/2004, n. 6556; Cass. civ., Sez. lavoro, 12/06/2002, n. 8396; Cass. civ., sez. lav., 23/10/1998, n. 10559), dalle dichiarazioni dei testi escussi, è emerso che l’istante, al tempo del licenziamento del 1998, ha svolto funzioni di g.p.g. semplice e solo occasionalmente, qualche volta e su richiesta dell’amministratore delegato, Mevio, funzioni di esattore limitatamente a persone conosciute dallo stesso ricorrente (teste BB ); che presso la resistente erano e sono occupati sia lavoratori addetti all’attività di g.p.g. sia personale svolgente mansioni diverse, non richiedenti alcun titolo di polizia, ovvero gli esattori (Testi BB e AA ); che gli esattori nel 1998 erano due, aumentati al tempo della deposizione (22.09.2005) a quattro, di cui due svolgenti anche mansioni di guardia giurata (teste BB).
Dunque, premesso che è pacifico tra le parti che sino al licenziamento del 1996 (non oggetto di causa) il ricorrente ha svolto anche mansioni di natura amministrativa ed escluso che sia stata raggiunta la prova dell’adibizione del ricorrente a mansioni promiscue di g.p.g. ed amministrative al tempo del licenziamento del 1998 oggetto di indagine (tale circostanza non è, infatti, stata affermata dai testi; il teste BB ha riferito che il ricorrente ha svolto le mansioni di guardia giurata semplice dopo un primo licenziamento del 1996 e che le mansioni di esattore gli sono state assegnate solo occasionalmente; il teste AA ha riferito che le mansioni di coordinatore del servizio di vigilanza sono state svolte solo quando aveva la qualifica di maresciallo e, dunque, antecedentemente al licenziamento del 1998; in ogni caso, quest’ultimo teste non è stato in grado di riferire in ordine al periodo preciso in cui le funzioni a contenuto amministrativo sono state svolte; ha, infine, precisato che vi erano dipendenti deputati a svolgere le attività di riscossione di canoni contrattuali e di organizzazione dei turni di servizio), il datore di lavoro ha provato che, anche al tempo del licenziamento del 1998, i posti di lavoro riguardanti le mansioni relative allo svolgimento delle funzioni amministrative, specificamente richieste dal ricorrente con l’atto introduttivo, erano stabilmente occupati da altri lavoratori (il teste BB ha riferito che nell’azienda due impiegati erano addetti allo svolgimento di mansioni esclusive di esattori, mentre altri due lavoratori erano addetti allo svolgimento di mansioni promiscue di g.p.g. e di esattori). Non potendo sindacare le scelte di natura economica ed organizzativa dell’imprenditore, dunque, il datore di lavoro non può essere tenuto a scompaginare la propria organizzazione al fine di trovare, nell’ambito della azienda, un posto di lavoro al lavoratore. Né, del resto, il ricorrente ha dedotto (prima ancora che provato) che, nello stesso periodo del licenziamento o comunque in un congruo periodo successivo, presso l’azienda vi erano state assunzioni di nuovo personale nel terzo livello (l’unico richiesto nel presente procedimento).
La sussistenza di un giustificato motivo oggettivo del recesso della resistente e la prova dell’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni equivalenti rende infondata la domanda che va, dunque, rigettata.
Quanto alle spese di lite, si reputa equo compensarle interamente tra le parti sussistendo giusti motivi per la controvertibilità della questione e la qualità delle parti.
Nola, 06.11.2006
Il Giudice del Lavoro
Dott.ssa Monica Galante
Sentenza pubblicata da: www.iussit.eu
Si ringrazia l’Avv. Pietro D’Antò per aver consentito la pubblicazione della richiamata sentenza anche su www.consulenza-legale.info