L’assegnazione della casa coniugale si configura come un atipico diritto personale di godimento, trascrivibile e opponibile a terzi in forza dell’articolo 2643 del codice civile.
In caso di separazione o divorzio l’articolo 155-quater del codice civile prevede che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo conto in via prioritaria dell’interesse dei figli.
L’assegnazione della casa coniugale rappresenta, dunque, un provvedimento diretto alla tutela dei figli minorenni o maggiorenni conviventi e non autosufficienti, affinché questi possano continuare a vivere nell’ambiente domestico, ossia nel luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia in cui sono cresciuti fino a quel momento.
Nell’eventualità in cui non vi sono figli e uno dei coniugi risulti essere proprietario esclusivo dell’immobile, il Giudice assegnerà la casa al coniuge che ne risulti esclusivo proprietario, salvo situazioni eccezionali, quali gravi patologie a carico del coniuge non proprietario, il quale, ad esempio, necessiti di continue cure domiciliari e che non sia in condizioni di poter lasciare l’abitazione senza gravi pregiudizi per il proprio stato di salute (Cass. 4753/2003 e Cass. 2214/2003).
Viceversa, nell’ipotesi in cui manchino figli minori o maggiorenni conviventi e l’immobile risulti cointestato ai coniugi, ai fini dell’assegnazione della casa coniugale si dovrà tener conto delle condizioni economiche dei coniugi.
Cosi la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 2070 del 23.02.2000: “Nell’ipotesi in cui la casa familiare appartenga ad entrambi i coniugi, manchino figli minorenni o figli maggiorenni non autosufficienti conviventi con uno dei genitori, ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, l’esercizio del potere discrezionale del giudice non può trovare altra giustificazione se non quella di, in presenza di una sostanziale parità di diritti, favorire quello dei coniugi che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio: da ciò consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice dovrà respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo, lasciandone la disciplina agli accordi tra i comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi di chiedere la divisione dell’immobile e lo scioglimento della comunione. Ne consegue anche che, venuta meno la situazione che giustificava la temporanea compressione del diritto di comproprietà dell’ex coniuge non assegnatario, questi non può per ciò solo vantare alcun diritto al godimento esclusivo dell’abitazione della quale è mero comproprietario ma deve, in mancanza di accordo con l’ex coniuge assegnatario, proporre una domanda di divisione per lo scioglimento della comunione”.
Inoltre, al fine dell’assegnazione di casa familiare ad uno dei coniugi separati o divorziati in caso di convivenza di questo con un figlio maggiorenne, la Suprema Corte ribadisce che “non basta la mera constatazione della convivenza con figli maggiorenni, ma occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia finchè era unita e che i figli maggiorenni conviventi versino, senza loro colpa, in condizione di non autosufficienza economica” (Cass., n. 1198 del 20.01.2006).
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno, a norma dell’art. 155 quater c.c., nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga un nuovo matrimonio.