I Tribunali di Livorno e di Ferrara hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, del codice penale, che prevede una circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole «mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale». La disposizione censurata è stata introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125.
La Corte Costituzionale, in tema di diritti inviolabili, ha dichiarato, in via generale, che essi spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001). La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato.
Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato», introducendo così una responsabilità penale d’autore «in aperta violazione del principio di offensività […]» (sentenza n. 354 del 2002). D’altra parte «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero» (sentenza n. 62 del 1994). Ogni limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto che, in presenza di un diritto inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante» (sentenze n. 366 del 1991 e n. 63 del 1994).
La Corte Costituzionale riconosce che l’aggravante di cui alla disposizione censurata non rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati.
Non potrebbe essere ritenuta ragionevole e sufficiente, d’altra parte, la finalità di contrastare l’immigrazione illegale, giacché questo scopo non potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari. Si finirebbe infatti per distaccare totalmente la previsione punitiva dall’azione criminosa contemplata nella norma penale e dalla natura dei beni cui la stessa si riferisce, specificamente ritenuti dal legislatore meritevoli della tutela rafforzata costituita dalla sanzione penale.
La contraddizione appena rilevata assume particolare evidenza dopo la recente modifica introdotta dall’art. 1, comma 1, della legge n. 94 del 2009, che ha escluso l’applicabilità dell’aggravante de qua ai cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea. È noto infatti che esistono ipotesi di soggiorno irregolare del cittadino comunitario, come, ad esempio, nel caso di inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, punita dall’art. 21, comma 4, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), con l’arresto da uno a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro. Anche sotto tale profilo, risulta che la particolare disciplina dell’aggravante censurata nel presente giudizio fa leva prevalentemente sullo status soggettivo del reo, giacché la circostanza non si applica ai cittadini di Stati dell’Unione europea neppure nella
più grave ipotesi dell’inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento, vale a dire quando l’irregolarità del soggiorno è stata riscontrata ed ha formato oggetto di valutazione da parte della competente autorità di sicurezza, che ha emesso un ordine trasgredito dal soggetto interessato, il quale ha assunto, per tale condotta, una specifica responsabilità penale. È evidente, in altre parole, che la giustificazione della fattispecie censurata non può fondarsi su una presunzione correlata alla violazione delle norme sull’ingresso e sulla permanenza nello Stato di soggetti privi della cittadinanza italiana. E ciò si nota a prescindere dalla relazione tra lo status dell’immigrato in condizione irregolare e l’offesa tipica del reato che di volta in volta venga in considerazione.
In particolare, i Giudici osservano che “l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato non solo non ha fatto venir meno la contraddizione derivante dalla eterogeneità della natura della condotta antecedente rispetto a quella dei comportamenti successivi, ma ha esasperato la contraddizione medesima, in quanto ha posto le premesse per possibili duplicazioni o moltiplicazioni sanzionatorie, tutte originate dalla qualità acquisita con un’unica violazione delle leggi sull’immigrazione, ormai oggetto di autonoma penalizzazione, e tuttavia priva di qualsivoglia collegamento con i precetti penali in ipotesi violati dal soggetto interessato.
Lo straniero extracomunitario viene punito una prima volta all’atto della rilevazione del suo ingresso o soggiorno illegale nel territorio nazionale, ma subisce una o più punizioni ulteriori determinate dalla perdurante esistenza della sua qualità di straniero irregolare, in rapporto a violazioni, in numero indefinito, che pregiudicano interessi e valori che nulla hanno a che fare con la problematica del controllo dei flussi migratori.
L’irragionevolezza della conseguenza si coglie pienamente ove si consideri che da una contravvenzione punita con la sola pena pecuniaria può scaturire una serie di pene aggiuntive, anche a carattere detentivo, che il criterio di computo su base percentuale può condurre a valori elevatissimi, dando luogo a prolungate privazioni di libertà. Non solo lo straniero in condizione di soggiorno irregolare, a parità di comportamenti penalmente rilevanti, è punito più gravemente del cittadino italiano o dell’Unione europea, ma lo stesso rimane esposto per tutto il tempo della sua successiva permanenza nel territorio nazionale, e per tutti i reati previsti dalle leggi italiane (tranne quelli aventi ad oggetto condotte illecite strettamente legate all’immigrazione irregolare), ad un trattamento penale più severo.
Tutto ciò si pone in contrasto con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost., che non tollera irragionevoli diversità di trattamento”.
Sulla scorta di tanto, la Corte Costituzionale, con la Sentenza 8 luglio 2010, n. 249:
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, del codice penale;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice,»;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen., sollevata dal Tribunale di Livorno con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Emiliana Matrone
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