Ecco la sentenza della Corte Costituzionale n. 237/13 :
SENTENZA N. 237
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari); del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), e degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie − Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), promossi, nel complesso, dal Tribunale ordinario di Pinerolo con due ordinanze del 16 novembre 2012, dal Tribunale ordinario di Urbino con ordinanza del 21 gennaio 2013, dal Tribunale ordinario di Pinerolo con ordinanza del 19 febbraio 2013, dal Tribunale ordinario di Alba con ordinanza del 22 gennaio 2013, dal Tribunale ordinario di Pinerolo con ordinanze del 14 febbraio e del 19 marzo 2013, dal Tribunale ordinario di Sala Consilina con ordinanza del 20 febbraio 2013, dal Tribunale ordinario di Montepulciano con ordinanza del 21 dicembre 2012 e dal Tribunale ordinario di Sulmona con ordinanza del 13 marzo 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 13, 53, 66, 72, 80, 81, 84, 105, 106 e 107 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 12, 15, 17, 18 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di M.F., di I.F. ed altri, di M.E., di B.D., di D.M.R. ed altro, di C.L., di B.F., di P.P. ed altri, nonché gli atti di intervento del Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori, del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, dell’Ordine degli avvocati di Montepulciano, della Unione degli ordini forensi della Sicilia e del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia, del Consiglio nazionale forense, del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Urbino e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 e nella camera di consiglio del 3 luglio 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati Lorenzo Acquarone per D.M.R. ed altro, Federico Sorrentino per B.D. e M.E., Franco Manassero e Salvatore Walter Pompeo per M.F.,Vittorio Barosio per I.F. ed altri, Daniele Chiezzi e Fabio Andreucci per C.L., Fabrizio Politi per P.P. ed altri e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Il Tribunale ordinario di Pinerolo, con cinque ordinanze di rimessione, rispettivamente iscritte ai numeri 13, 53, 72, 81 e 84 del registro ordinanze 2013, il Tribunale ordinario di Alba, con l’ordinanza iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2013, il Tribunale ordinario di Sala Consilina, con l’ordinanza iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2013, il Tribunale ordinario di Montepulciano con l’ordinanza iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2013, il Tribunale ordinario di Sulmona, con l’ordinanza iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2013, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 della Costituzione. Il Tribunale ordinario di Urbino (registro ordinanze n. 66 del 2013) ha sollevato questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. Tutti i suddetti giudici rimettenti hanno sollevato, nel complesso, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, con l’allegata tabella A – limitatamente alla disposta soppressione dei Tribunali ordinari di Pinerolo, Urbino, Alba, Sala Consilina, Montepulciano, Sulmona e aventi sede nelle province dell’Aquila e di Chieti −, 2, 3 e 9 del suddetto decreto legislativo n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, in riferimento, nel complesso agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 70, 72, primo e quarto comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, in particolare, alle lettere a), b), d), e), f), ed ai commi 3, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 −, 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, della Costituzione.
In via consequenziale, il Tribunale ordinario di Sulmona ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 Cost. di tutte le ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012, con le allegate tabelle; degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie − Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), con le allegate tabelle, nell’insieme, e con riguardo alla soppressione degli Uffici del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, prima, secondo e terzo comma, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 2, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 – 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost.
2.− Il Tribunale ordinario di Pinerolo, con ordinanze rispettivamente iscritte al n. 13 e al n. 53 del registro ordinanze 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 70, 72, primo e quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., e dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, con l’allegata tabella A, limitatamente alla prevista soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo, per violazione degli artt. 3, 24, 25, primo comma, 76 e 97, primo comma, Cost.
3.− Nelle suddette ordinanze, con argomentazioni analoghe, il rimettente assume la rilevanza delle questioni, atteso che la successiva udienza dei relativi giudizi si sarebbe tenuta dopo l’acquisto di efficacia del d.lgs. n. 155 del 2012, e, dunque, dinanzi al Tribunale ordinario di Torino.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente deduce che l’art.1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, costituirebbe una norma intrusa rispetto all’oggetto del decreto-legge convertito, in ragione dei principi affermati dalla Corte costituzionale, in particolare nelle sentenze n. 22 del 2012, n. 355 del 2010, n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007, che ravvisano nell’art. 77, secondo comma, Cost., il fondamento della necessaria omogeneità del contenuto della legge di conversione.
La norma di delega in esame – si deduce − è stata introdotta per la prima volta nella legge n. 148 del 2001, con la quale all’art. 1, comma 1, veniva convertito il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), così violando sia il citato articolo 77, secondo comma, Cost., sia gli artt. 70 e 72, primo e quarto comma, Cost., non venendo rispettato il procedimento ordinario di approvazione delle leggi.
L’art. 1, con l’allegata tabella A, del d.lgs. n. 155 del 2012, limitatamente alla soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo, sarebbe viziato in ragione dell’illegittimità della disposizione di delega, e violerebbe l’art. 76 Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con i criteri ed i principi direttivi di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), d) ed e), della legge n. 148 del 2011.
La disposta soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo, quarto ufficio giudiziario del Piemonte per popolazione dopo quelli di Torino, Novara, Alessandria, ed il suo accorpamento al Tribunale ordinario di Torino, che assimilerà anche le sezioni distaccate di Susa e di Moncalieri, comporterebbe che l’ufficio giudiziario del capoluogo resti sostanzialmente inalterato e non venga decongestionato, come stabilito dai suddetti principi direttivi.
D’altro canto l’ampliamento delle competenze del Tribunale ordinario di Ivrea che opera su un ambito territoriale ridotto e con minore popolazione, oltre ad avere una minore sopravvenienza, non concorrerebbe al riequilibrio delle competenze tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzata da rilevante differenza di dimensioni.
4.− Il medesimo art. 1 del d.lgs. 155 del 2012 violerebbe altre disposizioni costituzionali.
Il Tribunale assume la lesione dell’art. 3, poiché il diverso trattamento riservato agli utenti del Tribunale ordinario di Pinerolo rispetto a quelli di tribunali analoghi appare arbitrario, non trovando fondamento in alcuna disposizione di legge, ed irrazionale, in quanto non assicura il raggiungimento degli obiettivi posti dal legislatore delegante.
Deduce, quindi, la lesione dell’art. 25 Cost., in quanto vi sarebbe una indebita sottrazione degli utenti della giustizia al loro giudice naturale.
Infine, il giudice a quo prospetta la lesione degli artt. 97, primo comma, e 24, Cost., in quanto la violazione dei criteri stabiliti per il migliore funzionamento della giustizia lederebbe il buon andamento dell’amministrazione ed il diritto ad una tutela giudiziaria effettiva.
5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in entrambi i giudizi con atti di analogo contenuto.
Assume la difesa dello Stato che la questione come prospettata in riferimento alle norme denunciate è manifestamente infondata.
Ricorda come la disposizione di delega sia stata introdotta nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione da parte dell’Assemblea del Senato, che il 7 settembre 2011 approvava, a seguito della fiducia posta dal Governo, il maxi emendamento, interamente sostitutivo dell’articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge.
Tale iter, tuttavia, non violerebbe gli artt. 70, 72, primo e quarto comma, e 77, secondo comma, Cost. come si rileva dall’esame dei principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 391 del 1995. Neppure sarebbe ravvisabile la lesione della cosiddetta riserva di assemblea, di cui al quarto comma dell’art. 72 Cost., atteso che il disegno di legge di conversione del decreto-legge è stato sottoposto alla procedura normale di esame ed approvazione, a norma degli artt. 35 del Regolamento del Senato e 96-bis del Regolamento della Camera.
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 77 Cost., in ragione della mancanza di omogeneità, prospetta l’Avvocatura dello Stato che, nella specie, appare evidente come la riduzione degli uffici giudiziari risponda ad esigenze di razionalizzazione dell’amministrazione della giustizia, con ottimizzazione dei servizi e riduzione dei costi, finalità perseguite dal decreto-legge.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, afferma, altresì, la legittimità dell’art. 1 del decreto legislativo n. 155 del 2012, per quanto attiene l’inclusione del Tribunale ordinario di Pinerolo tra le sedi soppresse, atteso che, come si rileva, altresì, dalle schede analitiche allegate alla relazione allo schema del decreto legislativo in questione, la discrezionalità nell’adozione di quest’ultimo sarebbe stata correttamente esercitata.
6.− In entrambi i giudizi, con distinti atti aventi analogo contenuto, ha spiegato intervento adesivo il Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori.
Detta associazione non riconosciuta, cui aderiscono numerosi Ordini forensi (tra cui quello di Pinerolo), nel prospettare l’ammissibilità del proprio intervento, ha posto in rilievo, tra l’altro, come, tra i propri scopi associativi, vi sia il mantenimento in essere dei tribunali presso i quali sono istituiti gli ordini forensi associati.
7.− Nel giudizio iscritto al n. 53 del registro ordinanze 2012 si è costituito, con atto depositato il 5 aprile 2013, F.M., parte del giudizio principale, aderendo all’ordinanza di rimessione.
La suddetta parte ha dedotto, altresì, la lesione dell’art. 81 Cost., non essendo stata prevista la copertura finanziaria.
8.− Nel medesimo giudizio ha spiegato intervento, con atto depositato il 5 aprile 2013, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo.
A sostegno della propria legittimazione all’intervento il Consiglio dell’ordine deduce che l’esito della questione di costituzionalità incide direttamente sulla propria costituzione, in quanto legata all’esistenza del tribunale circondariale di riferimento.
Il Consiglio dell’ordine, nell’aderire all’ordinanza di rimessione, impugna anche gli artt. 9 e 5 del d.lgs. n. 155 del 2012, e prospetta la violazione degli ulteriori parametri di cui agli artt. 81 e 108 Cost.
9.− Con ordinanza del 19 febbraio 2013 (registro ordinanze n. 72 del 2013), il Tribunale ordinario di Pinerolo ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, con l’allegata tabella A, 2 e 9 del d.lgs n. 155 del 2012, relativamente alla disposta soppressione del Tribunale medesimo e alla previsione che le udienze successive al 13 settembre 2013 si tengano davanti al Tribunale ordinario di Torino, in riferimento agli artt. 76, 3, 24, 25, primo comma, e 97, secondo comma, Cost.
Ad avviso del rimettente, sussisterebbe il vizio di eccesso di delega, con conseguente disparità di trattamento rispetto alla sede di Ivrea, per la violazione del criterio direttivo della razionalizzazione del servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane − Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo − che deve essere realizzato mediante il decongestionamento del tribunale metropolitano, nel caso di specie Torino, con trasferimento di carichi sugli uffici giudiziari limitrofi della stessa provincia e aumento delle dimensioni di questi.
Il bacino di utenza della provincia di Pinerolo, pari circa alla metà della popolazione della Regione Piemonte, avrebbe imposto, al contrario di come è stato stabilito, di potenziare il suddetto Tribunale e non quello metropolitano di Torino.
La soppressione in questione violerebbe, altresì, l’art. 24 Cost., in quanto una giustizia inefficiente al cui accesso siano frapposti ostacoli darebbe luogo alla mancanza di tutela giurisdizionale, e lederebbe il buon andamento degli uffici giudiziari.
Il giudice a quo prospetta, quindi, la violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., in quanto il cittadino sarebbe distolto dal giudice naturale.
Viene, quindi, dedotta la illegittimità del decreto-legge n. 138 del 2011 e dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione n. 148 del 2011, per la violazione, nel complesso, degli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 76 e 77, Cost., prospettando argomentazioni analoghe a quelle esposte nelle ordinanze di rimessione n. 13 e n. 53 del 2013.
La disposta delega sarebbe viziata da irragionevolezza in quanto il risparmio di spesa è perseguito non tenendo conto dei costi diretti ed indiretti derivanti dalla riforma.
Per altro verso, sarebbe leso il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, nonché l’art. 24 Cost., in quanto la concentrazione nei capoluoghi di provincia (art. 1, comma 2, lettera a, della legge di delegazione) fa sì che grandi parti di territorio vengano ad essere sfornite di uffici giudiziari.
Irragionevole sarebbe, altresì, la previsione di mantenere almeno tre tribunali nel distretto (art. 1, comma 2, lettera f, della legge di delegazione), a prescindere dall’estensione del distretto, della Regione, della popolazione e dei carichi di lavoro e delle sopravvenienze, tenuto conto, nella specie, che il Piemonte ha una sola Corte d’appello.
Infine, è prospettata, in relazione a tutte le disposizioni impugnate, la violazione, dell’art. 81 Cost., in ragione della mancata indicazione della copertura dei presumibili costi.
10.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che deduce la manifesta infondatezza della questione prospettando argomentazioni analoghe a quelle dedotte con riguardo alle ordinanze di rimessione n. 13 e n. 53 del 2013.
11.− Si è costituito nel presente giudizio incidentale B.F., parte del giudizio principale, ed è intervenuto il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, prospettando entrambi argomentazioni difensive adesive all’ordinanza di rimessione.
12.− Il Tribunale ordinario di Urbino, con ordinanza del 21 gennaio 2013 (registro ordinanze n. 66 del 2013), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 155 del 2012, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., e dell’art. 1, con la relativa tabella A, del medesimo d.lgs. n. 155 del 2012, limitatamente alla disposta sua soppressione, in riferimento all’art. 76 Cost., con riguardo al criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 2, lettera a), della legge n. 148 del 2011.
Per quanto attiene alla prima questione sollevata, il giudice a quo, deduce la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto la riforma prevista con la disposizione di delega non risponderebbe ai presupposti di necessità ed urgenza che legittimano il governo all’esercizio della potestà legislativa ai sensi dell’indicato parametro costituzionale (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 22 del 2012).
Con riguardo alla seconda questione prospettata, il rimettente osserva che il legislatore delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega in quanto la città di Urbino, come la città di Pesaro, è Comune capoluogo della Provincia di Pesaro e Urbino, istituita con il regio decreto 22 dicembre 1860, n. 4495, riguardante la nuova circoscrizione territoriale delle Marche, come si rileva anche dallo statuto provinciale approvato con delibera del consiglio provinciale del 31 luglio 1991, n. 172, e, quindi, non doveva essere soppresso in ragione di quanto previsto dal richiamato criterio direttivo.
13.− Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, assumendo la manifesta infondatezza delle questioni sollevate con argomentazioni analoghe a quelle prospettate con riguardo agli altri giudizi incidentali.
14.− Ha spiegato intervento l’Unione degli ordini forensi della Sicilia e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia.
Preliminarmente, l’Unione prospetta la sussistenza della propria legittimazione processuale in ragione della previsione dell’art. 29, comma 1, lettera p), della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), atteso che la disciplina in esame costituisce materia di interesse comune.
Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia deduce la sussistenza della propria legittimazione in quanto ente esponenziale dell’interesse collettivo alla conservazione del presidio giudiziario del Tribunale ordinario di Nicosia.
15.− È intervenuto nel giudizio il Consiglio nazionale forense (C.N.F.), prospettando la sussistenza della propria legittimazione ad intervenire sia perché la soppressione del Tribunale ordinario di Urbino e del relativo Consiglio dell’ordine modificherebbe l’ordinamento forense e condizionerebbe la composizione del C.N.F., sia per lo svolgimento del ruolo di raccordo istituzionale fra l’ordinamento forense ed il complesso delle istituzioni nazionali.
Nel merito, il C.N.F. condivide le argomentazioni del giudice a quo.
16.− È intervenuto nel giudizio anche il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Urbino che dopo avere sostenuto la propria legittimazione con argomentazioni analoghe a quelle del C.N.F. e del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, aderisce alle argomentazioni dell’ordinanza di rimessione.
17.− Il Tribunale ordinario di Alba, con ordinanza del 22 gennaio 2013 (r.o. n. 80 del 2013), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 72, primo e quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., nonché dell’art. 1, con l’allegata tabella A, del decreto legislativo n. 155 del 2012, limitatamente alla disposta sua soppressione, per contrasto con l’art. 76 Cost.
Premette il Tribunale di essere stato adito, ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile da più dipendenti del Ministero della giustizia, appartenenti al personale in servizio presso il Tribunale ordinario di Alba, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Alba e l’ufficio UNEP del medesimo tribunale, che avevano chiesto in via d’urgenza la sospensione dell’efficacia degli atti aventi ad oggetto la procedura di interpello con la quale il personale amministrativo degli uffici giudiziari soppressi dal suddetto d.lgs. veniva invitato a presentare domanda di trasferimento a posti vacanti nel distretto. Detti atti, in quanto finalizzati a dare esecuzione alla riorganizzazione degli uffici giudiziari disposta dalla legge n. 148 del 2011 e dal conseguente d.lgs. n. 155 del 2012, sarebbero idonei a vulnerare il diritto fatto valere dai ricorrenti alla conservazione del posto di lavoro inteso anche come sua collocazione geografica.
Il Tribunale ordinario di Alba, quindi, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ed ha sospeso, provvisoriamente, nei confronti dei ricorrenti, l’efficacia degli atti impugnati.
Osserva il rimettente che la disposizione di delega sarebbe viziata, in quanto adottata durante l’iter di conversione di un decreto-legge che non conteneva detta norma, così violando il procedimento ordinario di formazione della legge (art. 72, primo e quarto comma, Cost.).
Sarebbe, altresì, leso l’art. 77, secondo comma, Cost., atteso che lo strumento della legge delega è incompatibile con la sussistenza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza e in ragione della eterogeneità delle disposizioni in esame rispetto a quelle originariamente contenute nel decreto-legge (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 22 del 2012).
L’art. 1 citato del decreto legislativo sarebbe viziato per eccesso di delega, così violando l’art. 76 Cost., in quanto la soppressione del Tribunale ordinario di Alba contrasterebbe con le finalità di realizzare risparmi di spesa e incrementi di efficienza di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011.
La norma censurata violerebbe, altresì, i principi e i criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, lettere b) ed e), della legge n. 148 del 2011.
18.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la manifesta infondatezza del ricorso in ragione di prospettazioni difensive analoghe a quelle dedotte con riguardo alle ordinanze di rimessione sopra illustrate.
19.− Si sono costituiti nel giudizio incidentale I.F., V.L., Z.M.G., parti ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale.
20.− Il Tribunale ordinario di Pinerolo, con ordinanza del 14 febbraio 2013 (registro ordinanze n. 81 del 2013), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, con l’allegata tabella A, del d.lgs. n. 155 del 2012, limitatamente alla sua soppressione, in riferimento all’art. 76 Cost., per la violazione dei criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), d) ed e), ed all’art. 1, comma 3, della legge n. 148 del 2011, nonché in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 97, secondo comma, Cost.
Secondo il rimettente, i suddetti criteri direttivi sarebbero, infatti, finalizzati a razionalizzare il servizio giustizia nelle aree metropolitane – tra le quali rientra la città di Torino − attraverso il decongestionamento del tribunale metropolitano mediante trasferimento dei carichi sugli uffici giudiziari limitrofi. Lo stesso rimettente rileva che, in totale contrasto con gli obiettivi della legge di delegazione ed i criteri ed i principi da essa fissati e sopra richiamati, il decreto legislativo n. 155 del 2012 prevede la soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo, mentre in tutte le altre aree dei tribunali metropolitani (oltre a Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo) gli uffici giudiziari sub-provinciali sono stati mantenuti e, in alcuni casi, anche ampliati.
L’art. 3 Cost. sarebbe violato dal momento che la soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo fa sì che i cittadini residenti nel suo circondario siano sottoposti ad un trattamento diverso rispetto a quello di altri tribunali sub-provinciali che si trovano in aree metropolitane.
Inoltre, il decreto legislativo n. 155 del 2012, includendo il Tribunale ordinario di Pinerolo tra gli uffici giudiziari soppressi, determinerebbe la violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., poiché distoglie i cittadini di tale circondario al proprio giudice naturale, e lederebbe anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Infine, sussisterebbe la lesione del diritto di difesa, del cittadino dell’attuale circondario del Tribunale ordinario di Pinerolo, sancito dall’art. 24 Cost., in quanto lo stesso si vedrà costretto a rivolgersi ad un tribunale, i cui livelli di efficienza potrebbero essere inferiori a quelli del Tribunale ordinario di Pinerolo.
Il giudice a quo sospetta anche dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 70, 72, commi primo e quarto, 77, secondo comma, e 81 Cost., prospettando argomentazioni analoghe a quelle dedotte nelle già richiamate ordinanze del medesimo tribunale.
La disposizione di delega lederebbe, altresì, gli artt. 3 e 24 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza e per la violazione del diritto di difesa del cittadino.
21.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che prospetta difese analoghe a quelle proposte negli altri giudizi incidentali sopra richiamati.
22.− È intervenuto nel giudizio il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, prospettando argomentazioni analoghe a quelle proposte negli altri giudizi incidentali sopra richiamati.
23.− Si è costituita la parte del giudizio a quo, M.E., aderendo all’ordinanza di rimessione.
24.− Il Tribunale ordinario di Pinerolo, con ordinanza del 19 marzo 2013 (registro ordinanze n. 84 del 2013), ha sollevato questione di legittimità costituzionale analoga a quella sollevata con l’ordinanza n. 72 del 2013, impugnando le stesse disposizioni normative e prospettando le medesime argomentazioni.
25.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, prospettando difese analoghe a quelle proposte negli altri giudizi incidentali sopra richiamati.
26.− È intervenuto nel giudizio il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle proposte negli altri giudizi incidentali sopra richiamati.
27.− Si è costituita B.D., parte del giudizio a quo, aderendo all’ordinanza di rimessione.
28.− Il Tribunale ordinario di Sala Consilina, con ordinanza del 20 febbraio 2013 (registro ordinanze n. 105 del 2013), ha sollevato questione di legittimità dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., e dell’art. 1, con l’allegata tabella A, del decreto legislativo n. 155 del 2012, nella parte in cui, dispone la soppressione del Tribunale ordinario di Sala Consilina, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 76 e 97, primo comma, Cost.
Come per le ordinanze del Tribunale ordinario di Pinerolo e di quello di Urbino, sussisterebbe la rilevanza della questione in quanto la causa andava rinviata ad udienza successiva a quella di acquisto di efficacia del decreto legislativo n. 155 del 2012 e, quindi, nella nuova sede giudiziaria.
Le deduzioni poste a fondamento dell’impugnazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011 sono analoghe a quelle prospettate dalle ordinanze di rimessione sopra richiamate.
Il giudice a quo, quindi, censura l’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, nella parte in cui ha inserito il Tribunale ordinario di Sala Consilina tra gli uffici soppressi, per la violazione dell’art. 76 Cost., in relazione ai criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), d) ed e), della legge n. 148 del 2011.
Ed infatti, deduce il rimettente che, in particolare, non sarebbe stato seguito, senza peraltro assicurare condizioni di efficienza del servizio giustizia, il criterio della priorità di una riorganizzazione nell’ambito provinciale, dal momento che l’ufficio in questione è soppresso ed accorpato ad altro distretto di Corte d’appello appartenente ad altra Provincia (cioè quella di Potenza), così creandosi una scissione tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria circa l’allocazione territoriale dei relativi uffici giudiziari.
Sarebbero violati, inoltre, sia il principio di buon andamento dell’amministrazione, in ragione dei presumibili costi e di quanto realizzato dal Tribunale ordinario di Sala Consilina per l’attuazione del processo civile telematico, sia il diritto alla tutela giudiziaria effettiva.
Infine, il giudice a quo deduce, in ordine all’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, la violazione dell’art. 3 Cost., per il diverso trattamento riservato al Tribunale ordinario di Sala Consilina, rispetto agli altri uffici giudiziari, nonché la violazione del principio del giudice naturale.
29.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la manifesta infondatezza della questione.
30.− Si sono costituite nel presente giudizio incidentale D.M.R. e P.C., parti del processo a quo, aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente.
31.− Il Tribunale ordinario di Montepulciano, con ordinanza del 21 dicembre 2012 (registro ordinanze n. 106 del 2013), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 3 e 24, 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, Cost., nonché, dell’art. 1, con l’allegata tabella A, del d.lgs. n. 155 del 2012, nella parte in cui ha soppresso il Tribunale ordinario di Montepulciano, sia in riferimento ai vizi della disposizione di delega, sia in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 76 e 97, primo comma, Cost.
Il rimettente assume la violazione sia dell’iter ordinario di formazione legislativa (artt. 70 e 72, primo e quarto comma, Cost.), sia del procedimento previsto per la decretazione di urgenza (art. 77, secondo comma, Cost.).
Ad avviso del giudice a quo, la legge di delegazione violerebbe, altresì, gli artt. 3 e 24 Cost., non perseguendo, in modo razionale, il risparmio di spesa, e non considerando né, che ampi territori possono trovarsi sprovvisti di uffici giudiziari, né che il mantenere in ciascun distretto di Corte d’appello non meno di tre degli attuali tribunali pone in essere una disparità di trattamento.
Con specifico riguardo alla soppressione del Tribunale ordinario di Montepulciano rileva il rimettente che sussisterebbe, oltre all’illegittimità conseguente ai dedotti vizi della disposizione di delega, la violazione degli artt. 97, 3, 24 e 25, primo comma, Cost.
32.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga dichiarata la manifesta infondatezza della questione, con argomentazioni analoghe a quelle già sopra riportate.
33.− Si è costituita nel giudizio incidentale C.L., parte del giudizio a quo, aderendo alle argomentazioni del rimettente e prospettando, altresì, la lesione di ulteriori parametri costituzionali, indicati negli artt. 81, 97, primo comma, e 108 Cost.
34.− Ha spiegato intervento l’Ordine degli avvocati di Montepulciano, prospettando, in primo luogo, la sussistenza della propria legittimazione ad intervenire, con argomentazioni nella sostanza analoghe a quelle prospettate dagli altri Consigli dell’ordine intervenuti.
Nel merito, il Consiglio dell’ordine, aderisce all’ordinanza di rimessione.
35.− Il Tribunale ordinario di Sulmona, con ordinanza del 13 marzo 2013 (registro ordinanze n. 107 del 2013), ha sollevato le seguenti questioni di legittimità costituzionale:
in via principale, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché, conseguentemente, dei commi 3, 4, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011, per contrasto con gli artt. 70, 72 primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 Cost., nella parte in cui conferiscono al Governo la delega per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
in via consequenziale, questioni di legittimità costituzionale degli artt.1, 2 e 3, nonché, conseguentemente, degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del d.lgs. n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, e degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs. n. 156 del 2012, con le allegate tabelle, perché emessi in difetto di delega, in violazione dell’art. 77, primo e secondo comma, Cost.;
in via non consequenziale, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3, nonché, per l’effetto degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del d.lgs. n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, e degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs. 156 del 2012, con le allegate tabelle, nella parte in cui sopprimono i tribunali aventi sedi nelle Province dell’Aquila e di Chieti, per violazione della delega (artt. 76 e 77 Cost.), in quanto in contrasto con le disposizioni dell’art. 1, commi 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011, nell’interpretazione conforme agli artt. 3 e 97 Cost.;
in via sempre non consequenziale, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3, nonché, per l’effetto degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, del d.lgs. n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, e degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 156 del 2012, con le allegate tabelle, nella parte in cui sopprimono il Tribunale ordinario di Sulmona e gli Uffici del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna, perché in contrasto con l’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, nell’interpretazione conforme agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, primo, secondo e terzo comma, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 97, primo comma, e 111, secondo e terzo comma, Cost.
36.− Analogamente a quanto accaduto nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Alba, più lavoratori dipendenti del Ministero della giustizia, inseriti nella pianta organica, rispettivamente, del Tribunale ordinario di Sulmona, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di ordinario Sulmona e degli Uffici giudiziari del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna, proponevano ricorso, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., al Tribunale ordinario di Sulmona, impugnando e chiedendo la sospensione di alcuni provvedimenti adottati dall’amministrazione giudiziaria, in ragione della prevista soppressione delle suddette sedi, al fine di riassegnare il personale perdente posto.
Il Tribunale, con decreto inaudita altera parte, sospendeva l’efficacia degli atti impugnati. Tale provvedimento veniva confermato una volta costituitosi il contraddittorio.
Proposto reclamo dal Ministero della giustizia, il Tribunale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge n. 148 del 2011, del d.lgs. n. 155 del 2012 e del d.lgs. n. 156 del 2012.
Il Tribunale ordinario di Sulmona, come già il Tribunale ordinario di Alba, rileva l’idoneità degli atti impugnati a produrre immediati e irreparabili pregiudizi nella sfera di interessi primari dei lavoratori.
Afferma, infatti, il rimettente che costituisce limite alla discrezionalità del legislatore, in ragione del principio di ragionevolezza, la necessità di assicurare comunque l’accessibilità del presidio giudiziario, circostanza nella specie non adeguatamente considerata, tenuto conto della situazione infrastrutturale, della specificità territoriale, delle distanze e delle altitudini del territorio, anche al fine di evitare disparità di trattamento e non sottrarre i cittadini al loro giudice naturale.
Anche l’art. 2 Cost. sarebbe leso, in quanto viene attribuita prevalenza al risparmio e all’efficienza rispetto al principio di solidarietà.
Peraltro, data la presenza nel territorio del Tribunale ordinario di Sulmona di un’importante struttura penitenziaria, la censurata soppressione della sede giudiziaria violerebbe altresì i principi di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., sia con riguardo al risparmio di spesa, sia in relazione alla situazione delle persone detenute in riferimento ai principi di cui al citato art. 27, terzo comma, e agli artt. 2 e 3, Cost.
La mancata considerazione, nella ricognizione delle specificità rilevanti, della suddetta popolazione carceraria, avrebbe fatto trascurare i possibili risparmi di spesa legati a tutti gli adempimenti processuali espletabili negli uffici soppressi.
Altra specificità di cui non si è tenuto conto, così violando l’art. 9, secondo comma, Cost., sarebbe costituita dalla presenza all’interno del circondario di Sulmona di tre parchi naturali e di altre riserve naturali, rispetto ai quali assume rilievo la presenza degli Uffici giudiziari del Tribunale di Sulmona e della relativa Procura della Repubblica, nonché dell’Ufficio del giudice di pace di Castel di Sangro, al fine del contrasto dei reati ambientali sul territorio.
In particolare, il Tribunale sospetta di illegittimità costituzionale gli artt. 1, 2, 3, 11, comma 3, del d.lgs. n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, nella parte in cui prevedono la soppressione dei tribunali delle Province dell’Aquila e di Chieti, per violazione dell’art. 76 Cost. in riferimento all’art. 1, comma 5-bis, della legge n. 148 del 2011, che stabilisce in tre anni il termine per l’esercizio della delega nei suddetti ambiti territoriali, termine che assume rilievo anche rispetto alla previsione di cui al comma 5 dell’art. 1 della legge n. 148 del 2011.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, le censure esposte, nella sostanza, introducono le medesime argomentazioni già formulate nelle ordinanze di rimessione sopra richiamate nel dedurre la violazione delle disposizioni costituzionali sul procedimento di approvazione della conversione in legge del decreto-legge e su quello di approvazione della legge di delegazione. Peraltro, la norma di delega, destinata a produrre nuove spese, si contrapporrebbe al decreto-legge, volto ad effettuare un risparmio di spesa.
Infine, sono sospettati di illegittimità costituzionale l’art. 1, secondo comma, lettera q), della legge n. 148 del 2011 e l’art. 10 del d.lgs. n. 155 del 2012, per la violazione dell’art. 81 Cost. Tali disposizioni, infatti, non darebbero conto né delle spese derivanti dalla piena attuazione del provvedimento normativo, né della copertura per farvi fronte.
37.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con argomentazioni analoghe a quelle prospettate negli altri giudizi incidentali, che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.
38.− Si sono costituiti P.P. ed altri, ricorrenti nel giudizio principale, aderendo all’ordinanza di rimessione, con argomentazioni che ripercorrono l’iter motivazionale dell’ordinanza stessa.
39.− In prossimità dell’udienza e della camera di consiglio, sono state depositate più memorie.
40.− L’Ordine degli avvocati di Urbino (registro ordinanze n. 66 del 2013) ribadisce la propria legittimazione ad intervenire nel giudizio incidentale e, nel merito, conferma le argomentazioni già svolte a sostegno dell’ordinanza di rimessione.
Anche il Consiglio nazionale forense ha depositato memoria. Quanto alla propria specifica posizione processuale, il C.N.F. ricorda che l’Ordine forense è un ente complesso, formato da più enti, gli ordini circondariali ed il C.N.F., che ne rappresenta la forma unitaria.
Nel merito, il C.N.F. ribadisce le argomentazioni già svolte.
Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo (registro ordinanze n. 72, n. 81 e n. 84 del 2013) ha depositato memorie, con le quali ribadisce le difese svolte.
Le parti private dei giudizi iscritti ai numeri 72, 80, 81, 84 del registro ordinanze 2013 hanno depositato memorie, con le quali ripercorrono le deduzioni difensive già esposte con l’atto di costituzione.
Il Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori ha depositato memoria con la quale, in via preliminare, ribadisce la propria legittimazione ad intervenire.
Considerato in diritto
1.– I Tribunali ordinari di Pinerolo, di Alba, di Sala Consilina, di Montepulciano e di Sulmona, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 della Costituzione. Il Tribunale ordinario di Urbino (registro ordinanze n. 66 del 2013) ha sollevato questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost.
Tutti i suddetti giudici rimettenti hanno sollevato, nel complesso, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, con l’allegata tabella A – limitatamente alla disposta soppressione dei medesimi Tribunali ordinari di Pinerolo, Urbino, Alba, Sala Consilina, Montepulciano, Sulmona e aventi sede nelle province dell’Aquila e di Chieti −, 2, 3 e 9 del suddetto decreto legislativo n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, in riferimento, nel complesso agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 70, 72, primo e quarto comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, in particolare, alle lettere a), b), d), e), f), ed ai commi 3, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 −, 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Il Tribunale ordinario di Sulmona ha, altresì, sospettato di illegittimità costituzionale, in via consequenziale, l’art. 1, commi 3, 4, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011, in riferimento agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 Cost.; tutte le ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, e gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie − Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), con le allegate tabelle, nell’insieme, e con riguardo alla soppressione degli Uffici del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, primo, secondo e terzo comma, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 2, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 – ,77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost.
2.− Le dieci ordinanze di rimessione pongono questioni identiche, o tra loro strettamente connesse, in relazione alla normativa censurata.
Ed infatti, i giudici rimettenti denunciano l’illegittima soppressione dei diversi uffici giudiziari, ravvisando la violazione di più parametri costituzionali ad opera sia della disposizione di delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, sia dei decreti legislativi che vi hanno dato attuazione.
I giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.
3.− In via preliminare, deve essere esaminata l’ammissibilità degli interventi proposti.
Nei giudizi iscritti ai numeri 13 e 53 del registro ordinanze 2013 (Tribunale ordinario di Pinerolo) ha spiegato intervento il Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori.
Nei giudizi iscritti ai numeri 53, 72, 81 e 84 del registro ordinanze 2013 è intervenuto il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo.
Nel giudizio iscritto al n. 66 del registro ordinanze 2013 sono intervenuti l’Unione degli ordini forensi della Sicilia e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia, il Consiglio nazionale forense (C.N.F.) e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Urbino.
Nel giudizio iscritto al n. 106 del registro ordinanze 2013 è intervenuto l’Ordine degli avvocati di Montepulciano.
4.− Questi soggetti non sono parti nei giudizi a quibus e quindi, secondo la giurisprudenza costituzionale, il loro intervento potrebbe essere ammesso solo in presenza di un interesse qualificato riferibile in via immediata al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio a quo (ex multis, sentenza n. 272 del 2012), ovvero quando siano lese le loro prerogative.
Alla stregua di tali criteri, la legittimazione ad intervenire deve essere riconosciuta al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, all’Ordine degli avvocati di Montepulciano e al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Urbino; mentre non sussiste in capo al Consiglio nazionale forense, al Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori, all’Unione degli ordini forensi della Sicilia e al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia.
5.− È opportuno richiamare in proposito alcuni profili della disciplina dell’Ordine forense circondariale, come delineata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), in vigore alla data di deposito degli atti di intervento.
Alla stregua di tale legge, l’Ordine forense si articola negli Ordini circondariali e nel Consiglio nazionale forense. Entrambi sono enti pubblici non economici a carattere associativo, istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell’utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale.
Presso ciascun tribunale è costituito l’Ordine degli avvocati, al quale sono iscritti tutti gli avvocati aventi il principale domicilio professionale nel circondario. L’Ordine circondariale ha in via esclusiva la rappresentanza istituzionale dell’avvocatura a livello locale e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni.
Gli Ordini degli avvocati di Pinerolo, di Urbino e di Montepulciano, pertanto, hanno un interesse differenziato e qualificato ad intervenire nei presenti giudizi incidentali, poiché alla presenza del tribunale nel circondario é connessa la istituzione degli stessi, e non vi è dubbio, dunque, che sussista una lesione delle loro prerogative.
Analoga legittimazione non può ravvisarsi in capo all’Ordine degli avvocati di Nicosia, in quanto le attribuzioni dello stesso esulano dal circondario del Tribunale ordinario di Urbino.
Non sussiste la legittimazione ad intervenire del Consiglio nazionale forense, in quanto non sono incise le attribuzioni dello stesso e non ne sono messe in gioco le prerogative istituzionali.
Né un interesse differenziato e qualificato è ravvisabile in capo all’associazione Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori e all’Unione degli ordini forensi della Sicilia.
6.− Prima di passare all’esame del merito delle questioni, occorre rilevare che la parte costituitasi nel giudizio n. 53 del registro ordinanze 2013 e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, nell’aderire all’ordinanza di rimessione, hanno impugnato ulteriori disposizioni e hanno invocato ulteriori parametri costituzionali. Tali disposizioni e profili non possono essere esaminati.
Per costante orientamento di questa Corte, l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle sole norme e parametri indicati, pur se implicitamente, nell’ordinanza di rimessione e non possono essere presi in considerazione ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti − e a maggior ragione dagli intervenienti −, tanto se siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, quanto se siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto della stessa ordinanza (ordinanza n. 298 del 2011).
7.− Le censure prospettate con le ordinanze di rimessione possono essere riunite, ai fini del loro esame, in tre gruppi.
Un primo gruppo investe l’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011 e, in via consequenziale, i commi 3, 4, 5 e 5-bis, del medesimo art. 1, in riferimento agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, Cost.
Con tali disposizioni di legge ordinaria, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l’osservanza dei principi e criteri direttivi indicati.
In queste censure viene menzionato anche il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), ma in realtà l’atto non è oggetto di impugnazione, atteso che è richiamato solo a sostegno della illegittimità della disposizione di delega contenuta nella legge di conversione.
Un secondo gruppo di censure riguarda sia il d.lgs. n. 155 del 2012, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., sia gli artt. 1, con l’allegata tabella A – limitatamente alla disposta soppressione dei Tribunali ordinari di Pinerolo, Urbino, Alba, Sala Consilina, Montepulciano, Sulmona e di quelli aventi sede nelle province dell’Aquila e di Chieti −, 2, 3 e 9 del medesimo decreto legislativo, con le allegate tabelle, in riferimento, nel complesso, agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 76 – per violazione dei criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, in particolare, alle lettere a), b), d), e), f), e dei commi 3, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 –, 77, Cost.
Il Tribunale ordinario di Sulmona, in particolare, ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012 con le allegate tabelle, degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie − Uffici dei giudici di pace, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), con le allegate tabelle, nell’insieme, e con riguardo alla soppressione degli Uffici del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, primo, secondo e terzo comma, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 2, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 –, 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost.
Un terzo gruppo di censure, infine, attiene nel complesso alla violazione, ad opera delle disposizioni impugnate, degli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost.
8.− Quanto al primo gruppo di censure, ad avviso dei rimettenti, l’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale (in particolare, nella sentenza n. 22 del 2012), sarebbe una norma intrusa rispetto all’oggetto del decreto-legge convertito, priva dei requisiti di necessità ed urgenza ed estranea alla materia del decreto-legge. La norma di delega è stata infatti introdotta dalla legge di conversione, così violando – in tesi − sia l’art. 77, secondo comma, Cost., sia gli artt. 70 e 72, primo e quarto comma, Cost.
Inoltre, la disposizione sarebbe stata approvata con il procedimento previsto per la legge di conversione di un decreto-legge e non con la procedura ordinaria; e ciò in violazione dell’art. 72, quarto comma, Cost.
9.− La questione non è fondata.
9.1.− Questa Corte con la sentenza n. 63 del 1998, nell’esaminare disposizioni di delega inserite nella legge di conversione di un decreto-legge, ha osservato che gli articoli contenenti la delega legislativa «sono disposizioni del tutto autonome rispetto al decreto-legge e alla sua conversione, essendo stati introdotti, come norma aggiuntiva, alla legge di conversione nel corso dell’esame dello stesso disegno di legge; né poteva essere altrimenti, posto che l’atto di conferimento al Governo di delega legislativa può avvenire solo con legge».
In tal caso, secondo la stessa sentenza «in realtà, la legge […] ha un duplice contenuto con diversa natura ed autonomia: l’uno […] di conversione del decreto-legge “con le modificazioni riportate in allegato alla legge”, adottato in base alla previsione dell’art. 77, terzo comma, della Costituzione; l’altro […], di legge di delega ai sensi dell’art. 76 della Costituzione».
Si deve dunque ritenere che il Parlamento, nell’approvare la legge di conversione di un decreto-legge, possa esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti normativi ulteriori, peraltro con il limite – precisato dalla giurisprudenza successiva – dell’omogeneità complessiva dell’atto normativo rispetto all’oggetto o allo scopo (sentenza n. 22 del 2012).
Si evidenzia in tal modo il diverso connotarsi della legge, quale ordinaria fonte di conversione del decreto-legge, da un lato, e, dall’altro, quale autonomo fondamento di disposizioni assunte dal Parlamento, distinte da quelle dell’originario decreto-legge anche quanto all’efficacia temporale. Dunque, la disposizione di delega introdotta nell’ordinamento con la legge di conversione, costituendo una statuizione distinta dal decreto-legge, deve essere ricondotta direttamente alla potestà legislativa del Parlamento.
9.2.− Quanto ai requisiti della norma così aggiunta la sua autonomia, come fin qui delineata, comporta che non si possa richiedere che anche essa possieda i caratteri della necessità e dell’urgenza.
La Corte – sia pure nel diverso caso dell’emendamento apportato nel corpo del decreto-legge − nella sentenza n. 22 del 2012, nel sottolineare il legame esistente fra decretazione d’urgenza e potere di conversione, afferma che «se tale legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari […]».
Il principio è affermato con riguardo al caso di norme eterogenee modificative del decreto-legge, ma è a maggior ragione valido nel caso in esame.
9.3.− Nella stessa sentenza n. 22 del 2012, peraltro, si afferma che l’omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all’apprezzamento politico operato dal Governo e controllato dal Parlamento, deve essere osservata anche dalla legge di conversione e che in mancanza si verificherebbe un «uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge». E il principio è recepito dall’art. 96-bis, comma 7, del Regolamento della Camera dei deputati, che dispone: «il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge».
Anche l’introduzione, nella legge di conversione, di una disposizione di delega, dunque, deve essere coerente con la necessaria omogeneità della normativa di urgenza.
9.4.− Così precisati termini dello scrutinio di costituzionalità al quale è chiamata questa Corte in relazione ai parametri invocati, occorre rilevare che la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011 – contenente misure organizzative degli uffici giudiziari di primo grado − non altera l’omogeneità del decreto-legge oggetto di conversione.
Ed infatti, il d.l. n. 138 del 2011 ha modificato alcune disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e, in particolare, l’art. 10 (la cui rubrica reca «Riduzione delle spese dei Ministeri e monitoraggio della spesa pubblica»), ricompreso con l’art. 9 nel Capo II, recante «Razionalizzazione e monitoraggio della spesa delle amministrazioni pubbliche».
A sua volta, la delega conferita è diretta a realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, nonché al perseguimento delle finalità di cui all’art. 9 del d.l. n. 98 del 2011; e va anche rilevato che sia nel d.l. n. 138 del 2011, che nel richiamato art. 9, i tagli di spesa sono ottenuti anche mediante interventi di tipo strutturale, pur se limitati agli organismi propriamente amministrativi.
Concludendo sul punto, la disposizione in esame, in quanto prevede interventi sulle strutture giudiziarie, non può ritenersi disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge.
9.5.− L’ulteriore profilo di censura, relativo alla violazione del procedimento ordinario previsto per la legge di delegazione, e prospettato anche in considerazione della sua approvazione con il voto di fiducia su un maxi-emendamento, non è fondato.
Premesso, infatti, che il riconoscimento, da parte di questa Corte, dell’ammissibilità del conferimento di una delega con la legge di conversione presuppone che non vi sia una incompatibilità di principio fra le due rispettive procedure, occorre verificare se nella specie siano stati rispettati i vincoli posti per la legge di delega dal quarto comma dell’art. 72 Cost.
Ebbene tali vincoli, consistenti nella necessità di esame in sede referente e nella cosiddetta “riserva di Assemblea”, risultano puntualmente rispettati.
Si deve al riguardo ricordare come già con la sentenza n. 9 del 1959 la Corte si sia dichiarata competente a giudicare in ordine al rispetto delle norme costituzionali sul procedimento legislativo, ma non anche sulle previsioni dei Regolamenti della Camera e del Senato, poiché, come affermato nella sentenza n. 78 del 1984, la Costituzione garantisce l’autonomia normativa di entrambi i rami del Parlamento e la peculiarità e la dimensione di tale autonomia.
Orbene, il Regolamento del Senato pone sullo stesso piano i disegni di legge di delegazione legislativa e quelli di conversione di decreti-legge, stabilendo (art. 35) che in entrambi i casi sono obbligatorie la discussione e la votazione da parte dell’Assemblea, ed escludendo (art. 36) l’assegnazione in sede redigente alle commissioni permanenti.
Analogamente, l’art. 96-bis del Regolamento della Camera prevede che il Presidente della Camera assegni i disegni di legge di conversione dei decreti-legge alle commissioni competenti, in sede referente.
Nel caso in esame, pertanto, il rispetto da parte delle Camere della procedura desumibile dalla disciplina regolamentare relativa all’approvazione dei disegni di legge di conversione, conduce ad escludere che si sia configurata la lesione delle norme procedurali fissate nell’art. 72 Cost., poiché risultano salvaguardati sia l’esame in sede referente sia l’approvazione in aula, come richiesto per i disegni di legge di delegazione legislativa.
Gli ulteriori profili procedimentali censurati riguardano la violazione dell’art. 72 Cost., perché a seguito della questione di fiducia posta dal Governo sull’articolo unico della legge di conversione, la norma impugnata sarebbe stata approvata dalle Camere senza una specifica discussione e votazione «articolo per articolo». Al riguardo si è già chiarito nella sentenza n. 391 del 1995 che, ponendo la fiducia, la procedura seguita, nel rispetto delle previsioni regolamentari, comporti che la discussione e la votazione si vengano a concentrare − ai sensi dell’art. 116, comma 2, del Regolamento della Camera – sull’articolo unico del disegno di conversione, soddisfacendo il tal modo il disposto della norma costituzionale.
9.6.− Per le stesse ragioni fin qui esposte, anche le questioni sollevate in via consequenziale, dal Tribunale ordinario di Sulmona, dell’art, 1, commi 3, 4, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 non sono fondate.
10.− Con il secondo gruppo di questioni, tutte le ordinanze di rimessione (r.o. nn. 13, 53, 66, 72, 80, 81, 84, 105, 106 e 107), censurano, nell’insieme, gli artt. 1, 2, 3 e 9 del d.lgs. n. 155 del 2012, in riferimento all’art. 76 Cost., per la violazione, nel complesso, dei criteri di cui agli artt. 1, comma 2, in particolare delle lettere a), b), d), e), ed f), dei commi 3, 5 e 5-bis, della legge di delegazione n. 148 del 2011, nonché agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., per l’illegittimità della disposizione di delega.
L’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012 prevede la soppressione dei tribunali ordinari, delle sezioni distaccate e delle procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al medesimo decreto legislativo.
L’art. 2 del d.lgs. n. 155 del 2012 stabilisce conseguenti modifiche ad alcune disposizioni e tabelle del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario).
L’art. 3 del d.lgs. n. 155 del 2012 modifica la tabella relativa agli Uffici di sorveglianza.
L’art. 9 del d.lgs. n. 155 del 2012 detta le disposizioni transitorie.
Il Tribunale ordinario di Sulmona estende le censure (in via consequenziale) alle ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 155 del 2012 e agli artt. 1, 2, 3, 4, 5, e 6 del d.lgs. n. 156 del 2012 (relativo agli uffici dei giudici di pace).
Occorre aggiungere che l’impugnazione dell’art. 1 e della relativa tabella A del d.lgs. n. 155 del 2012, con riguardo ai tribunali, investe automaticamente la soppressione delle relative Procure della Repubblica, senza che occorra farne menzione, atteso che, nel sistema dell’ordinamento giudiziario, la Procura della Repubblica è istituita presso il tribunale.
Il petitum deve essere pertanto individuato nell’impugnazione dell’art. 1 e della relativa tabella A, limitatamente alla prevista soppressione dei tribunali, in quanto la sorte della Procura della Repubblica è collegata a quella del relativo tribunale.
10.1.− I criteri di delega indicati nell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2012, che, in particolare, si assumono violati sono i seguenti:
art. 1, comma, 2, lettera a): ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, salvo la permanenza del tribunale ordinario nei circondari dei comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011;
art. 1, comma 2, lettera b): ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l’assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell’indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d’impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane;
art. 1, comma 2, lettera d): procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b);
art. 1, comma 2, lettera e): assumere come prioritaria linea di intervento, nell’attuazione di quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d), il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;
art. 1, comma 2, lettera f): garantire che, all’esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d’appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica.
Le ulteriori disposizioni della legge n. 148 del 2011, rispetto alle quali è ravvisata l’illegittimità del decreto legislativo, prevedono:
art. 1, comma 3: necessità del coordinamento con le altre disposizioni vigenti;
art. 1, comma 5: il termine di due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega per l’adozione delle disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi;
art. 1, comma 5-bis: un diverso più ampio termine per l’esercizio della delega relativamente ai soli tribunali aventi sedi nelle Province dell’Aquila e di Chieti (tre anni).
Il solo Tribunale ordinario di Urbino prospetta un contrasto diretto con la previsione contenuta nella legge delega volta al mantenimento dei tribunali siti nei capoluoghi di provincia, atteso che Urbino è uno dei due capoluoghi della provincia di Pesaro e Urbino.
10.2.− In particolare, i giudici a quibus, con riguardo all’eccesso di delega, prospettano quanto segue.
La soppressione del Tribunale ordinario di Pinerolo, con il conseguente accorpamento al Tribunale ordinario di Torino, viene censurata in quanto l’ufficio giudiziario del capoluogo resterebbe sostanzialmente inalterato in violazione del criterio di cui alla lettera b) dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011. Al fine di perseguire il decongestionamento del Tribunale metropolitano di Torino, invece, il Governo avrebbe dovuto mantenere quello di Pinerolo e aumentarne il bacino di utenza.
La soppressione non sarebbe conforme nemmeno agli altri criteri enunciati dall’art. l, lettera b), della delega, ovvero i carichi di lavoro, l’indice delle sopravvenienze e la specificità territoriale dei bacini di utenza. Sarebbe inoltre contrario anche al criterio di cui alla sopra citata lettera e) il mantenimento, nella provincia di Torino, di soli due tribunali, con rilevanti differenze in ordine al bacino di utenza, anche perché non realizzerebbe il riequilibro delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale, caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni.
Il Tribunale ordinario di Alba osserva che l’Ufficio, per l’incremento di efficienza, era stato inserito nell’elenco dei tribunali virtuosi redatto dal Ministero della giustizia, ai sensi del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011.
La norma censurata contrasterebbe anche con i principi e i criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, lettere b) ed e), della legge n. 148 del 2011, atteso che il circondario comprende un ampio territorio caratterizzato da un’elevata densità abitativa, tant’è che per bacino di utenza esso risulta il primo tribunale nella provincia di Cuneo e il quarto su diciassette tribunali del distretto della Corte d’appello di Torino.
Sarebbe poi dubbio il rispetto del criterio fissato dalla lettera e), che ha imposto, quale prioritaria linea di intervento, di riequilibrare le competenze tra uffici limitrofi della stessa area provinciale. La vastità del territorio provinciale avrebbe potuto giustificare, infatti, il mantenimento in funzione quantomeno dei due tribunali ordinari di maggiori dimensioni (ovvero quelli di Cuneo e di Alba), che già oggi risultano essere sostanzialmente equiparabili in relazione agli altri parametri.
Il Tribunale ordinario di Urbino rileva che il legislatore delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega, in quanto la città è comune capoluogo della Provincia di Pesaro e Urbino, istituita con il regio decreto n. 4495 del 22 dicembre 1860, riguardante la nuova circoscrizione territoriale delle Marche, insieme a Pesaro.
Il Tribunale ordinario di Sala Consilina espone che, in particolare, non sarebbe stato seguito il criterio (lettera e) della priorità di riorganizzazione nell’ambito provinciale, dal momento che l’Ufficio soppresso è stato accorpato al Tribunale ordinario di Lagonegro, che fa parte di un altro distretto di Corte d’appello e appartiene ad altra Provincia, così creandosi una scissione tra esercizio della giurisdizione amministrativa e di quella ordinaria, circa l’allocazione territoriale dei relativi uffici giudiziari. Comunque, l’accorpamento (atteso l’organico di undici giudici del Tribunale ordinario di Sala Consilina e quello di otto giudici del Tribunale ordinario di Lagonegro) sarebbe inidoneo ad assicurare condizioni di efficienza del servizio giustizia.
Il Tribunale rileva inoltre, di aver dato attuazione all’informatizzazione giudiziaria e di aver attivato il processo civile telematico, mentre il Tribunale di Lagonegro non rientrerebbe tra le strutture giudiziarie presso cui attivare il processo telematico.
Il Tribunale ordinario di Montepulciano assume che la scelta di concentrare il riordino degli uffici giudiziari sulle città capoluogo di provincia (art. 1, lettera a) trascura di considerare che esse non assicurano la necessaria centralità rispetto al territorio di riferimento e che ciò accentua il rischio che grandi territori possano trovarsi sprovvisti di uffici giudiziari.
Ugualmente censurabili sarebbero le conseguenze prodotte dall’applicazione del criterio di cui all’art. 1, lettera f), il quale, nel prevedere che, a prescindere dall’estensione delle regioni e dalla consistenza della relativa popolazione, siano mantenuti in ciascun distretto di Corte d’appello non meno di tre degli attuali tribunali, porrebbe in essere una disparità di trattamento, ledendo i principi di eguaglianza e proporzionalità; il criterio direttivo sarebbe anche in contrasto con altri principi contenuti nella delega e in particolare con quello che impone l’utilizzo di criteri oggettivi ed omogenei.
Il Tribunale ordinario di Sulmona pone in rilievo come distanze e altitudini del territorio, una volta divenuta efficace la prevista soppressione, possano incidere sull’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto di difesa, mentre nel distretto di Corte d’appello di Campobasso di minore estensione, minore popolazione, con minori distanze, è prevista la conservazione di tutti i tre tribunali. La distribuzione degli uffici giudiziari, quindi, sarebbe in contrasto con i principi di razionalità e buon andamento dell’amministrazione, né il Governo si è preoccupato in primo luogo di individuare i tribunali indispensabili alla salvaguardia dei diritti intangibili e poi fare applicazione dei criteri restanti.
La soppressione dei tribunali violerebbe anche il criterio di cui alla lettera e), della norma di delega, che si esprime nel senso di un riequilibrio delle competenze territoriali demografiche e funzionali tra uffici limitrofi, non potendosi escludere che tale disposizione consentisse un riequilibrio implicante il superamento del confine provinciale, estendendo il territorio del Tribunale ordinario di Sulmona ai naturali confini geografici e di area di servizio della Conca di Sulmona.
La soppressione dei Tribunali ordinari delle Province dell’Aquila e di Chieti sarebbe stata disposta, inoltre, nonostante la previsione del citato comma 5-bis, che dà luogo ad un differimento della delega: per i territori in questione avrebbe dovuto essere adottato un autonomo decreto legislativo, con diversa decorrenza.
10.3.− La questione sollevata dal Tribunale ordinario di Urbino è fondata.
La norma impugnata, nello stabilire la soppressione di tale tribunale, ha violato il criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 2, lettera a), che stabilisce la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 novembre 2011. Tale è la condizione del Tribunale e il contrasto non può essere superato in via interpretativa, come erroneamente prospettato nella scheda tecnica allegata alla relazione allo schema del decreto legislativo n. 155 del 2012, atteso il chiaro tenore inderogabile della delega.
10.4.− Le questioni sollevate dai Tribunali ordinari di Pinerolo, Alba, Montepulciano, Sala Consilina e Sulmona non sono fondate.
10.4.1.− Va premesso che le disposizioni contenute nella legge delega concorrono a formare, quali norme interposte, il parametro di costituzionalità dei decreti legislativi delegati.
E in proposito la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 134 del 2013) ha affermato che il contenuto della delega non può essere individuato senza tenere conto del sistema normativo complessivo, poiché soltanto l’identificazione della sua ratio consente di verificare se la norma delegata sia con essa coerente.
Si è ritenuto anche che il legislatore abbia margini di discrezionalità nell’attuazione della delega, sempre che, appunto, ne rispetti la ratio e che si inserisca in modo coerente nel relativo quadro normativo, con la conseguenza che rientra nei suoi poteri fare delle scelte fra i possibili modi di realizzare l’obiettivo indicato nella legge di delegazione, scelte di cui peraltro occorre verificare la ragionevolezza (sentenza n. 119 del 2012).
10.4.2.− Tanto premesso, nel caso in esame si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; valutazione che ha richiesto lo svolgimento di un’articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate − le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri −, nonché dai diversi pareri e relazioni sottoposti all’attenzione del Governo e delle Camere, e richiamati nelle ordinanze di rimessione.
Quanto al d.lgs. n. 156 del 2012, anch’esso, per conseguire l’obiettivo di una razionalizzazione nella distribuzione degli uffici del giudice di pace, si è avvalso di un’analisi caratterizzata, da un lato, dall’individuazione della capacità di smaltimento effettivo e, dall’altro, dall’individuazione dei carichi di lavoro del singolo ufficio.
10.4.3.− In concreto, i criteri di delega prevedono, oltre a una linea di intervento di riequilibrio (art. 1, comma 2, lettera e, della legge n. 148 del 2011):
la riduzione degli uffici con il solo vincolo di mantenere quelli posti nei capoluoghi di provincia;
la possibilità di attribuire porzioni di territori a circondari limitrofi, senza vincoli quanto al distretto di Corte d’appello o al territorio regionale o provinciale;
una generale razionalizzazione del servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane, senza vincoli alla accorpabilità di uffici giudiziari ai tribunali metropolitani;
la conservazione di non meno di tre tribunali in ogni distretto di Corte d’appello, indipendentemente dal numero dei distretti di Corte d’appello nella regione o dalla consistenza territoriale del distretto.
10.4.4.− Alla stregua di tale quadro di riferimento per l’esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 dei relativi criteri né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione.
A tal fine è opportuno illustrare il percorso con il quale sono stati attuati i criteri in questione.
Nella relazione, anzitutto, si dà atto che i principali dati da elaborare, per giungere al valore-modello da utilizzare come guida dell’intero lavoro, sono stati scelti tra quelli con caratteristiche di pubblicità ed incontrovertibilità (si è, così, privilegiata la fonte Istat), evitando l’impiego di quelli suscettibili di correzione mediante elementi valutativi (quali la «situazione infrastrutturale» o il «tasso d’impatto della criminalità organizzata»). Essenzialmente, dunque, sono stati utilizzati, per un verso, i criteri del «numero degli abitanti» e delle «sopravvenienze» (cosiddetto indice di litigiosità), per altro verso, quello dei «carichi di lavoro» rispetto all’organico disponibile (cosiddetto indice di produttività).
Il periodo considerato è stato assunto convenzionalmente in almeno un quinquennio, tale per cui fattori accidentali e idonei ad alterare nel breve periodo la formazione dei dati in un circondario possono reputarsi neutralizzabili. Pertanto, l’intervallo considerato è stabilmente quello degli anni 2006-2010; previa, tuttavia, conferma dell’intangibilità delle singole linee di tendenza anche per l’anno 2011, almeno dove la disponibilità del dato sia risultata già acquisita. L’obiettivo è stato, anzitutto, quello di stimare il valore-standard dell’ufficio intangibile, ovvero dell’ufficio avente sede in un capoluogo di provincia.
La selezione dei tribunali sopprimibili è stata effettuata per passi successivi, considerando i parametri: abitanti, sopravvenienze, organico e produttività, rispetto al campione sintetizzato; la funzione di filtro di ogni criterio è poi considerata già tale da immunizzare l’ufficio che resiste in base al criterio precedente da ogni esito eventualmente negativo del trattamento in base a quello successivo.
Si è pregiudizialmente esclusa, invece, la considerazione della cosiddetta «pendenza», poiché questa appare fuorviante, anche perché legata a fattori locali e accidentali, storici e finanche talora esauriti nel tempo.
Sono state poi considerate, specificamente, le singole realtà, evidenziandosi con riguardo agli uffici giudiziari in questione, che:
l’accorpamento del Tribunale ordinario di Pinerolo a quello di Torino, non condiziona il decongestionamento di quest’ultimo, atteso che le sezioni distaccate di Ciriè e Chivasso sono accorpate al Tribunale ordinario di Ivrea;
il circondario di Alba, che va scorporato dalla Provincia di Cuneo, è accorpato al Tribunale ordinario di Asti, al fine di adeguarlo al modello standard, già raggiunto dal Tribunale ordinario Cuneo con l’accorpamento dei Tribunali ordinari di Saluzzo e Mondovì;
il Tribunale ordinario di Montepulciano rimane al di sotto anche della soglia fissata per il mantenimento degli uffici del giudice di pace e il suo accorpamento al Tribunale ordinario di Siena è anche funzionale a razionalizzare quest’ultimo tribunale capoluogo, anch’esso sotto i parametri standard;
il Tribunale ordinario di Sala Consilina è sotto tale soglia e, come quello di Vallo della Lucania, con deficit marcati in ordine alle sopravvenienze e ai carichi di lavoro per magistrato: si è ritenuto, quindi, di sopprimere il primo, accorpandolo a quello assai vicino e ben collegato di Lagonegro, atteso che nel distretto di Corte d’appello di Potenza, in cui vi sono quattro tribunali, solo uno dei due sub-provinciali (Melfi e Lagonegro) è sopprimibile;
il Tribunale ordinario di Sulmona, così come quello di Avezzano, viene accorpato al Tribunale ordinario dell’Aquila, atteso che nel distretto il rapporto tra abitanti e popolazione giustificherebbe, al massimo, la presenza di tre tribunali di medio-piccole dimensioni a fronte degli otto esistenti (i Tribunali ordinari di Vasto e Lanciano sono accorpati, per analoghe ragioni al Tribunale ordinario di Chieti), tutti al di sotto degli standard di riferimento.
Quanto alla soppressione degli uffici del giudice di pace, analogamente, il decreto legislativo n. 156 del 2012 si è avvalso di una analisi statistica, individuando l’effettivo smaltimento pro capite realizzato dai giudici di pace su base quinquennale.
10.4.5.− Ebbene, da una parte, risulta per tabulas che non vi è stata una esplicita o formale violazione dei criteri di delega (a parte il caso già esaminato di Urbino), dall’altra, la loro applicazione non manifesta elementi di irragionevolezza e risponde a un corretto bilanciamento degli interessi.
La scelta del legislatore delegato, come richiesto dal carattere generale dell’intervento, non poteva essere effettuata valutando soltanto i dati dei singoli uffici e i relativi territori in una comparazione meramente statistica, come si assume, in sostanza, nelle ordinanze di rimessione, dovendo, invece, inserirsi in una prospettiva di riorganizzazione del territorio nazionale in un’ottica di riequilibrio complessivo degli uffici di primo grado.
Tale conclusione rimane valida, anche nel caso del Tribunale ordinario di Sala Consilina, la cui soppressione viene denunciata come contrastante con quel criterio della delega (art. 1, comma 2, lettera e) che imporrebbe di procedere all’accorpamento nell’ambito distrettuale o provinciale.
Si deve infatti osservare al riguardo che il criterio in effetti esiste, ma viene qualificato semplicemente come «prioritaria linea di intervento» e, quindi, pur sempre derogabile con una adeguata e documentata motivazione.
Ciò è appunto quanto è avvenuto nel caso di specie, in cui la ponderata valutazione della situazione complessiva dei distretti interessati, dei relativi dati statistici, nonché degli stessi elementi territoriali, dimostra adeguatamente la non irragionevolezza di una soluzione basata sulla preponderanza di altri criteri.
10.4.6.− Anche le questioni proposte, in via consequenziale, con riguardo agli ulteriori articoli del d.lgs. n. 155 del 2012 e degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs n. 156 del 2012, per le stesse ragioni, non sono fondate.
11.− Con il terzo gruppo di censure è prospettata, nel complesso, sia in relazione alle impugnate disposizioni della legge n. 148 del 2011, che a quelle dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, la violazione di ulteriori parametri costituzionali costituiti dagli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost.
In particolare, gli artt. 2, 9, secondo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, sono stati invocati dal solo Tribunale ordinario di Sulmona.
La questione non è fondata.
Si è già detto come in questa riforma organizzativa occorra verificare la ragionevolezza e la proporzionalità del bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale che possono essere coinvolti da un intervento legislativo di vasta portata: ciò vale anche per le censure in questione e vale in particolare laddove si lamenta la prevalenza dei principi dell’economicità e dell’efficienza rispetto a quello della solidarietà, e la incidenza su territori caratterizzati da riserve naturali.
Quanto alla mancata tutela dei diritti dei lavoratori, si tratta di situazioni giuridiche che nel complesso appaiono adeguatamente salvaguardate.
Anche la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. (principi di eguaglianza e di ragionevolezza) non sussiste, sia in ragione della complessiva ragionevolezza della delega conferita al Governo – per le sue finalità e per l’indicazione di criteri oggettivi ed uniformi per tutto il territorio nazionale – sia, quanto ai decreti legislativi, per la diversità delle situazioni degli uffici giudiziari interessati, come posto in luce nelle menzionate schede tecniche.
Con riguardo alla prospettata violazione dell’art. 24 Cost., per denegata giustizia e difficoltà di accesso alla giustizia, è di tutta evidenza che non vi è impedimento o limitazione e che la soluzione adottata contempera, in una dimensione di ragionevolezza, più valori costituzionalmente protetti, al fine di garantire una giustizia complessivamente più efficace.
Quanto alle censure mosse all’art. 1, comma 2, in particolare alle lettere a) ed f), della legge n. 148 del 2011, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., la presenza del tribunale nei comuni capoluogo di provincia e quella di non meno di tre degli attuali tribunali in ciascun distretto di corte d’appello sono criteri direttivi conformi al principio di ragionevolezza, in quanto volti a far permanere il presidio giudiziario in luoghi che hanno assunto nel tempo una maggiore centralità nella vita del territorio e a garantire l’accesso alla giustizia, articolando, comunque, in più uffici l’amministrazione giudiziaria di primo grado in ciascuna Corte d’appello.
Infondata è pure la censura di violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., per lesione del principio del giudice naturale, posto che questa nozione «corrisponde a quella di “giudice precostituito per legge”» (sentenza n. 237 del 2007) e che la normativa impugnata concreta, appunto, tale «precostituzione per legge».
Non si vede, poi, come la soppressione del Tribunale ordinario di Sulmona violi l’art. 27 Cost., per la mancata considerazione della popolazione carceraria e dell’istituto sito nel circondario, atteso che permangono tutte le garanzie che devono trovare applicazione rispetto alle persone detenute.
L’ulteriore dedotta violazione dell’art. 97 Cost., poi, non sussiste, perché la normativa denunciata persegue al contrario le finalità di complessivo buon andamento dell’amministrazione.
12.− Infine, non è ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 81 Cost., ad opera sia della disposizione di delega, sia dei decreti legislativi.
Il principio dell’obbligo di copertura delle spese è stato specificato da questa Corte in diverse pronunce, nelle quali si è chiarito, in particolare, che la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri (sentenze n. 213 del 2008 e n. 1 del 1966); che essa è aleatoria se non tiene conto che ogni anticipazione di entrate ha un suo costo (sentenza n. 54 del 1983); che l’obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, considerando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991).
Orbene, l’art. 1, comma 2, lettera q), della legge n. 148 del 2011, espressamente ha previsto che dall’attuazione delle relative disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
In attuazione di tale previsione, l’art. 10 del d.lgs. n. 155 del 2012 dispone che «dal presente provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All’attuazione si provvede nell’ambito delle risorse umane strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
Analoga disposizione è contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2012.
Nella relazione allo schema del d.lgs. n. 155 del 2012, come si è detto, è espressamente indicato il risparmio di spesa realizzato con la revisione in atto.
Nella relazione allo schema del d.lgs. n. 156 del 2012 si rileva che «la modifica consentirà […] risparmi di spesa evidenti in relazione alla riduzione del numero degli uffici ed alla maggiore efficienza degli stessi».
Dunque, da una parte, la presenza della clausola di invarianza, dall’altra la credibilità dei prospettati risparmi di spesa, coerenti con la ratio delle delega legislativa, escludono la violazione dell’art. 81 Cost.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara ammissibili gli interventi spiegati dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pinerolo, dall’Ordine degli avvocati di Montepulciano e dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Urbino;
2) dichiara inammissibili gli interventi spiegati dal Consiglio nazionale forense, dal Coordinamento nazionale degli ordini forensi minori, dall’Unione degli ordini forensi della Sicilia e dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, con l’allegata tabella A, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), limitatamente alla disposta soppressione del Tribunale ordinario di Urbino;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), sollevate, nel complesso, in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, e 81 della Costituzione, dai Tribunali ordinari di Pinerolo, Alba, Sala Consilina, Montepulciano e Sulmona con le ordinanze indicate in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4, 5 e 5-bis, della suddetta legge n. 148 del 2011, sollevata, in riferimento agli artt. 70, 72, primo e quarto comma, 77, secondo comma, ed 81 Cost., dal Tribunale ordinario di Sulmona con l’ordinanza indicata in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del predetto decreto legislativo n. 155 del 2012, sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Urbino con l’ordinanza indicata in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, con la relativa tabella A – limitatamente alla disposta soppressione dei Tribunali ordinari di Pinerolo, Alba, Sala Consilina, Montepulciano, Sulmona, e di quelli aventi sede nelle Province dell’Aquila e di Chieti −, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del suddetto decreto legislativo n. 155 del 2012, con le allegate tabelle, sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 70, 72, primo e quarto comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 2, in particolare, alle lettere a), b), d), e), f), e ai commi 3, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 −, 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost., dai Tribunali ordinari di Pinerolo, Alba, Sala Consilina, Montepulciano e Sulmona con le ordinanze indicate in epigrafe;
8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie − Uffici dei giudici di pace, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), con le allegate tabelle, sollevata, nell’insieme e rispetto alla soppressione degli Uffici del Giudice di pace di Castel di Sangro e di Pratola Peligna, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, primo, secondo e terzo comma, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 76 – con riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 2, 5 e 5-bis, della legge n. 148 del 2011 −, 77, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Sulmona con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.