La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3136 del 17 febbraio 2015, afferma che, nel processo del lavoro, la fase dell’opposizione prevista dall’art. 1, comma 51, della L. 28 giugno 2012 n. 92 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l’ordinanza, ma essa è soltanto una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente, sicché non può ritenersi viziata la sentenza pronunciata dallo stesso magistrato che aveva emesso quell’ordinanza.
Per meglio introdurre la questione affrontata dalla Cassazione, giova ricordare che, ai sensi del comma 48 dell’art. 1 della L. 92/2012 (la cd. Legge Fornero), a seguito della presentazione del ricorso avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti.
Orbene, secondo quanto dispone il comma 49 dell’art. 1 della legge in parola, il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.
Contro tale ordinanza, per effetto del comma 51 dell’art. 1 della L. 92/2012, può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto.
La norma, però, non precisa se la controversia nel giudizio di opposizione possa essere assegnata al medesimo Giudice (persona fisica) o se, al contrario, debba essere affidato ad altro magistrato dello stesso Tribunale.
Dunque, è sorto tra gli operatori del diritto un acceso dibattito, caratterizzato dalla contrapposizione di due orientamenti opposti e dall’altalenante prevalenza ora dell’uno ed ora dell’altro.
Ad esempio, per la Corte d’Appello di Milano (sentenza 13.12.2013 n° 1577) “nel rito Fornero, la sentenza emessa nell’ambito del procedimento ex art. 1, comma 51, L. 92/2012 è nulla ai sensi dell’art. 158 e 161 c.p.c. se emessa dallo stesso giudice che ha giudicato nella prima fase conclusasi con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49, L. Fornero”.
All’opposto, per il Tribunale di Milano (ordinanza dell’11.10.2013) “non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 51, n. 4, c.p.c. nei confronti del giudice assegnatario dell’opposizione ex art. 1 comma 51 Legge Fornero, che abbia già trattato del tema controverso quale giudice designato per la decisione del ricorso ex art. 1 comma 48 L. cit.. È, infatti, da escludersi la natura impugnatoria del giudizio di opposizione, tale da individuare la cognizione da parte di un giudice necessariamente diverso”.
La pronuncia della Cassazione in commento sembrerebbe atteggiarsi a soluzione definitiva dell’impasse di cui sopra.
Nello specifico, la Corte d’Appello di Milano confermava la decisione del Tribunale, a sua volta confermativa dell’ordinanza di accoglimento del ricorso, proposto dal lavoratore, ai sensi dell’art. 1, comma 48, l. 28 giugno 2012, n. 92 contro il datore di lavoro e volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli in conseguenza di una sentenza penale, emessa su patteggiamento, di condanna alla reclusione di un anno e undici mesi e ad una multa di 330,00 euro per l’imputazione di usura ed estorsione.
Il datore di lavoro proponeva ricorso in cassazione contro tale decisione, lamentando, innanzitutto, la nullità della sentenza di primo grado emessa da giudice incompetente ossia dallo stesso magistrato che aveva accolto la domanda del lavoratore con l’ordinanza di cui all’art. 1, comma 49, l. n. 92 del 2012. Nullità che, a dire del ricorrente, avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dalla Corte d’Appello.
Ecco che la Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ritiene il motivo addotto dal ricorrente inammissibile ed argomenta nel senso che “l’asserito vizio della sentenza di primo grado, riconducibile all’art. 51, n. 4, c.p.c., avrebbe caso mai dovuto essere prevenuto dalla parte interessata con istanza di ricusazione”. Infatti, la Suprema Corte evidenzia che il nome del giudice dell’opposizione all’ordinanza era conoscibile attraverso il ruolo e l’intestazione del verbale d’udienza.
Purttuttavia, è utile osservare che tanti sono i sostenitori della tesi del dovere di astensione del giudice assegnatario dell’opposizione ex art. 1 comma 51 L. 92/2012, nell’ipotesi di già avvenuta trattazione del tema controverso quale giudice designato per la decisione del ricorso, ex art. 1 comma 48 della predata legge.
Sulla scia di tanto, nel corso di un giudizio di opposizione, instaurato ai sensi dell’art. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, sia dalla lavoratrice (che aveva ottenuto, nella forma dell’ordinanza all’esito della fase sommaria di cui al comma 49 dello stesso art. 1 della citata legge, il provvedimento di reintegrazione nel suo posto di lavoro) che dalla società datrice di lavoro, il Tribunale di Siena sollevava, con ordinanza del 16 agosto 2013, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012 e dell’art. 51, comma 1, numero 4), cod. proc. civ., nella parte in cui la prima disposizione non prevede che il giudizio di opposizione abbia svolgimento davanti al medesimo giudice persona fisica della fase sommaria e la seconda non esclude dalla sua operatività la fattispecie in parola, prospettandone il contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 97 e 111, primo comma, della Costituzione.
La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 205 del 2014, pur non entrando nel merito del problema così come prospettato dal Tribunale di Siena, respingeva la questione di legittimità, e rilevava, peraltro, “l’improprio tentativo di ottenere, con uso distorto dell’incidente di costituzionalità, l’avallo dell’interpretazione proposta dal rimettente in ordine ad un contesto normativo che egli pur riconosce suscettibile di duplice lettura”.
La Cassazione, proseguendo nel suo iter logico-argomentativo, ribadisce che “l’asserito vizio della sentenza di primo grado, riconducibile all’art. 51, n. 4, c.p.c., avrebbe caso mai dovuto essere prevenuto dalla parte interessata con istanza di ricusazione (il nome del giudice dell’opposizione all’ordinanza era conoscibile attraverso il ruolo e l’intestazione del verbale d’udienza) e non comporta comunque nullità della sentenza”.
In conclusione, la Corte soggiunge che “il vizio è insussistente”, in quanto la fase dell’opposizione ai sensi dell’art. 1, comma 51, l. n. 92 del 2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l’ordinanza.
Essa, in altre parole, non è una revisio prioris instantiae ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente.
Detta soluzione troverebbe conforto nell’ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674, con la quale le Sezioni Unite escludono il contenuto impugnatorio dell’opposizione all’ordinanza in questione, definendo espressamente quella successiva all’opposizione di cui all’art. 1, comma 51, L. cit. come fase del giudizio di primo grado.
Ad oggi, in ogni caso, non è escluso che la previsione di un giudice persona fisica unico si ponga in contrasto con la Carta Costituzionale.
Infatti, presto la Consulta dovrà nuovamente pronunciarsi sulla spinosa problematica, in quanto sono intervenute nuove remissioni alla Corte Costituzionale (tra cui, Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza del 27.01.2014) sulla base di nuove e diverse motivazioni.