La Corte dei Conti a Sezioni Riunite, nella sentenza 7/2007/QM dell’11 ottobre 2007, risolve il contrasto giurisprudenziale sulla ripetibilità o meno di indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico provvisorio, nel senso che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del d.P.R. n° 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n° 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n° 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
Secondo le Sezioni Riunite, inoltre, vanno rimesse all’accertamento e alla valutazione dei giudici di merito l’individuazione del limite temporale posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza (rilevando in tal caso, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la variabilità della casisitica concreta sub iudice, da delibare alla luce della comune portata risolutrice del riferimento all’art. 2 della legge n° 241 del 1990) decorso il quale non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, nonché le valutazioni derivanti dall’operatività della presente pronuncia di massima solo per le fattispecie successive alla data di entrata in vigore della richiamata legge 7 agosto 1990 n° 241.
In materia vi erano contrastanti orientamenti giurisprudenziali:
1) con la sentenza n° 77/C dell’8 febbraio 1989 le Sezioni riunite della Corte dei conti sostengono che, al di fuori dei casi di applicabilità della disposizione di favore di cui all’art. 206 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092 -ivi reputata non estensibile analogicamente a fattispecie che non concernano provvedimenti definitivi di pensione- il recupero di maggiori somme erroneamente corrisposte a titolo di trattamento di quiescenza non può prescindere dalla valutazione della buona fede del percettore, da valutarsi in concreto e tenendo conto delle peculiarità di ciascuna fattispecie “caso per caso”;
2) successivamente con la sentenza n° 1/QM del 14 gennaio 1999, le Sezioni riunite pervengono a conclusioni del tutto opposte, nel senso che veniva esclusa la rilevanza della buona fede del percettore in sede di recupero di indebito erroneamente corrisposto su trattamento pensionistico provvisorio, e ciò anche qualora il regime di provvisorietà si sia protratto per un considerevole lasso di tempo senza dar luogo in tempi ragionevoli all’emissione del provvedimento definitivo di pensione e al successivo eventuale conguaglio a debito ex art. 162, settimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092, essendo disponibile per il privato, ai sensi delle norme di cui alla sopravvenuta legge 7 agosto 1990 n° 241 “…il rimedio consistente nel mettere in mora l’amministrazione, in caso di inosservanza dei termini fissati per il procedimento amministrativo, fino alla denuncia di omissione di atti d’ufficio, qualora l’inerzia si protragga ulteriormente”.
3) nel descritto quadro giurisprudenziale, si inseriscono talune pronunce delle Sezioni territoriali della Corte dei conti, specie a fronte di casi di abnorme entità del recupero e/o di irragionevole protrazione del regime di provvisorietà del trattamento di quiescenza, non hanno mancato di attribuire rilievo -al fine di dichiarare l’irripetibilità di indebiti- alla buona fede del percettore di somme non dovute ma erogate lungo un protratto lasso di tempo, nonché alla già avvenuta destinazione delle somme stesse alla soddisfazione di bisogni essenziali, mentre in secondo grado le connesse questioni hanno trovato sino al recente passato pressoché univoca soluzione nell’applicazione dei principi affermati con la già menzionata sentenza n° 1/QM del 1999;
4) a tutto ciò vanno, infine, aggiunte contrastanti pronunce dei giudici d’appello nelle quali, in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico erogato in regime di liquidazione di pensione provvisoria, viene attribuito rilievo ad alcune circostanze, quali la durata del periodo in cui si sia protratta l’erogazione contestata, la mancanza di responsabilità del percettore nell’insorgenza dell’errore che sia stato alla base della medesima, l’inosservanza da parte dell’Amministrazione di un razionale tempo di definizione della pratica, la non riconoscibilità obiettiva della maggiore erogazione non dovuta, l’avvenuta destinazione delle somme a reali esigenze di vita del pensionato, l’incidenza dell’atto di recupero sulle condizioni personali dell’onerato, e, ancor più significativamente, viene sostenuta l’applicabilità anche nella materia pensionistica attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti del c.d. “principio di settore”, individuato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (segnatamente : sentenze n° 431 del 14 dicembre 1993; n° 240 del 10 giugno 1994; n° 166 del 24 maggio 1996), secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 del codice civile- trova applicazione la diversa regola che esclude, viceversa, la ripetizione in presenza di una situazione di fatto variamente articolata, ma, comunque, avente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta (vedansi Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, 26 aprile 2006, n° 99; Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, 29 maggio 2006, n° 236; Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana, 6 novembre 2006, n° 172 e 4 gennaio 2007, n° 5; non appaiono peraltro innovative rispetto al consolidato orientamento restrittivo le sentenze della Sezione terza centrale d’appello 14 marzo 2006, n° 149 e 3 marzo 2006, n° 136 pur richiamate nelle ordinanze di rimessione).
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, sulla scia di tale più recente giurisprudenza innovativa, affermano che il recupero dell’indebito formatosi su trattamento pensionistico provvisorio può effettuarsi, ai sensi dell’art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092 e dell’art. 2, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n° 241, entro e non oltre il limite temporale stabilito con il regolamento ministeriale; decorso tale termine, il recupero non può più effettuarsi, stante il consolidamento della situazione esistente, per effetto dell’affidamento riposto nella legittima attività dei pubblici poteri.
Dunque, secondo questa scelta, va valorizzato il convincimento del pensionato in ordine alla legittimità del trattamento erogatogli.
Tale convincimento è fondato sul legittimo affidamento nella correttezza della procedura di determinazione della giusta pensione ad opera dell’Amministrazione.
L’affidamento, dunque, assume connotazioni diverse dallo stato soggettivo di buona fede, per sua natura variabile in relazione alle mutevoli circostanze individuali di ciascun rapporto pensionistico, e, come tale, inidoneo a orientare con i necessari criteri di uniformità e di certezza sia le aspettative del privato, sia la condotta della p.a., sia, infine, l’operato del giudice di tale rapporto.
É di tutta evidenza, però, che l’affidamento in argomento, per essere definito legittimo e tutelabile, deve collocarsi nel contesto di una condotta del percettore connotata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza, in tal caso venendo a mancare il presupposto stesso della tutelabilità della posizione soggettiva del pensionato che abbia personalmente concorso alla formazione dell’indebito e che non può dunque attribuire al comportamento dell’Amministrazione in sede di recupero dell’indebito stesso alcuna censura di contraddittorietà e di incoerenza, né di penalizzante tardività.
Emiliana Matrone
REPUBBLICA ITALIANA Sentenza 7/2007/QM
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
A SEZIONI RIUNITE
in sede giurisdizionale, composta dai seguenti magistrati :
Francesco CASTIGLIONE MORELLI Presidente
Davide MORGANTE Consigliere
Salvatore CILIA Consigliere
Angelo Antonio PARENTE Consigliere
Stefano IMPERIALI Consigliere
Silvano DI SALVO Consigliere relatore
Tommaso MIELE Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi sulle seguenti questioni di massima :
– n° 224/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 04/2007/A del 14 febbraio 2007 pronunciata nel corso dei giudizi d’appello iscritti ai nn. 23908 e 23909 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposti dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso le sentenze della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte nn. 137 e 138 del 5 maggio 2005 e nei confronti della Sig.ra AA e del Sig. AL;
– n° 225/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 05/2007/A del 14 febbraio 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 23878 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dalla Sig.ra R F avverso la sentenza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia n° 834 del 27 maggio 2005 e nei confronti dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica;
– n° 230/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 024/2007/A del 21 marzo 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 24650 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso la sentenza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per il Trentino Alto Adige – sede di Bolzano – n° 23/04 del 23 ottobre 2004 e nei confronti della Sig.ra S M;
– n° 231/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 026/2007/A dell’11 aprile 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 23721 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso la sentenza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte n° 630/04 del 30 dicembre 2004 e nei confronti della Sig.ra M A;
– n° 232/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 027/2007/A dell’11 aprile 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 23625 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso la sentenza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto n° 519/04 del 10 maggio 2004 e nei confronti del Sig. B G;
– n° 234/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 036/2007/A del 24 aprile 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 24663 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso la sentenza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per il Trentino Alto Adige – sede di Bolzano – n° 204/04 del 23 ottobre 2004 e nei confronti della Sig.ra U B I;
– n° 235/SR/QM del registro di Segreteria, deferita dalla Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n° 078/07 del 18 aprile 2007 pronunciata nel corso del giudizio d’appello iscritto al n° 22700 del registro di Segreteria di detta Sezione centrale proposto dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica avverso la sentenza della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n° 1078/04/C del 5 agosto 2004 e nei confronti della Sig.ra B L;
Visti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza dell’11 luglio 2007, il relatore Consigliere Silvano DI SALVO, gli Avvocati XX e YY in rappresentanza e difesa dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica, nonché il rappresentante del pubblico ministero nella persona del Vice Procuratore generale Fiorenzo SANTORO.
Ritenuto in
FATTO
Sono state deferite alle Sezioni riunite della Corte dei conti sette questioni di massima (sei da parte della Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello e una da parte della Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello), che concernono tutte sostanzialmente la ripetibilità o meno di indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico provvisorio.
In particolare, le prime due questioni deferite (iscritte ai nn. 224/SR/QM e 225/SR/QM del registro di Segreteria) provengono da ordinanze pronunciate dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello nel corso dei giudizi n° 23908 e n° 23909 instaurati su appelli proposti dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica (di seguito : INPDAP) nei confronti dei Sigg. A A e A L e nel giudizio n° 23878 instaurato su appello proposto dalla Sig.ra R F nei confronti dell’INPDAP.
Per tali giudizi, originati da provvedimenti di recupero emessi dall’INPDAP per indebite erogazioni effettuate su trattamenti pensionistici provvisori sino alla data di attribuzione dei corrispondenti trattamenti pensionistici definitivi, l’adita Sezione d’appello, con ordinanze 04/2007/A e 05/2007/A, dopo aver richiamato la giurisprudenza formatasi nelle Sezioni d’appello, anche in aderenza alla sentenza 1/99/QM delle Sezioni riunite, sull’irrilevanza della buona fede e dell’eccessiva durata del trattamento provvisorio in presenza di indebito per erogazione di maggiori somme sul trattamento provvisorio di quiescenza che l’amministrazione è tenuta a ripetere ex art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092, e con riferimento all’emersione di un più recente innovativo orientamento delle Sezioni prima e terza giurisdizionali centrali d’appello, che fa leva sul principio di settore di cui l’art. 206 dello stesso d.P.R. è espressione, principio il quale esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto di non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta, e ravvisata perciò la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale tra Sezioni giurisdizionali d’appello, ha sospeso i giudizi e ha disposto la trasmissione degli atti alle Sezioni riunite per la risoluzione della questione di massima così articolata :
“Se il disposto contenuto nell’art. 162 del d.P.R. n. 1092/1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, debba interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta, contenuta nella legge n. 241/1990, per cui, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento amministrativo di definizione del trattamento provvisorio, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondata sull’affidamento riposto nell’amministrazione”.
La terza delle questioni deferite (iscritta al n° 230/SR/QM del registro di Segreteria) proviene da ordinanza pronunciata dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello sul giudizio n° 24650 instaurato su appello proposto dall’INPDAP nei confronti della Sig.ra S M.
L’adita Sezione centrale, con l’ordinanza 024/2007/A, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale anche tra le Sezioni giurisdizionali d’appello, e, all’interno di esse, tra l’orientamento che, in condivisione della menzionata sentenza 1/99/QM delle Sezioni riunite, nega l’irripetibilità del credito erariale derivante da indebita erogazione di maggiori somme sul trattamento pensionistico provvisorio pur in presenza della buona fede del percipiente, e l’opposto indirizzo, che ravvisa nel sistema previdenziale pubblico un principio idoneo a legittimare una specie di giustizia equitativa, collegando l’irripetibilità alla situazione di fatto della lunga protrazione nel tempo dell’erogazione non dovuta, tale da indurre il percipiente nella convinzione che le somme fossero dovute, ha sospeso i giudizi e ha disposto la trasmissione degli atti alle Sezioni riunite per la risoluzione della questione di massima così articolata:
“1) se, dal combinato disposto degli artt. 162 e 206 del T.U. 1092/73 possa ricavarsi un “principio” che consenta l’irripetibilità del credito erariale ogni qual volta il lungo lasso di tempo abbia ingenerato nel percipiente in buona fede la convinzione di ricevere quanto spettante;
2) o se, invece, occorra procedere ad una interpretazione letterale delle citate disposizioni, tenuto conto di come ciò possa, in alcuni casi, adombrare un contrasto con l’art. 38, secondo comma, della Costituzione in quanto, a causa di una insufficiente tutela della buona fede, sarebbe diminuito il trattamento pensionistico diretto a soddisfare i bisogni primari del titolare e della sua famiglia.”.
Le successive tre questioni di massima deferite alle Sezioni riunite (iscritte ai nn. 231/SR/QM, 232/SR/QM e 234/SR/QM del registro di segreteria) provengono da ordinanze pronunciate dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello sui giudizi n° 23721, n° 23625 e n° 24663 instaurati su appelli proposti dall’INPDAP nei confronti dei Sigg. M A, B G e U B I.
L’adita Sezione d’appello, con le ordinanze nn. 026/2007/A, 027/2007/A e 036/2007/A, rilevato che la giurisprudenza intervenuta successivamente alla già citata sentenza n° 1/99/QM delle Sezioni riunite, risultata diversamente orientata sulla tematica degli indebiti formatisi in relazione a pensioni provvisorie e accertati in sede di liquidazione del trattamento definitivo, e ciò sia con riferimento alla rilevanza della buona fede e dell’eccessiva durata del trattamento provvisorio sia circa l’applicazione del principio di settore individuato dalla Corte costituzionale, secondo il quale alla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito si sostituisce la diversa regola che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta, e ravvisata, perciò, la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale orizzontale oltre che nelle Sezioni territoriali, anche nelle Sezioni giurisdizionali d’appello (in particolare nelle Sezioni prima e terza giurisdizionali centrali d’appello), riservata all’esito ogni ulteriore pronuncia, ha disposto la trasmissione degli atti alle Sezioni riunite per la pronuncia sulla questione di massima così articolata:
“Se i trattamenti pensionistici provvisori siano o meno soggetti al principio di settore, individuato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale, in luogo della generale disciplina codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 c.c., trova applicazione la diversa regola che esclude il recupero in presenza di situazioni di fatto, che, pur variamente articolate, abbiano come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta”;
“se, di conseguenza, la disposizione recata dall’art. 162 del dPR 29 dicembre 1973 n° 1092, secondo la quale in sede di liquidazione del trattamento definitivo deve farsi luogo anche al conguaglio a debito del pensionato, va interpretata alla luce del principio in questione e non, quindi, nel senso di prevedere un’incondizionata ripetibilità degli indebiti accertati su partite provvisorie”.
L’ultima delle suddette questioni deferite (iscritta al n° 235/SR/QM) proviene da ordinanza pronunciata dalla Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello sul giudizio n° 22700 instaurato su appello proposto dall’INPDAP nei confronti della Sig.ra B L.
La suddetta Sezione giurisdizionale centrale, con l’ordinanza 078/07, richiamata la giurisprudenza formatasi nelle Sezioni d’appello -anche in aderenza alla suddetta sentenza n° 1/99/QM delle Sezioni riunite- sulla ripetibilità, da parte dell’Amministrazione, delle maggiori somme erogate sul trattamento provvisorio di quiescenza in applicazione dell’art. 162 del d.P.R. n° 1092 del 1973 (non rilevando a tal fine né l’eccessiva durata del detto trattamento provvisorio né la disposizione dell’art. 206 dello stesso d.P.R., dettata solo per le ipotesi di revoca o modifica di pensione definitiva), e ritenuto che una più recente giurisprudenza innovativa (in particolare, delle Sezioni prima e terza giurisdizionali centrali d’appello) ha sollevato dubbi sulla compatibilità del precedente assetto interpretativo con i principi e le affermazioni formulati in materia dalla Corte costituzionale, anche in relazione all’art. 38, secondo comma, della Costituzione, con conseguente esclusione del recupero dell’indebito ove sia ravvisabile il consolidamento della situazione esistente per effetto dell’affidamento riposto nella legittima attività dei pubblici poteri, e rilevata conseguentemente la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale orizzontale in grado d’appello, ha sospeso il giudizio e ha disposto la trasmissione degli atti alle Sezioni riunite per la pronuncia sulla questione di massima così formulata:
“Se in presenza della buona fede del pensionato, debba essere dichiarata l’irripetibilità degli assegni pensionistici non dovuti ed erogati a titolo di pensione provvisoria”.
In data 26 giugno 2007 ha depositato memoria difensiva l’Avvocato per il Sig. B G che, richiamando quanto già dedotto nella comparsa di costituzione in sede di appello, ha dedotto l’irripetibilità dell’indebito accertato a carico del proprio assistito richiamando sia il disposto di cui all’art. 9 della legge n° 428 del 1985 relativa alla cessazione del carattere di provvisorietà delle liquidazioni delle spese fisse disposte mediante procedure automatizzate decorso un anno dalle rispettive lavorazioni, sia la definitività del trattamento corrisposto al suindicato pensionato, sia il trascorrere di quattordici anni tra concessione della pensione provvisoria e liquidazione della pensione definitiva, sia la buona fede dell’appellato.
Il predetto difensore si è altresì richiamato a quelle pronunce delle Sezioni prima e terza giurisdizionali centrali d’appello secondo le quali i trattamenti pensionistici provvisori sono suscettibili di applicazione del “principio di settore” di cui lo stesso art. 206 del d.P.R. n° 1092 del 1973 è espressione, che esclude l’incondizionata applicazione dell’art. 2033 del codice civile in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale che valorizza il principio di solidarietà che incide non solo sulle modalità di recupero delle somme non dovute, ma anche sullo stesso diritto alla ripetizione nella disciplina pensionistica pubblica.
A tal fine l’Avvocato richiama il termine di 180 giorni stabilito ex art. 2, secondo comma della legge n° 241 del 1990 con i decreti del Ministro del tesoro n° 304 del 1992 e n° 325 del 1997 per la conclusione del procedimento di liquidazione della pensione definitiva, e deduce che il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio può effettuarsi solo nei limiti del termine stabilito di 180 giorni, decorso il quale il recupero non può più essere effettuato, stante il consolidamento della situazione esistente per effetto della legittimità dell’affidamento riposto nella legittima attività dei pubblici poteri, sicché conclude per l’irripetibilità dell’indebito accertato nei confronti del Sig. B ben oltre il predetto termine.
In data 27 giugno 2007 l’INPDAP, rappresentato e difeso dagli Avvocati XX e YY, ha depositato distinte memorie di costituzione nei giudizi pendenti innanzi a queste Sezioni riunite in virtù degli illustrati deferimenti di questioni di massima, concludendo per ciascuno dei relativi giudizi con richiesta di declaratoria di ripetibilità delle somme indebite corrisposte in esecuzione di un trattamento provvisorio di pensione.
A tal fine nelle predette memorie di costituzione vengono illustrati :
– la natura giuridica del rapporto pensionistico, di cui si deduce la natura paritetica, con conseguente applicazione dei principi civilistici in tema di disciplina dei relativi rapporti giuridici, e, in particolare, dell’art. 2033 del codice civile in tema di ripetibilità dell’indebito qualora manchi una legittima causa solvendi, cui va aggiunta la doverosità dell’azione di recupero quale corollario del fondamentale interesse alla corretta gestione del pubblico denaro (di cui costituiscono espressione, tra l’altro, gli artt. 3 del r.d. n° 295 del 1939 e 406 del r.d. n° 827 del 1924), che a sua volta è l’estrinsecazione del principio costituzionale di buona amministrazione;
– il decorso del tempo, che, pur se influente nella determinazione delle fattispecie giuridiche e sul consolidamento delle situazioni protrattesi nel tempo -tanto che il prolungato ritardo della pubblica amministrazione può ingenerare nel privato un legittimo affidamento circa la spettanza di beni e/o servizi di cui risulti beneficiario- tuttavia è già stato oggetto di pronuncia delle Sezioni riunite con la decisione n° 1/QM del 1999, di cui vengono ripercorse le motivazioni e le conclusioni, anche in punto di possibile messa in mora della pubblica amministrazione e di denuncia del funzionario responsabile per omissione di atti d’ufficio;
– il quadro normativo costituito dagli artt. 162, settimo comma, del d.P.R. n° 1092 del 1973; 7, ottavo comma, del d.P.R. n° 538 del 1986 e 8 del d.P.R. n° 412 del 1986, che legittimano il conguaglio a credito o a debito del pensionato in sede di liquidazione di pensione definitiva, con impossibilità di enucleare una diversa disciplina abrogativa di norme primarie che costituirebbe fonte di gravi incertezze, con implicazioni anche nella materia della responsabilità per danno erariale, mentre già l’ordinamento contempla l’istituto della prescrizione a salvaguardia di fattispecie che vanno consolidandosi nel tempo;
– una possibile lettura costituzionalmente orientata, che, pur se proposta da talune pronunce della Corte dei conti, tuttavia può trovare spazio solo in caso di dubbio interpretativo, e non già nel caso di specie, relativamente al quale il dettato della norma è chiaro e non suscettibile di diversa interpretazione;
– il coordinamento della normativa del d.P.R. n° 1092 del 1973 con le recenti innovazioni legislative e in particolar modo con la legge n° 241 del 1990 e la legge n° 311 del 2004, dovendo tenersi presente che la normativa in tema di annullamento d’ufficio e le disposizioni più recenti non appaiono orientate verso il consolidamento e l’irremovibilità della situazione di vantaggio, specie allorquando trattasi di fattispecie che comportano l’erogazione di danaro pubblico.
In data 28 giugno 2007 ha depositato memoria il Procuratore generale presso la Corte dei conti, preliminarmente deducendo l’ammissibilità delle deferite questioni di massima in quanto, pur se la pronuncia delle Sezioni riunite n° 1/99/QM assume contorni analoghi alle questioni stesse, i giudici remittenti e la più recente giurisprudenza da essi citata hanno esposto argomentazioni incentrate sul principio di settore affermato dalla giurisprudenza costituzionale non preso in considerazione da quella pronuncia, nonché sulla legge n° 241 del 1990, esaminata solo marginalmente nella pronuncia stessa.
Parimenti ammissibili sono per il Procuratore generale le deferite questioni di massime sotto il profilo della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale tra Sezioni giurisdizionali d’appello e, dunque, di un contrasto orizzontale in secondo grado, nonché per rilevanza e sussistenza del necessario rapporto di pregiudizialità tra questioni deferite e processi a quibus.
Nel merito, la concludente Procura generale ritiene che le nuove argomentazioni addotte dalla giurisprudenza affermativa dell’irripetibilità delle maggiori somme percepite sul trattamento provvisorio non siano idonee a superare le statuizioni della sentenza n° 1/99/QM.
Al riguardo viene ricostruito il quadro normativo, evidenziando come la regola dettata dall’art. 162 del d.P.R. n° 1092 del 1973 rientra in pieno nella disciplina generale dettata dall’art. 3 del r.d.l. n° 295 del 1939 che obbliga l’Amministrazione a conseguire il rimborso delle somme di che trattasi costituendo speciale applicazione dell’istituto della repetitio indebiti, che rappresenta per la p.a. un atto dovuto.
Parimenti va confermato -ad avviso del Procuratore generale- quanto già affermato da queste Sezioni riunite circa l’esclusione della ricorrenza della buona fede o dell’affidamento nel comportamento dell’ente erogatore e comunque circa la loro giuridica irrilevanza.
Circa il “principio di settore” affermato con le pronunce della Corte costituzionale cui ha fatto riferimento la più recente giurisprudenza richiamata nelle ordinanze di deferimento, il Procuratore generale deduce l’impossibilità di una sua indiscriminata evocazione che non tenga conto delle specifiche e differenti disposizioni dettate in materia di recupero di indebiti pensionistici, e ciò tenendo conto in particolare che tra le disposizioni prese in esame dal giudice delle leggi non si rinviene quella di cui al menzionato art. 162 del t.u. n° 1092 del 1973, avendo la Corte costituzionale fatto riferimento all’irripetibilità di somme corrisposte in base a formali e definitivi provvedimenti pensionistici.
Né -prosegue il Procuratore generale- il superamento dei termini fissati dai regolamenti previsti dall’art. 2 secondo comma della legge n° 241 del 1990 può avere l’effetto di sanare l’indebito, e ciò, oltre a quanto già affermato in materia di ricorrenza e/o rilevanza della buona fede o dell’affidamento nel comportamento dell’ente erogatore, osservando che altre sono le conseguenze della mancata osservanza dei predetti termini, fermi restando gli oneri per il pensionato o per i suoi aventi causa di verifica dei dati contenuti nell’atto di liquidazione provvisoria per valutarne l’esattezza e, se del caso, per contestarne il contenuto e segnalare eventuali errori.
Conclusivamente il Procuratore generale chiede che alle questioni di massima in esame si dia soluzione nel senso che il disposto contenuto nell’art. 162 del t.u. 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, non deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta, contenuta nella legge n. 241/1990; che la decorrenza del termine, posto per l’emanazione del provvedimento amministrativo di definizione del trattamento provvisorio, nulla rileva ai fini del recupero dell’indebito; che i trattamenti pensionistici provvisori non sono soggetti al principio di settore, individuato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale, in luogo della generale disciplina codicistica di incondizionata ripetibilità ex art. 2033 c.c., trova applicazione la diversa regola che esclude il recupero in presenza di situazioni di fatto, che, pur variamente articolate, abbiano come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta; che pur in presenza della buona fede del pensionato, non può essere dichiarata l’irripetibilità degli assegni pensionistici non dovuti ed erogati a titolo di pensione provvisoria.
Nell’odierna udienza di discussione l’Avv. YY per l’INPDAP, ha ulteriormente illustrato le argomentazioni già esposte nelle memorie di costituzione, concludendo nel senso della ripetibilità di indebito corrisposto in sede di erogazione di trattamento pensionistico provvisorio.
Analoghe conclusioni sono state rassegnate per l’INPDAP dall’altro difensore di detto Istituto previdenziale, Avv. XX, che ha peraltro evidenziato come, accedendo alla tesi dell’irripetibilità sostenuta da giurisprudenza minoritaria della Corte dei conti, sussisterebbero pur sempre ulteriori motivi di contrasto giurisprudenziale in ordine alle modalità di fissazione dei limiti di reddito dei percettori e di durata di erogazione dell’indebito che dovrebbero legittimare il divieto di recupero, che sarebbero dunque rimesse a valutazioni disomogenee dei giudici, e ciò anche con riferimento alla possibilità di configurare ovvero di escludere nelle singole fattispecie la responsabilità per danno all’erario dei funzionari competenti a disporre l’esecuzione dei recuperi di indebiti pensionistici.
A sua volta il rappresentante della Procura generale, premettendo che casi marginali ed abnormi -cui sono riservate soluzioni altrettanto marginali di ispirazione equitativa- non possono comportare il superamento delle indicazioni già formulate con la sentenza n° 1/99/QM delle Sezioni riunite, ha ripercorso le argomentazioni già illustrate nella memoria depositata, soffermandosi ad analizzare le specificità dei vari giudizi a quibus e precisando che le conclusioni di cui all’atto scritto -alle quali si è riportato- sono state formulate previo assorbimento del quesito di cui alla questione di massima n° 230/SR/QM per evidenti motivi di continenza.
Considerato in
DIRITTO
1. I giudizi introdotti dalle sette ordinanze di differimento di questioni di massima, avendo per oggetto questioni identiche o analoghe, tutte riferibili alla problematica relativa alla ripetibilità o meno di indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico provvisorio, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. In adesione alle argomentazioni svolte dal Procuratore generale nella memoria versata in atti, le deferite questioni di massima vanno considerate ammissibili pur se queste Sezioni riunite hanno già emesso pronuncia su questioni analoghe a quelle introdotte nei giudizi qui in discussione (in particolare : Corte dei conti, Sezioni riunite, 14 gennaio 1999, n° 1/QM), in quanto i giudici remittenti hanno fatto riferimento a un effettivo, sopravvenuto contrasto giurisprudenziale orizzontale in secondo grado fondato su argomentazioni non pedissequamente sovrapponibili a quelle già oggetto di pronuncia risolutrice, specie in punto di disamina della possibile incidenza -nella materia del recupero di indebito pensionistico- sia delle norme di cui alla legge 7 agosto 1990 n° 241, sia della giurisprudenza della Corte costituzionale, così delineando una problematica da riesaminare e da rimeditare sotto profili diversi e solo marginalmente affrontati nella suddetta precedente decisione di queste Sezioni riunite.
3. Parimenti va affermata l’ammissibilità delle questioni di massima in esame con riferimento alla rilevanza e al rapporto di pregiudizialità che la richiesta pronuncia va a rivestire con riferimento ai giudizi originanti, nei quali la soluzione delle concrete fattispecie ivi dedotte non può che essere individuata alla luce della composizione del dedotto e attuale contrasto giurisprudenziale individuato dai giudici remittenti.
4. Ciò premesso, occorre previamente sintetizzare gli apporti della giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti nella materia di che trattasi, per verificare se le problematiche evidenziate nel recente contrasto giurisprudenziale possano trovare soddisfacente soluzione con rinnovata adesione alle già fornite interpretazioni, ovvero riflettano l’attuale esigenza di pervenire a un diverso approccio più specificamente orientato alla composizione degli ulteriori, peculiari e contrapposti profili argomentativi sottoposti alle Sezioni risolutrici.
Con la sentenza n° 77/C dell’8 febbraio 1989 le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno sostenuto che, al di fuori dei casi di applicabilità della disposizione di favore di cui all’art. 206 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092 -ivi reputata non estensibile analogicamente a fattispecie che non concernano provvedimenti definitivi di pensione- il recupero di maggiori somme erroneamente corrisposte a titolo di trattamento di quiescenza non può prescindere dalla valutazione della buona fede del percettore, da valutarsi in concreto e tenendo conto delle peculiarità di ciascuna fattispecie “caso per caso”.
Del tutto opposte sono state invece le conclusioni cui è pervenuta la successiva sentenza delle Sezioni riunite n° 1/QM del 14 gennaio 1999, nella quale è stata esclusa la rilevanza della buona fede del percettore in sede di recupero di indebito erroneamente corrisposto su trattamento pensionistico provvisorio, e ciò anche qualora il regime di provvisorietà si sia protratto per un considerevole lasso di tempo senza dar luogo in tempi ragionevoli all’emissione del provvedimento definitivo di pensione e al successivo eventuale conguaglio a debito ex art. 162, settimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092, essendo disponibile per il privato, ai sensi delle norme di cui alla sopravvenuta legge 7 agosto 1990 n° 241 “…il rimedio consistente nel mettere in mora l’amministrazione, in caso di inosservanza dei termini fissati per il procedimento amministrativo, fino alla denuncia di omissione di atti d’ufficio, qualora l’inerzia si protragga ulteriormente”.
Nell’esaminare l’orientamento della Corte costituzionale nella materia del diritto-dovere della pubblica amministrazione di recuperare quote di indebito pensionistico, nella menzionata sentenza n° 1/QM del 1999 è stato rilevato come la sentenza del giudice delle leggi n° 383 del 31 luglio 1990, relativa al vaglio di costituzionalità dell’art. 52, secondo comma, della legge 9 marzo 1989 n° 88 (da leggersi congiuntamente alla successiva norma di interpretazione autentica di cui all’art. 13 della legge 30 dicembre 1991 n° 412), si riferisce esclusivamente all’irripetibilità di indebiti su trattamenti pensionistici definitivi erogati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, confermando la parità di trattamento dei pensionati dell’INPS con quello dei pensionati ex dipendenti pubblici, non ravvisandosi alcuna significativa difformità nella disciplina dell’irripetibilità prevista dalle suindicate disposizioni e quella -non estensibile alle liquidazioni pensionistiche provvisorie- contenuta negli artt. 204 e ss. del d.P.R. n° 1092 del 1973.
A ciò va aggiunto che ulteriori, anche se indiretti, spunti argomentativi per la definizione della natura giuridica del trattamento provvisorio di quiescenza possono rinvenirsi nella sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti n° 10/QM del 23 aprile 1999, nella quale è stato sostenuto non solo che “il credito pensionistico è liquido anche prima dell’emanazione del provvedimento definitivo di pensione essendo individuato in tutte le sue componenti dalla legge, sicché è determinabile mediante calcoli aritmetici attuativi della legge stessa”, ma anche che detto trattamento provvisorio “è tendenzialmente pari a quello effettivamente dovuto, essendo determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta dal dipendente o, comunque, in possesso dell’amministrazione, il cui riconoscimento (pur non formalmente definito) si fondi su precisi presupposti di legge.”.
5. Va poi precisato che, pur in presenza dell’orientamento restrittivo da ultimo chiaramente assunto dalle Sezioni riunite con la menzionata sentenza n° 1/QM del 1999, talune pronunce delle Sezioni territoriali della Corte dei conti, specie a fronte di casi di abnorme entità del recupero e/o di irragionevole protrazione del regime di provvisorietà del trattamento di quiescenza, non hanno mancato di attribuire rilievo -al fine di dichiarare l’irripetibilità di indebiti- alla buona fede del percettore di somme non dovute ma erogate lungo un protratto lasso di tempo, nonché alla già avvenuta destinazione delle somme stesse alla soddisfazione di bisogni essenziali, mentre in secondo grado le connesse questioni hanno trovato sino al recente passato pressoché univoca soluzione nell’applicazione dei principi affermati con la già menzionata sentenza n° 1/QM del 1999.
In tale quadro giurisprudenziale si sono però inserite ultimamente contrastanti pronunce dei giudici d’appello (evidenziate nelle ordinanze di deferimento delle questioni di massima in discussione) nelle quali, in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico erogato in regime di liquidazione di pensione provvisoria, viene attribuito rilievo ad alcune circostanze, quali la durata del periodo in cui si sia protratta l’erogazione contestata, la mancanza di responsabilità del percettore nell’insorgenza dell’errore che sia stato alla base della medesima, l’inosservanza da parte dell’Amministrazione di un razionale tempo di definizione della pratica, la non riconoscibilità obiettiva della maggiore erogazione non dovuta, l’avvenuta destinazione delle somme a reali esigenze di vita del pensionato, l’incidenza dell’atto di recupero sulle condizioni personali dell’onerato, e, ancor più significativamente, viene sostenuta l’applicabilità anche nella materia pensionistica attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti del c.d. “principio di settore”, individuato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (segnatamente : sentenze n° 431 del 14 dicembre 1993; n° 240 del 10 giugno 1994; n° 166 del 24 maggio 1996), secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 del codice civile- trova applicazione la diversa regola che esclude, viceversa, la ripetizione in presenza di una situazione di fatto variamente articolata, ma, comunque, avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta (vedansi Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, 26 aprile 2006, n° 99; Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, 29 maggio 2006, n° 236; Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana, 6 novembre 2006, n° 172 e 4 gennaio 2007, n° 5; non appaiono peraltro innovative rispetto al consolidato orientamento restrittivo le sentenze della Sezione terza centrale d’appello 14 marzo 2006, n° 149 e 3 marzo 2006, n° 136 pur richiamate nelle ordinanze di rimessione).
In conclusione, secondo tale più recente giurisprudenza innovativa, il recupero dell’indebito formatosi su trattamento pensionistico provvisorio può effettuarsi, ai sensi dell’art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092 e dell’art. 2, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n° 241, entro e non oltre il limite temporale stabilito con il regolamento ministeriale; decorso tale termine, il recupero non può più effettuarsi, stante il consolidamento della situazione esistente, per effetto dell’affidamento riposto nella legittima attività dei pubblici poteri.
6. Tutto ciò premesso, va considerato che la “liquidazione provvisoria” del trattamento di quiescenza, disciplinata dapprima dall’art. 23 della legge 29 aprile 1949 n° 221, indi dall’art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092 (per quanto concerne i dipendenti civili e militari dello Stato) e dalle omologhe disposizioni di cui dapprima all’art. 6 del decreto-legge 10 novembre 1978 n° 702 convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 8 gennaio 1979 n° 3, poi dall’art. 28 del decreto-legge 28 febbraio 1981 n° 38, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 1981 n° 153, dall’art. 30 del decreto-legge 28 febbraio 1983 n° 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983 n° 131, dall’art. 7 del d.P.R. 8 agosto 1986 n° 538 e dall’art. 15 della legge 8 agosto 1991 n° 274 (per quanto concerne gli iscritti alle Casse già gestite dalla ex Direzione generale degli Istituti di previdenza), è procedimentalmente scandita da una serie di adempimenti dettagliatamente previsti dalle norme stesse, finalizzati alla più rigorosa e ampia tutela patrimoniale del soggetto che cessa dal servizio con diritto a pensione, e ciò con particolare riferimento alla necessità di evitare qualsiasi soluzione di continuità nel passaggio dalla fase di erogazione di trattamenti retributivi a quella di erogazione, anche ad eventuali aventi causa, di trattamenti pensionistici (relativamente ai quali, in virtù della natura di “retribuzione differita” del trattamento di quiescenza, vanno ravvisate garanzie e protezioni di rango costituzionale e di contenuto non dissimile da quelle previste per i trattamenti di attività, come costantemente riconosciuto dalla Corte costituzionale sin dalla remota sentenza n° 3 del 13 gennaio 1966).
7. E’ evidente che, nella finalità acceleratoria normativamente perseguita con le disposizioni innanzi citate, l’adozione del provvedimento definitivo di pensione, con connessa possibilità di variazioni e di conguagli, segna il momento più significativo e valorizzabile dell’affidamento riposto dal dipendente collocato a riposo nella correttezza della procedura di determinazione della giusta pensione, essendo non solo ragionevole, ma anche del tutto attendibile ritenere che l’Amministrazione disponga, in tale occasione, di tutti gli elementi necessari per superare la fase di provvisorietà e per fissare giustamente quanto durevolmente le coordinate che identificano il trattamento di quiescenza anche come base per future variazioni normativamente previste, con l’ulteriore “rafforzamento” in punto di stabilità provvedimentale di cui agli artt. 204 e ss. del d.P.R. n° 1092 del 1973 (vedansi altresì le omologhe disposizioni di cui all’art. 26 della legge 3 maggio 1967 n° 315 e all’art. 8 del d.P.R. 8 agosto 1986 n° 538).
8. Tuttavia le indicate norme non contengono la previsione di un termine finale entro il quale deve concludersi il procedimento pensionistico interinale e provvisorio con contestuale adozione del provvedimento connotato da definitività, anche se dal dettato normativo traspare con evidenza la necessità di comprimere quanto più possibile i tempi delle procedure (cfr. anche art. 155 del d.P.R. n° 1092 del 1973), con previsione espressa di ipotesi di responsabilità disciplinare da ritardo (art. 162, commi nono e decimo del d.P.R. n° 1092 del 1973 e art. 7, commi nono e decimo del d.P.R. 8 agosto 1986 n° 538) che non può non ritenersi estesa anche ai casi di ingiustificata protrazione del procedimento di emanazione del provvedimento di pensione definitivo.
In tale contesto normativo le sopravvenute disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990 n° 241 si sono collocate quale integrazione precettiva che hanno colmato -con il meccanismo del rinvio alla predeterminazione di termini ex art. 2 della legge stessa- ogni possibile carenza in punto di delimitazione temporale del potere della pubblica amministrazione di “sospendere” l’emissione del provvedimento pensionistico definitivo nelle more della liquidazione del trattamento provvisorio e di differire ad nutum il connesso conguaglio tra somme erogate e somme effettivamente spettanti.
Con l’art. 2 della menzionata legge n° 241 del 1990 è stato infatti normativamente introdotto il principio della generalizzata certezza dei tempi dell’azione amministrativa, con articolazione del nuovo sistema dei termini su tre livelli: il termine predeterminato per legge (livello normativo), il termine determinato dalle singole amministrazioni modulandone la durata sulla base della complessità del procedimento da disciplinare (livello regolamentare amministrativo) e il termine residuale unico e indifferenziato, previsto in caso di carenza di fissazione espressa, sostanzialmente determinato “in misura tale da indurre le Amministrazioni a provvedere” (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n° 262; vedasi anche Corte costituzionale, 22 giugno 2004, n° 176).
Nella materia pensionistica sono stati dunque emanati dal Ministro del tesoro vari decreti ministeriali (cfr. dd.mm. 23 marzo 1992 n° 304, 8 giugno 1993 n° 299 e 5 agosto 1997 n° 325), con fissazione dei termini concernenti anche i procedimenti di liquidazione e di riliquidazione di trattamenti di quiescenza, e analogamente hanno proceduto anche altre Amministrazioni, tra cui l’INPDAP (cfr. circolare n° 31 del 17 maggio 1999).
In tale sistema regolamentare amministrativo si è peraltro inserita la normativa di cui all’art. 3 del decreto-legge 28 marzo 1997 n° 79, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997 n° 140, con previsione di corresponsione “in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio” del trattamento pensionistico dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche “di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 2 dello stesso decreto legislativo”, anche se detta disposizione, in virtù delle delimitazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 3, è stata considerata limitata ai soli casi di cessazione dal servizio per destituzione o per dimissioni, senza portata abrogativa delle ulteriori previsioni regolamentari amministrative (cfr. Corte dei conti, Sezione centrale di controllo; 14 luglio 2004, n° 8).
Quale che sia la natura che viene attribuita a detti termini, essi comunque ora rappresentano un limite oggettivamente predeterminato ex lege, e si configurano quale elemento essenziale del procedimento destinato a eliminare ogni possibile incertezza, vigendo ora, ai sensi dell’art. 2 della legge n° 241 del 1990, l’obbligo per l’amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro un limite certo.
E se rientra nella discrezionalità del legislatore e/o dell’Amministrazione la fissazione del termine stesso, del tutto vincolata deve ritenersi l’osservanza concreta del termine, che non può essere trasgredito dall’organo competente, sia in caso di previsione legislativa, sia in caso di previsione regolamentare amministrativa, ovviamente considerando le eventuali legittime sospensioni ex art. 2, comma quarto della legge n° 241 del 1990 (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza generale, parere 23 gennaio 1992, n° 10).
In buona sostanza l’entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge n° 241 del 1990 quali integrate dalle disposizioni di legge e regolamentari ex art. 2 della legge stessa ha innovato non tanto con riguardo all’obbligo -già esistente- di portare a compimento atti dovuti, quanto rispetto alle modalità stesse dell’adempimento, per le quali ora vige il dovere di adottare un provvedimento espresso entro il termine univocamente applicabile.
Tale innovazione, per quel che qui rileva, è destinata a tutelare i pensionati destinatari dell’azione della pubblica amministrazione, i quali da un lato possono ora riporre un affidamento qualificato nella durata dei procedimenti che li riguardano, e, dall’altro, possono immediatamente far valere le conseguenze dell’inadempimento per superamento del termine prefissato, dovendo peraltro escludersi nella subiecta materia la necessità di previa diffida per contrastare l’inadempimento, in quanto nella fattispecie si fanno valere diritti soggettivi non subordinati all’adozione di un provvedimento costitutivo dell’Amministrazione (Corte dei conti, Sezioni riunite, 23 aprile 1999, n° 10/QM cit.; ex plurimis cfr. anche Consiglio di Stato, Sezione V, 14 luglio 1997, n° 820; Sezione IV, 11 giugno 2002, n° 3256), ferma restando la diversa e autonoma problematica relativa alle modalità per accertare e far valere, anche facendo ricorso alle modalità già sommariamente indicate con la sentenza di queste Sezioni riunite n° 1/QM del 1999 (diffida ex legge n° 241 del 1990 e/o denuncia di omissione di atti d’ufficio), eventuali responsabilità in ordine al ritardo e/o all’omissione del provvedimento di liquidazione della pensione definitiva (cfr. art. 3-ter del decreto-legge 12 maggio 1995 n° 163, convertito, con modificazioni, nella legge 11 luglio 1995 n° 273).
9. La giurisprudenza di questa Corte formatasi al riguardo successivamente all’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990 n° 241 non ha fornito in realtà un’appagante e univoca soluzione, adottando interpretazioni che vanno, da un lato, verso l’affermazione della pressoché assoluta neutralità del superamento (anche qualora abnorme e ingiustificato) del termine applicabile ex art. 2 della legge n° 241 del 1990 in materia di emissione del provvedimento di pensione definitiva (con conseguente affermazione della ripetibilità delle somme indebitamente corrisposte con i soli limiti ravvisabili nella prescrizione decennale e nelle eventuali e transitorie deroghe normative espressamente e specificamente dettate al riguardo, quale quella prevista dall’art. 1, commi duecentosessantesimo e duecentosessantunesimo della legge n° 662 del 1996), e, dall’altro, verso il parimenti estremo riconoscimento dell’implicita formazione -alla scadenza del termine regolamentare non osservato- di un provvedimento definitivo di pensione nel quale virtualmente trasfondere de plano tutti i contenuti della liquidazione provvisoria non formalmente convertita in definitiva, con le connesse garanzie di immodificabilità e di irripetibilità cui agli artt. 204 e ss. del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092, così attribuendo decisivo rilievo alla buona fede del percettore, all’affidamento nella effettiva spettanza delle somme liquidate per lunghi periodi di tempo in via provvisoria, nonché al decorso stesso del tempo quale fatto rilevante ai fini di un’applicazione estensiva del principio di carattere generale di cui all’art. 206 del d.P.R. n° 1092 del 1973 (sino a sancire il superamento della necessità del dato formale dell’effettiva esistenza di un espresso provvedimento di liquidazione del trattamento pensionistico definitivo).
In realtà entrambe le predette posizioni-limite non appaiono aderenti alla voluntas legis che da un lato chiarisce senza possibilità di equivoco la portata concreta e applicativa dei principi e dei criteri fissati con la legge n° 241 del 1990, e che dall’altro non ha di certo inteso svuotare di potere la p.a. inerte o inadempiente, in quanto il dovere di conclusione dei procedimenti non può essere vanificato ed eluso dalla sua inosservanza.
10. Ciò che invece può rilevare ai fini della valutazione delle conseguenze derivanti dall’inosservanza del termine regolamentare è che proprio la reductio ad unum della consistenza dello spatium deliberandi che le Amministrazioni debbono osservare per ciascuna tipologia di procedimento amministrativo di rispettiva competenza pone in risalto l’importanza dell’uniformità di trattamento e del rispetto del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini, i quali, in presenza di determinate e qualificate posizioni giuridiche soggettive, debbono poter legittimamente riporre nell’Amministrazione l’affidamento nella effettiva conclusione dei procedimenti che li riguardano -entro l’univoco limite temporale di legge, ovvero autoimposto dall’Amministrazione stessa- senza essere più indeterminatamente soggetti, in uno status di incertezza e di precarietà solo transitoriamente giustificabile, alla preesistente incoercibile variabilità di comportamenti dei vari uffici procedenti, peraltro già di per sé elusiva e irrispettosa dei precetti costituzionali del corretto adempimento delle funzioni pubbliche e del buon andamento dell’Amministrazione (artt. 54 e 97 Cost.).
L’affidamento “oggettivo” assume dunque connotazioni diverse dallo stato soggettivo di buona fede (cui fanno peraltro espresso riferimento taluni dei quesiti sottoposti a queste Sezioni riunite), per sua natura variabile in relazione alle mutevoli circostanze individuali di ciascun rapporto pensionistico, e, come tale, inidoneo a orientare con i necessari criteri di uniformità e di certezza sia le aspettative del privato, sia la condotta della p.a., sia, infine, l’operato del giudice di tale rapporto (si confrontino, ad esempio, nella parallela materia del recupero di emolumenti retributivi indebitamente percepiti, le recenti, contrastanti pronunce del Consiglio di Stato : Sezione IV, 24 maggio 2007, n° 2651 e Sezione VI, 28 giugno 2007, n° 3773).
11. In tale prospettiva, il convincimento del pensionato in ordine alla legittimità del trattamento erogatogli scaturisce dalla attendibile coerenza della liquidazione provvisoria, determinata “in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione” (art. 162, primo comma, del d.P.R. n° 1092 del 1973), e pari “al cento per cento della pensione spettante” (art. 15, primo comma, della legge 8 agosto 1991 n° 274), soprattutto allorquando il superamento del termine regolamentare previsto dalla legge ovvero autoimposto dall’Amministrazione fa ragionevolmente ritenere che siano stati compiutamente ed effettivamente esercitati i controlli necessari per determinare il quantum definitivo di pensione, con conseguente formazione di un legittimo e tutelabile affidamento nella coerenza e nella stabilità del successivo comportamento dell’Amministrazione stessa anche in sede di (tardiva) conversione del trattamento da provvisorio in definitivo, e ciò pur considerando che in occasione del trasferimento e della concentrazione presso l’INPDAP delle competenze e delle responsabilità proprie dell’ordinatore primario della spesa pensionistica si sta progressivamente realizzando un sistema di immediata liquidazione dei trattamenti di quiescenza in modalità definitiva, con superamento delle possibili discrasie derivanti dallo sdoppiamento delle competenze liquidatorie tra ente di appartenenza del dipendente e istituto previdenziale, pur permanendo -in una fase transitoria presumibilmente non breve- la sussistenza del regime di provvisorietà per numerose partite pensionistiche, con conseguente persistenza dell’attualità delle problematiche connesse all’accertamento e al recupero di indebiti pensionistici, nonché alla rilevanza da attribuire all’affidamento medio tempore maturato in capo ai percettori degli indebiti in questione (cfr. anche Corte dei conti, Sezione controllo Enti, adunanza 11 maggio 2007, determinazione n° 27/2007 recante relazione sul controllo eseguito sulla gestione dell’INPDAP per l’esercizio 2005).
12. L’affidamento nella sicurezza giuridica costituisce invero un valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n° 349; 14 luglio 1988, n° 822; 4 aprile 1990, n° 155; 10 febbraio 1993 n° 39), ora ancor più rilevante considerato che lo stesso legislatore prescrive che l’attività amministrativa sia retta (anche) dai principi dell’ordinamento comunitario (art. 1, primo comma, della legge 7 agosto 1990 n° 241 quale modificato dall’art. 1 della legge 11 febbraio 2005 n° 15), nel quale il principio di legittimo affidamento è stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in un’ottica di accentuata tutela dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle istituzioni europee (Corte di giustizia delle Comunità europee, 15 luglio 2004, causa C-459/02; 14 febbraio 1990, causa C-350/88; 3 maggio 1978, causa 112/77).
E’ peraltro evidente che l’affidamento di cui si discute, per essere definito legittimo e tutelabile, deve collocarsi nel contesto di una condotta del percettore connotata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza, in tal caso venendo a mancare il presupposto stesso della tutelabilità della posizione soggettiva del pensionato che abbia personalmente concorso alla formazione dell’indebito e che non può dunque attribuire al comportamento dell’Amministrazione in sede di recupero dell’indebito stesso alcuna censura di contraddittorietà e di incoerenza, né di penalizzante tardività.
13. La novità di questo ampliamento delle garanzie normativamente introdotte nell’ordinamento emerge con maggiore evidenza laddove si consideri che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale attinente al regime di indeterminatezza della durata del procedimento de quo antecedente all’entrata in vigore delle norme di cui alla legge 7 agosto 1990 n° 241 (art. 23 della legge 29 aprile 1949 n° 221 e art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n° 1092), la persistenza della fase di provvisorietà della liquidazione del trattamento di quiescenza comportava ex se l’impossibilità di attribuire significatività a eventuali errori dell’Amministrazione e/o di configurare la “buona fede” in capo al percettore di eventuali indebiti pensionistici, ben essendo lo stesso a conoscenza del predetto regime di provvisorietà e della possibilità di un conguaglio a debito (Corte costituzionale, 21 luglio 1988, n° 846).
Per altro verso non può ritenersi che il “principio di settore” successivamente ravvisato dalla Corte costituzionale -secondo il quale alla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito si sostituisce la diversa regola che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta- cui fanno espresso riferimento talune delle ordinanze di rimessione delle questioni di massima in esame, sia applicabile con automaticità anche nel regime di provvisorietà della liquidazione del trattamento di quiescenza, avendo anzi il giudice delle leggi fatto riferimento nelle segnalate pronunce alla pluralità delle scelte legislative possibili in ordine alla puntuale configurazione di fattispecie preclusive della ripetizione dell’indebito (sentenza n° 431 del 1993 cit.; peraltro vedi ora anche Corte costituzionale, sentenza n° 1 del 13 gennaio 2006 nonché ordinanza n° 178 del 28 aprile 2006), all’ammissibilità e alla compatibilità con l’art. 38 Cost. (pur menzionato in talune delle ordinanze di rimessione) di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante (sentenza n° 240 del 1994 cit.), e alla possibilità di interpretare in via mitigativa disposizioni che legittimino i recuperi su pensioni erogate dall’INPS laddove l’ente erogante già disponga dei dati la cui mancata comunicazione da parte del pensionato sia posta a base del provvedimento di recupero (sentenza n° 166 del 1996 cit.).
14. Quel che invece rileva, ad avviso del Collegio, per affrontare più specificamente i quesiti sottoposti alla luce della sopravvenuta legge 7 agosto 1990 n° 241, è la circostanza che, nell’ambito del procedimento di liquidazione della pensione definitiva, l’accertamento di un conguaglio a debito del pensionato costituisce un sub procedimento di raccordo patrimoniale che si inserisce con contenuto “negativo” nella determinazione del quantum effettivamente spettante al beneficiario, con le finalità di ricondurre l’attribuzione pensionistica nell’alveo dei suoi parametri istituzionali e di pervenire alla conseguente risoluzione del patologico disfavore economico sussistente in danno dell’Amministrazione mediante l’applicazione di strumenti normativi “speciali” rispetto alla generale regola di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 del codice civile.
Invero -ma ciò esula dai limiti della portata risolutrice della presente pronuncia- conseguenza immediata del conguaglio a debito del pensionato in sede di liquidazione della pensione definitiva è proprio la riduzione anche per il futuro dell’ammontare dell’ordinario rateo pensionistico per effetto della rimodulazione e della rettificazione delle coordinate del giusto trattamento pensionistico in precedenza già erroneamente quanto “provvisoriamente” determinate.
15. Ciò che però deve ora caratterizzare tale procedimento di accertamento e di recupero di indebito è la valutazione degli eventuali limiti del potere della p.a. di operare oltre il confine temporale da se stessa fissato ovvero previsto dalla legge, atteso che proprio il contenuto “negativo” del conguaglio a debito colloca detto (sub)procedimento di accertamento e di recupero nell’alveo delle situazioni sfavorevoli per il destinatario, rispetto alle quali deve ritenersi ora sussistente, a tutela del percettore del trattamento provvisorio, un rafforzato obbligo di rispetto delle garanzie procedimentali, specie laddove si tratti di contestare al privato e di far valere in sede patrimoniale la rimozione di una situazione di vantaggio, ingiusta ma per sua natura suscettibile di produrre un prolungato adattamento esistenziale del percettore con allineamento del tenore di vita dello stesso e dei suoi familiari all’ammontare di pensione durevolmente corrisposto, e ciò pur nella consapevolezza della mancata emissione (entro il predetto limite temporale) del provvedimento di liquidazione della pensione definitiva.
Sotto tale prospettiva, il termine prefissato per l’esercizio del potere dell’Amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico, pur ordinariamente identificabile con quello previsto per l’emanazione del provvedimento di pensione definitivo, se ne differenzia per la diversità degli effetti, in quanto nel primo caso il termine regolamentare delimita il potere destinato impositivamente a incidere sfavorevolmente su di un assetto economico che -pur provvisorio e in attesa di stabilizzazione- costituisce pur sempre l’estrinsecazione pro tempore del principio costituzionale di proporzionalità tra lavoro e retribuzione (sia pur differita), mentre nel secondo caso il termine de quo disciplina l’interesse pretensivo del pensionato a ottenere celermente il provvedimento di liquidazione definitiva con le rafforzate garanzie in punto di stabilità di cui agli artt. 204 e seguenti del menzionato d.P.R. n° 1092 del 1973, con un ampliamento, dunque, della sfera giuridica del destinatario, e ciò a prescindere dalle risultanze (favorevoli o sfavorevoli) del connesso conguaglio, che costituisce autonoma e differente operazione contabile da compiersi per effetto della determinazione dei cardini del trattamento pensionistico definitivo.
16. Il termine di legge o regolamentare amministrativo entro il quale l’Amministrazione deve procedere all’emissione del provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque -atteso l’inequivoco dettato normativo relativo alla contestualità dell’emissione del provvedimento di pensione definitiva e dell’eventuale, conseguente conguaglio- portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per l’eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull’assetto economico del percettore.
Alla scadenza del predetto (in realtà duplice) termine vengono ad assumere dunque rilievo sia un “interesse oppositivo” del pensionato, che mira a mantenere un’utilità già acquisita, e che è dunque rivolto all’impedire qualsiasi intervento “negativo” di degradazione o di affievolimento di una situazione preesistente ormai caratterizzata dalla formazione di un affidamento legittimo e tutelabile, sia un “interesse pretensivo” dell’interessato, volto ad ottenere, anche dopo la scadenza del termine regolamentare, l’emissione del provvedimento di pensione definitiva, che, avendo natura ampliativa della sfera giuridica del destinatario, e, in particolare, rafforzando la stabilità delle coordinate del trattamento pensionistico erogato ex artt. 204 e ss. del d.p.r. n° 1092 del 1973, comporta invece l’applicazione del tradizionale principio dell’inesauribilità del potere amministrativo.
Alla scadenza del predetto limite temporale non si può dunque ravvisare alcuna ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere “restrittivo” da parte dell’Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso.
17. Non diversa finalità va attribuita in tale prospettiva alla fissazione normativa del termine (annuale) entro il quale può attribuirsi carattere provvisorio a variazioni disposte con procedure automatizzate (art. 9 della legge 7 agosto 1985 n° 428; d.P.R. 26 settembre 1985 e art. 5 del d.P.R. 8 luglio 1986 n° 429; cfr. anche legge 3 febbraio 1951 n° 38 e d.P.R. 31 maggio 1951 n° 362), con evidenti implicazioni -che tuttavia esulano dall’ambito di cognizione della presente pronuncia- in punto di configurabilità anche in tali fattispecie di limiti alla ripetibilità dell’indebito successivamente accertato.
E’ opportuno peraltro precisare che la suddetta interpretazione, riferita ai momenti di realizzazione e alle modalità di adempimento dell’obbligazione pensionistica priva di natura provvedimentale in senso stretto (cfr. Corte dei conti, Sezioni riunite, 23 aprile 1999, n° 10/QM), esula altresì -anche per i limiti derivanti dalla strutturazione stessa dei quesiti deferiti a queste Sezioni riunite- dalle problematiche conseguenti all’entrata in vigore delle disposizioni sull’annullamento d’ufficio di cui all’art. 1, comma centotrentaseiesimo, della legge 30 dicembre 2004 n° 311 e all’art. 14 della legge 11 febbraio 2005 n° 15 (che ha inserito il capo IV-bis, con gli articoli da 21-bis a 21-nonies, dopo l’art. 21 della legge 7 agosto 1990 n° 241), nonché dalle connesse ipotesi risarcitorie e indennitarie correlate ai ritardi consumati dalla pubblica amministrazione.
18. A ciò va aggiunto che concepire la tutela della posizione del pensionato ritenendo meramente applicabili in materia di recupero dell’indebito pensionistico le sole norme che comportano la possibilità di opporre nei confronti dell’Amministrazione che intende procedere ad un recupero tardivo e/o abnorme la prescrizione (decennale), ovvero ritenere che costituisca sufficiente garanzia di rispetto di principi costituzionalmente rilevanti la prevista rateazione del recupero entro il limite di un quinto del trattamento in godimento, non soddisfa l’esigenza di pervenire ad una soluzione costituzionalmente orientata e coerente con il complessivo quadro normativo vigente e applicabile -segnatamente con le integrazioni precettive di cui alla legge n° 241 del 1990- nella subiecta materia, e ciò considerando che, da un lato, la tesi favorevole alla possibilità di incondizionato recupero viene fondata sulla piena applicazione (oltre che dell’art. 2033 del codice civile), dell’art. 3 del r.d.l. 19 gennaio 1939 n° 295, per il quale sono ripetibili anche indebiti prescritti, nonché dell’art. 406 del r.d. 23 maggio 1924 n° 827, per il quale non vengono posti limiti all’entità del recupero in relazione all’ammontare dello stipendio o della pensione in godimento, e, dall’altro, che pur laddove il pensionato opponga la prescrizione, sussisterebbe comunque un’asimmetria tra la durata (decennale) di tale prescrizione da poter far valere relativamente alla pretesa di recupero rispetto alla durata (quinquennale) della prescrizione stessa operante relativamente ai crediti pensionistici vantati dal privato nei confronti dell’Amministrazione (art. 2 del r.d. n° 295 del 1939 quale modificato dall’art. 2 della legge 7 agosto 1985 n° 428), fermo restando che anche l’indifferenziato limite di decurtazione fissato “per tutti” ad un quinto del trattamento in godimento ex art. 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950 n° 180 (più volte inciso dalle sentenze della Corte costituzionale) non può essere considerato aprioristicamente una valida tutela delle esigenze di vita del pensionato (tardivamente) escusso e delle possibili situazioni di ragguardevole disagio economico dello stesso, pur costituzionalmente protette.
19. Né può considerarsi costituzionalmente orientata la lettura delle norme vigenti nel senso di prevedere, con intuitiva variabilità di comportamenti della pubblica amministrazione e di pronunce giurisdizionali, una delimitazione del potere di procedere al recupero dell’indebito esclusivamente in quei casi (pur rinvenibili in taluni dei giudizi a quibus) abnormi per evidente sproporzione tra ammontare dell’indebito e consistenza del trattamento pensionistico inciso dalla decurtazione, ovvero per irragionevole protrazione del regime di provvisorietà, costituendo tali fattispecie solo il limite estremo della tutelabilità, che deve invece trovare un univoco e certo orientamento per garantire non solo l’affidamento dei privati, ma la stessa funzionalità dell’Amministrazione, anche in punto di individuazione delle priorità operative e degli obiettivi dei controlli interni (cfr. ad es.: art. 3-ter del decreto-legge 12 maggio 1995 n° 163 quale aggiunto dalla legge di conversione 11 luglio 1995 n° 273 cit.; d.lgs. 30 luglio 1999 n° 286, e norme collegate).
20. Per tutto quanto innanzi argomentato, ai quesiti posti con le ordinanze di deferimento de quibus va data dunque congiunta soluzione nel senso di affermare -previo assorbimento delle altre sottoposte questioni ed estensione della pronuncia alla già evidenziata omologa normativa concernente gli iscritti alle Casse già gestite dalla ex Direzione generale degli Istituti di previdenza- che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del d.P.R. n° 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n° 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n° 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
21. Vanno peraltro rimesse all’accertamento e alla valutazione dei giudici di merito l’individuazione del limite temporale posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza (rilevando in tal caso, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la variabilità della casisitica concreta sub iudice, da delibare alla luce della comune portata risolutrice del riferimento all’art. 2 della legge n° 241 del 1990) decorso il quale non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, nonché le valutazioni derivanti dall’operatività della presente pronuncia di massima solo per le fattispecie successive alla data di entrata in vigore della richiamata legge 7 agosto 1990 n° 241.
22. Non è luogo a pronuncia sulle spese.
PER QUESTI MOTIVI
le Sezioni riunite in sede giurisdizionale, previa riunione in rito, risolvono le epigrafate questioni di massima nel senso che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del d.P.R. n° 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n° 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n° 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
Dispongono che, a cura della Segreteria, i fascicoli processuali siano restituiti alle competenti Sezioni giurisdizionali centrali d’appello per la prosecuzione dei relativi giudizi di merito.
Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2007.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Silvano DI SALVO) (Francesco CASTIGLIONE MORELLI)
Depositata in Segreteria il giorno 7 agosto 2007
Il Direttore
F.to Pasquale LE NOCI