La Cassazione, con la sentenza 11 gennaio 2008 n. 516, ribadisce che è illegittimo il licenziamento disciplinare relativo ad un illecito commesso dal lavoratore che non sia specificamente tipizzato nel codice disciplinare.
Emiliana Matrone
Cassazione civile, sez. lavoro, 11 gennaio 2008, n. 516
Fatto
Con sentenza del 30 maggio 2003 il Tribunale di Milano accoglieva il ricorso con il quale B.M. impugnava il licenziamento disciplinare inflittogli dalla S.p.A. Alitalia con raccomandata inviata il 7 dicembre 2001, per avere effettuato acquisti tramite tessera Mille Miglia appartenente a soggetto non presente a bordo.
Avverso tale decisione proponeva appello la società, dolendosi che il primo Giudice aveva argomentato sulla circostanza che si trattava di un illecito non specificamente tipizzato nel codice disciplinare, ai fini di motivare l’illegittimità del provvedimento espulsivo, ed insisteva sulla gravità dei fatti addebitati, che avrebbero irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario con il dipendente. Insisteva, quindi, sulla la legittimità del licenziamento, chiedendo comunque, in via subordinata, almeno la conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Si doleva, altresì, in via ulteriormente subordinata sul quantum dell’indennità risarcitoria.
Resisteva il B., richiamando altresì gli ulteriori motivi di illegittimità, dedotti in primo grado e non esaminati dal primo Giudice.
Con sentenza dell’11 – 31 gennaio 2005, l’adita Corte d’appello di Milano, pur condividendo l’impostazione secondo cui, ai fini della rilevanza disciplinare di un comportamento, non era richiesta la sua necessaria tipizzazione nel CCNL od in altra fonte disciplinare, riteneva però che la mancata previsione fosse comunque un elemento rilevante nella valutazione della gravità dell’illecito disciplinare. Nella fattispecie, nonostante non fosse dubbio che il B. avesse posto in essere un comportamento disciplinarmente rilevante, violando le disposizioni aziendali sull’uso della Carta Mille Miglia ed, in particolare, il regolamento sull’uso della carta stessa, strumento promozionale rilasciato al cliente e per uso personale, siffatto comportamento non corretto non poteva essere considerato – ad avviso del Giudice a quo – tale da comportare, in assenza di alcun specifico precedente, ed in assenza di una specifica previsione in relazione alla sanzione ascrivibile, la massima sanzione espulsiva.
Riteneva, inoltre, che del tutto infondato era il richiamo dell’appellante alla configurabilità del comportamento nell’astratta previsione del reato di truffa, non essendovi artifizi o raggiri, ma solo un abuso che poteva essere punito con un’adeguata sanzione conservativa.
Il B. si era infatti limitato a pagare gli acquisti esibendo una carta promozionale Alitalia, che consentiva di accreditare punti validi per futuri voli. Lo stesso era stato visto effettuare un acquisto usando un tessera Mille Miglia da un superiore ed a seguito di ciò era scattato il controllo, che aveva rilevato 10 acquisti di modico valore effettuati consegnando la tessera di Be.
G. per l’accredito punti.
Orbene, sia che il D.B. avesse acquistato per l’amico, consegnando poi a quest’ultimo i prodotti dietro rimborso del prezzo (secondo quanto da lui sostenuto), sia che avesse acquistato direttamente per sè, facendo conseguire all’amico il vantaggio dei punti, il comportamento, anche se ripetuto, non poteva essere tale, secondo il comune sentire sociale (ed in questo caso il riferimento al comune sentire doveva ritenersi determinante, mancando la tipizzazione disciplinare), da giustificare il licenziamento, anche nella forma non “in tronco” del giustificato motivo soggettivo.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. con un unico articolato motivo.
Resiste il B. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resiste la società con controricorso. L’Alitalia ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi d’impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Con il ricorso principale la società Alitalia, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’artt. 2119 c.c., e L. n. 606 del 1966, art. 3, (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), sostiene che la Corte milanese non avrebbe adeguatamente motivato né confrontato “con le nozioni giuridiche di riferimento” le proprie statuizioni.
Più in particolare, la società ricorrente sostiene che il Giudice d’appello avrebbe negato la sussistenza di giusta causa e giustificato motivo soggettivo senza analizzare la nozione legale dell’una e dell’altro, il che, di per sè solo, integrerebbe una censurabile insufficienza di motivazione, non evidenziando l’iter logico posto a base della impugnata decisione.
Da ciò viene tratta la conseguenza della non condivisibilità del rilievo dato alla mancata tipizzazione, nel codice disciplinare, della contestata infrazione, comportando detto rilievo una contraddittorietà del provvedimento decisorio impugnato su tale specifico punto. In altri termini, stante l’antigiuridicità del comportamento contestato al lavoratore (effettuazione d’acquisti a bordo dell’aeromobile e registrazione degli stessi sulla carta “millemiglia” intestata ad altra persona, non presente a bordo), ciò avrebbe dovuto portare al riconoscimento della compromissione dell’elemento fiduciario e, conseguentemente, ed all’inquadramento del caso concreto nella fattispecie di cui all’art. 2119 c.c., ovvero, in subordine, in quella di cui all’art. 2118 c.c., nella forma del giustificato motivo soggettivo.
Il motivo è infondato.
Invero, del tutto correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che, anche volendo considerare la rilevanza disciplinare del comportamento del B., ne andasse esclusa la portata tale da determinare l’irrogabilità della massima sanzione, a maggior ragione in assenza di apposita previsione in tal senso nel codice disciplinare.
Tale motivazione, pur nella sua sinteticità, appare corretta poiché, nonostante la mancanza di esplicitazioni in ordine alle nozioni di giusta causa e giustificato motivo soggettivo, si ricollega alla censura mossa dalla società alla sentenza di primo grado ed esposta nella narrativa della pronuncia, mostrando, in tal modo di tener presente dette nozioni. In essa, infatti, si legge che l’appellante Alitalia “insiste sulla gravità dei fatti addebitati, che avrebbero irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario con il dipendente”.
Il Giudice a quo, ha, quindi, provveduto ad esaminare nell’ordine: il comportamento del B., rilevandone l’astratta rilevanza disciplinare; la mancata previsione di tale comportamento nel codice disciplinare aziendale; l’insussistenza dell’affermata configurabilità, nella fattispecie in esame, del reato di truffa, non essendo stati posti in essere artifici e raggiri; la conseguente impossibilità di far discendere, da tale fattispecie complessiva, la giustificatezza del licenziamento in qualsivoglia delle due forme gradatamele esposte da parte datoriale.
Conseguentemente ha statuito, sul punto della legittimità del licenziamento, la conferma della sentenza di primo grado.
Non ravvisandosi nell’iter argomentativo della Corte di Milano i denunciati vizi motivazionali e di violazioni di legge, l’esaminato ricorso va rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale con cui vengono ribaditi profili di illegittimità della procedura di irrogazione della sanzione disciplinare, non esaminati dai Giudici di merito perchè assorbiti dalle adottate decisioni. La peculiarità della vicenda oggetto di controversia induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2008