In tarda età postdecemvirale, allorché la pratica del nexum era divenuta improponibile e la stessa stipulatio non era sempre, da chiunque e dappertutto facilmente praticabile, si affermò il principio di ius civile per cui, qualora la datio non fosse dovuta a liberalità o a pagamento o a quant’altro gli interessati l’avessero destinata, si presumeva che da essa nascesse l’obbligo di restituzione e che, in mancanza, fosse esperibile un’actio. Si trattava di una condictio, un’azione formale con cui si pretendeva il ritrasferimento (“dari”) di quel che era stato ‘dato’ (Gai., I. 4.18).
Gaio scrisse che una lex Silia, del terzo secolo(?), dispose, per i crediti di certa pecunia, l’actio per condictionem, e che una lex Calpurnia, forse del 149 a.C., estese ai crediti di certa re: l’attore, dopo aver dichiarato la sua pretesa, domandava al convenuto di ammettere o negare il proprio obbligo, alla risposta negativa fissava un appuntamento in iure a trenta giorni per ‘prendere’ un giudice che decidesse la questione.
Qualche studioso ha ritenuto che solo allora il mutuo divenne azionabile, ‘in quanto riconosciuto da una lex come atto da cui nasceva un’obbligazione civile’ . Questa tesi, però, può considerarsi superata in quanto lo stesso Gaio (4.20) lasciava intendere che, già prima della nuova actio per condictionem , per ottenere quanto era dovuto era sperimentabile l’actio sacramenti in persona e in alcuni casi l’actio per iudicis postulationem. Da ciò è giusto supporre che la tutela diretta o ‘contrattuale’ del mutuum fosse anteriore al terzo secolo avanti Cristo e che fosse stata attuata mediante l’actio sacramenti in personam, all’inizio probabilmente usata in funzione penale.