La storia evolutiva del diritto del mare nello scenario internazionale è stata caratterizzata, da una parte, dalla contrapposizione tra gli opposti regimi del dominio e della libertà del mare – che ha visto nelle diverse epoche storiche l’altalenante affermazione ora delle tesi dei fautori del dominio dei mari ed ora delle teorie di coloro che, invece, sostenevano la liberà del mare – e, dall’altra parte, dall’alterno bilanciamento dei suddetti regimi.
All’inizio del secolo XVII, Ugo Grozio (1583-1645), con la sua opera “Mare liberum”, pubblicata nel 1609, pose le basi del principio della libertà dell’uso del mare. Per il giurista olandese, infatti, “le cose che non possono essere occupate e quelle che possono essere usate promiscuamente da tutti non cadono nella proprietà di alcuno Stato. Questo vale per gli elementi naturali inesauribili e sconfinati, come l’aria e il mare”.
Tuttavia, lo stesso Grozio ammetteva la possibilità che vi fossero delle eccezioni al principio di libertà del mare, nel senso che detto principio valeva senza dubbio per l’oceano, ma non anche “per gli spazi marini più limitati, come le baie, gli stretti e i tratti di mare che erano visibili dalla costa”.
Sul punto, Grozio precisava che la pesca poteva essere soggetta a regolamento, nel caso di rischio di esaurimento dei pesci; mentre, la navigazione doveva rimanere libera, in quanto il suo esercizio lasciava il mare inalterato.
Viceversa, per i fautori della teoria del dominio dei mari, tra cui spiccava Paolo Sarpi (1552-1623), consigliere della Repubblica di Venezia ed autore di molti scritti sul dominio di Venezia sul Mar Adriatico, non vi era alcuna ragione logica per fare una distinzione tra il mare e la terra, in quanto entrambi erano suscettibili di occupazione, di controllo e di possesso né vi era alcun valido motivo per equiparare il mare all’aria.
Giuseppe Matrone