La dazione di cose fungibili a favore di un soggetto che le fa sue e, a tempo debito, ne restituisce il ‘tantundem eiusdem generis et qualitatis’ veniva designato dai Romani con la parola mutuum o mutui datio.
Le espressioni più frequenti erano: ‘mutuum dare’ , ‘mutuum accipere’ , ‘mutuum sumere’ . Prima del sostantivo si usava forse l’aggettivo mutuus, a, um da cui ‘mutua pecunia dare’ .
Il termine, che nel suo significato primitivo indicava la cosa data a mutuo , derivava probabilmente da mov-, da cui movēre, mutare (=scambiare).
A dire di Gaio, invece, il negozio veniva denominato mutuum “quia, quod ita tibi a me datum est, ex ‘meo tuum’ fit” .
L’antico docente proponeva ai suoi discepoli una etimologia, per assonanza, che gli interpreti hanno definito ‘sballata’, ‘falsa’, ‘ingenua’, ‘fantasiosa’ .
Pur tuttavia essa era efficace perché rendeva bene la sostanza del rapporto: dal punto di vista mnemonico, ai fini didattici, quella falsa etimologia raggiungeva il fine – perseguito da Gaio – di imprimere nella mente del discepolo la caratteristica più importante del mutuo, sicuramente meglio che non l’ etimologia moderna o esatta .
Il mutuo di denaro veniva frequentemente denominato pecunia credita o pecunia certa credita.
Il concetto di credere , cui si ricollegava quello di res creditae e di creditum, in un periodo alquanto antico, si riferiva esclusivamente al mutuo.
Successivamente, fra gli ultimi anni della Repubblica e il I secolo a.C., assunse un significato più ampio e generale : fu esteso a tutti quei contratti che si formavano ‘quando taluno acconsentiva alla proposta di un altro soggetto e gli dava alcunché, confidando nella lealtà di costui’ .
In particolare, Paolo affermò che “creditum ergo a mutuo different qua genus a specie” , sicché il mutuo era divenuto solo una ‘specie’ nell’ambito di un ‘genere’ .