Fra le modifiche dell’atto costitutivo della società per azioni la riduzione del capitale sociale rappresenta una vicenda di particolare interesse, cui il Legislatore ha dedicato una specifica disciplina contenuta negli artt. 2445-2447 c.c., così come modificati dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, in vigore dal 01/01/2004.
Per “capitale sociale” deve intendersi “il valore in danaro” di quei conferimenti che, al momento della stipulazione del contratto di società, i soci si sono obbligati a conferire e/o hanno conferito.
Detto capitale è destinato a rimanere immutato nel corso della vita della società a meno che non se ne verifichi, attraverso la modificazione dell’atto costitutivo, l’aumento o la riduzione.
Al contrario, il “patrimonio sociale”, ovvero il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società, è soggetto a continue variazioni e la sua consistenza viene accertata annualmente mediante il bilancio di esercizio.
L’art. 2445 c.c., prevede un’ipotesi di riduzione del capitale sociale “facoltativa” o “volontaria”, cioè rimessa all’autonomia decisionale dei soci.
L’operazione in parola comporta la liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti oppure il rimborso del capitale ai soci, nei limiti ammessi dagli articoli 2327 e 2413 c.c..
Dal momento che siffatta riduzione potrebbe pregiudicare i creditori sociali e i soci di minoranza ed in genere il mercato, il Legislatore ha previsto per la sua realizzazione una serie di cautele sostanziali e procedimentali. In particolare, oltre all’obbligo di indicare nell’avviso di convocazione dell’assemblea le ragioni e le modalità della riduzione, si prescrive:
a) a seguito della riduzione, le eventuali azioni proprie non devono eccedere la decima parte del capitale sociale;
b) la deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché i creditori sociali – quelli divenuti tali prima dell’iscrizione – non abbiano entro tale termine fatto opposizione;
c) il tribunale, investito dal giudizio di opposizione, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che l’operazione abbia luogo nonostante l’opposizione (Comma così modificato dal D.Lgs n. 37/2004 ).
L’art. 2447 c.c. disciplina l’ipotesi di riduzione del capitale sociale ad di sotto del limite legale, fissato dall’art. 2327 c.c. nella cifra non inferiore a centoventimila euro.
Al verificarsi di tale ipotesi, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.
La gravità della prefata situazione, impone agli amministratori di agire con tempestività (appunto senza indugio) in modo da riunire tutti i soci, i quali devono scegliere se proseguire l’attività riportando il capitale al minimo legale oppure se trasformare la società in un altro tipo di società di capitali, per il quale è prescritto un capitale minimo inferiore, ad esempio la società a responsabilità limitata, ovvero in un tipo di società di persone, per il quale non è richiesta la costituzione del capitale.
La terza opzione praticabile dai soci è la messa in liquidazione della società stessa.
Nel caso di riduzione di cui all’art. 2447 c.c., la Giurisprudenza ritiene che debbano essere osservati i medesimi adempimenti previsti dall’art. 2446 c.c., che, invece, riguarda il caso di riduzione del capitale per oltre un terzo in conseguenza di perdite.
Quindi, all’assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione.
Inoltre, nel corso dell’assemblea, gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione.
Se entro l’esercizio successivo (cd. anno di grazia) la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. Se l’assemblea non la delibera, gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.
Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale sia deliberata dal consiglio di amministrazione.
L’art. 2447 c.c. non fa espresso riferimento al caso di perdita totale del capitale sociale, il cd azzeramento. Tuttavia, è giurisprudenza consolidata che in questa ipotesi valgano norme equivalenti. Dunque, l’assemblea potrà evitare la messa in liquidazione della società deliberando l’azzeramento del capitale e la sua contestuale ricostituzione, con il riconoscimento agli azionisti del diritto di opzione (Cass. 133/1987; Cass. 4089/1980).
Purtuttavia, larga parte della Dottrina ritiene che l’art. 2447 c.c. sia inapplicabile all’ipotesi di perdita integrale del capitale sociale.
L’azzeramento e la contestuale ricostituzione del capitale sono considerati lesivi del diritto del singolo azionista alla conservazione della qualità di socio. Azzerato il valore nominale delle azioni, il socio si troverebbe di fronte all’alternativa se concorrere all’aumento del capitale sociale attraverso un nuovo conferimento, oppure se perdere la qualità di socio e con essa ogni diritto nel patrimonio sociale, che, in realtà, potrebbe vantare ancora posizioni attive.
Come si è già ricordato, la nozione di capitale sociale è diversa da quella di patrimonio sia per contenuto che per funzioni. Pertanto, la perdita totale del primo non implica, necessariamente, perdita totale del secondo (si pensi alle plusvalenze inespresse, ad esempio il valore dell’avviamento, che non risulta dal bilancio). In altre parole, il singolo socio potrebbe preferire la messa in liquidazione della società, confidando che, all’esito del pagamento delle posizioni debitorie, residuino beni da ripartire.
Sulla scorta, il diritto di socio che si intenderebbe tutelare altro non è che il diritto alla messa in liquidazione della società.
Per tutelare l’interesse del singolo socio a restare tale, si è sostenuto che la delibera di azzeramento e di reintegrazione del capitale dovrebbe essere adottata non a maggioranza, bensì all’unanimità.
Tale opinione non appare condivisibile per i seguenti diversi ordini di ragioni:
1)perché ai soci dissenzienti è riconosciuto un diritto di opzione nell’aumento di capitale, per cui la perdita della qualità di socio è sempre imputabile ad una sua autonoma scelta;
2)perché contro comportamenti fraudolenti della maggioranza, volti esclusivamente ad arrecare pregiudizio ai soci di minoranza, esistono a favore di questi ultimi diversi rimedi, fra i quali l’impugnazione della delibera per violazione del principio di correttezza e buona fede o per abuso di potere;
3)perché la cessazione della propria partecipazione sociale per effetto dell’integrale perdita del capitale cui si riferisce è un rischio che corre, in quanto tale, ogni socio di società di capitali.
Il diritto di opzione, peraltro, permette al socio di conservare in proporzione inalterata la propria partecipazione alla società. Spetta, dunque, al socio, decidere liberamente se restare o non restare in società; sicché se decide di non restare in società lo fa par fatto proprio, non per decisione della maggioranza.
Il problema, allora, è se il diritto di opzione possa essere escluso dalla deliberazione di ricostituzione del capitale perduto. In proposito, si è sostenuto che l’assemblea possa limitare, ma non escludere totalmente, il diritto di opzione (Cass. 4089/1980).
Possiamo concludere affermando che l’azzeramento e la contestuale ricostituzione del capitale corrispondono al supremo interesse sociale a evitare lo scioglimento della società.
Emiliana Matrone