Ai sensi dell’art. 1454 c.c.., la diffida ad adempiere ha lo scopo di fissare con chiarezza la posizione delle parti nell’esecuzione del contratto, mettendo sull’avviso l’inadempiente che l’altra parte non è disposta a tollerare un ulteriore ritardo e che ha già scelto la via della risoluzione per il caso di inutile decorso del termine fissato. Da ciò consegue che il termine contenuto nella diffida ha carattere essenziale in relazione agli effetti che la legge riconnette alla sua inosservanza e che soltanto al creditore, nel cui esclusivo interesse l’essenzialità è posta, è rimessa la valutazione della convenienza di far valere l’inutile decorso di quel termine. Pertanto, alla luce del dato normativo, decorso inutilmente il congruo termine fissato alla parte per adempiere, il contratto si intende risolto di diritto.
Ciò giustifica la sola domanda di risarcimento del danno che può essere proposta separatamente dalla risoluzione (già intervenuta), giacché l’art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto (Cass. sent. n. 10741/2002; Cass. sent. n. 5774/1998).
Ricorrono, quindi, gli estremi per l’applicazione dell’art. 1218 c.c., che, come norma di apertura in materia di inadempimento delle obbligazioni, così statuisce: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuta al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Ne discende da ciò che l’inadempiente è tenuto al risarcimento dei danni. Il contenuto di tale obbligo si profila a seconda che si tratti di un semplice ritardo o di un inadempimento definitivo.