Ai sensi dell’art. 637, comma 3, c.p.c., “gli avvocati o i notai possono proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono”.
Tuttavia, l’art. 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, statuisce in tema di contratti c.d. del consumatore che si presume vessatoria fino a prova contraria la clausola che ha per oggetto, o per effetto, di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.
Pertanto, con l’introduzione del foro speciale esclusivo in favore del consumatore risulta ridotto l’ambito di applicabilità dell’originario foro speciale alternativo di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., non regolando anche l’area attualmente coperta dal foro del consumatore, ma esclusivamente quella in cui il cliente ingiunto non rivesta tale qualità.
Allorché si versa in una fattispecie in cui, per la presenza sia dell’avvocato che del cliente-consumatore entrambe le norme sarebbero astrattamente applicabili ma necessariamente deve darsi la prevalenza o all’una o all’altra, tale prevalenza va accordata alla norma in tema di foro del consumatore per una duplice ragione.
Anzitutto perché la norma in tema di foro del consumatore individua una competenza esclusiva, che prevale su ogni altra, pur configurata da altra norma (così S.U. 14669/2003, cit.).
Inoltre, detta prevalenza è conseguenza dell’applicazione dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo.
Emiliana Matrone
Corte di Cassazione, Sezione III civile
Ordinanza 9 giugno 2011, n. 12685
FATTO E DIRITTO
1. L’avv. E.M. ha ottenuto dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di Ma.Sa. per un credito di Euro 14.473,88 a titolo di compenso per prestazioni professionali di avvocato in un giudizio promosso davanti al Tar Molise e davanti al Consiglio di Stato, relativo all’orario di insegnamento del Ma., quale professore di scuola pubblica. Il Ma. proponeva opposizione, eccependo tra l’altro l’incompetenza territoriale del tribunale di Roma ed in via gradata, sollevando l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 637, comma 3, c.p.c.
Il tribunale di Roma, con sentenza depositata il 19 febbraio 2010, dichiarava la propria incompetenza per territorio, essendo competente il tribunale di Larino, quale foro del consumatore, avendo il Ma. la propria residenza in quel circondario.
Avverso tale sentenza, l’attore avv. E.M. proponeva regolamento di competenza adducendo che nel caso di specie non fosse applicabile la previsione sul foro del consumatore, in quanto nel rapporto tra avvocato e cliente non operava la normativa a tutela del consumatore che si riferiva solo alle attività commerciali; che il Ma.Sa. non poteva considerasi un consumatore, in quanto aveva conferito mandato all’avvocato riguardo ad una controversia che rientrava nel quadro della sua professione di insegnante; che in ogni caso avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 637, comma 3, c.p.c. L’avv. M. ha presentato anche memoria. Resiste l’intimato con controricorso.
2. La decisione sulla competenza passa necessariamente attraverso la soluzione di tre questioni.
Il primo problema che si pone nella fattispecie attiene al rapporto tra il foro speciale alternativo di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c. in favore degli avvocati (e dei notai), ed il foro esclusivo del consumatore di cui attualmente all’art. 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
Il punto è oggetto di soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito, mentre mancano sentenze di legittimità.
L’art. 637 c.p.c. statuisce che “Per l’ingiunzione è competente il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria.
Per i crediti previsti nel n. 2 dell’art. 633 è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce.
Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono”.
L’art. 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, statuisce in tema di contratti c.d. del consumatore che si presume vessatoria fino a prova contraria la clausola che ha per oggetto, o per effetto, di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.
3. Va anzitutto rilevato che l’art. 637, comma 3, c.p.c. ha superato indenne lo scrutinio di costituzionalità, a cui è stato sottoposto dal Giudice delle leggi con sentenza n. 50 del 2010, in relazione agli artt. 3 e 25 Cost. La Corte costituzionale ha solo rilevato che lo scopo della norma è quello di agevolare il professionista, che sarebbe invece costretto a seguire le cause relative al recupero dei crediti professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi diversi) da quello in cui egli avesse attualmente stabilito l’organizzazione della propria attività professionale, ma che la censura di incostituzionalità non può ritenersi fondata sotto il profilo della disparità di trattamento in relazione ad altre categorie professionali, che non possono avvalersi della stessa norma. Infatti “si deve osservare che ogni professione presenta caratteri peculiari idonei a giustificarne una disciplina giuridica differenziata. Per la professione legale tali caratteri sono stati già posti in luce con la sentenza di questa Corte n. 137 del 1975. Infine, quanto al rapporto tra l’avvocato e il cliente, se è vero che la norma censurata attribuisce al primo una facoltà processuale ai fini del recupero dei suoi crediti per prestazioni professionali, mediante la possibilità di scegliere un foro che può non coincidere con la residenza o il domicilio del debitore convenuto, è anche vero che tale facoltà non contrasta con il principio di eguaglianza, essendo essa, come già si è notato, frutto di una scelta non irragionevole del legislatore”.
4.1. La giurisprudenza ha ritenuto in tema di c.d. contratti del consumatore, che il foro del consumatore è esclusivo e speciale sicché la clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, anche se il foro indicato come competente coincida con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., è presuntivamente vessatoria e, pertanto, nulla (Cass. 26 settembre 2008, n. 24262).
Già sotto la vigenza dell’art. 1469-bis c.p.c. le S.U. di questa Corte hanno ritenuto che la norma contenuta nel comma 3, n. 19, nel presumere la vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, ha introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile dalle parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che è da presumere vessatoria anche la clausola che stabilisca un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., se è diverso quello del consumatore, perché l’art. 1469-ter, terzo comma, c.c. – per il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge – non può essere interpretato vanificando in modo surrettizio la tutela del consumatore, come nel caso in cui il “forum destinatae solutionis” coincida con la residenza del professionista (Cass. Sez. Unite, 1° ottobre 2003, n. 14669; Cass. 20 agosto 2004, n. 16336).
Pertanto con l’introduzione del foro speciale esclusivo in favore del consumatore (originariamente introdotto dall’art. 1469-bis c.c. e poi trasferito nell’art. 33 del d.lgs. n. 205/2006) risulta ridotto l’ambito di applicabilità dell’originario foro speciale alternativo di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., non regolando anche l’area attualmente coperta dal foro del consumatore, ma esclusivamente quella in cui il cliente ingiunto non rivesta tale qualità.
A rigore non si tratta propriamente di una abrogazione dell’art. 637, comma 3, c.p.c., sia pure parziale, per incompatibilità ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, in quanto le due norme in esame convivono (e ciò non solo in relazione alle diverse delimitazioni suddette ma anche perché l’art. 34 d.lgs. n. 205/2006 non esclude in modo assoluto la deroga al foro del consumatore, e quindi anche l’applicabilità della norma codicistica, ma indica le ristrette condizioni alla quali può essere ammessa).
Tuttavia, allorché si versa in una fattispecie in cui, per la presenza sia dell’avvocato che del cliente-consumatore entrambe le norme sarebbero astrattamente applicabili ma necessariamente deve darsi la prevalenza o all’una o all’altra, tale prevalenza va accordata alla norma in tema di foro del consumatore per una duplice ragione.
Anzitutto perché la norma in tema di foro del consumatore individua una competenza esclusiva, che prevale su ogni altra, pur configurata da altra norma (così S.U. 14669/2003, cit.).
Inoltre detta prevalenza è conseguenza dell’applicazione dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo.
4.2. Né potrebbe sostenersi che tale disciplina prevista dall’art. 637, comma 3, c.p.c., per quanto anteriore rispetto al c.d. codice del consumo non sia stata influenzata dalla successiva disciplina in tema di foro del consumatore, costituendo la norma codicistica una disposizione speciale e, come tale, non derogata dalla disposizione successiva generale (perché regolante organicamente l’intera materia della tutela del consumatore) secondo il principio lex specialis derogat legi generali e lex posterior generalis non derogat legi priori speciali.
Infatti l’art. 33, comma 2, lett. u), d.lgs. n. 205/2006, cit., per quanto posizionato in una normativa a carattere generale a tutela del consumatore, rappresenta pur sempre una disposizione speciale in tema di competenza territoriale, non diversamente dalla norma di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., che è posizionata nell’ambito del codice di rito e, quindi, della disciplina generale ed organica del procedimento civile.
4.3. In ogni caso, in merito alla qualità di lex specialis della norma attinente al foro esclusivo del consumatore, va osservato che tale foro era stato originariamente disposto dall’art. 1469-bis, comma 3, n. 19, c.c. (introdotto con l’art. 25 della l. n. 52/1996). In quella sede tale l’individuazione del foro costituiva certamente una lex specialis a tutela del consumatore, con la conseguenza che per effetto del coordinamento di tale disposizione speciale sopravvenuta con quella antecedente di cui all’art. 637, comma 3, quest’ultima risultava delimitata ai soli casi in cui il cliente non fosse un consumatore.
La circostanza che la norma speciale in tema di foro esclusivo del consumatore sia poi stata trasferita nella più generale normativa a tutela del consumatore, di cui alla l. n. 206 del 2005, non priva la norma attinente al foro del consumatore del carattere di specialità né “riassorbe” gli effetti delimitativi già prodottisi sull’art. 637, comma 3, c.p.c.
Entrambe le norme (sia quella di cui all’art. 637, comma 3, che quella di cui all’art. 33 d.lgs. n. 205/2006) attengono infatti a categorie specifiche di soggetti.
Ne consegue che il loro concorso va regolato nei termini della prevalenza della norma di cui all’art. 33, comma 2, lett. u), d.lgs. n. 206/2005 su quella di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c.
4.4. Di nessun rilievo, ai fini della questione in esame, è la sentenza 20 luglio 2010, n. 17049 di questa Corte, su cui si dilunga il ricorrente nella memoria. Essa infatti si è limitata a statuire che il Consiglio dell’Ordine in relazione al quale va determinato il giudice competente a norma dell’art. 637, comma 3, c.p.c. è quello relativo al momento della proposizione del ricorso. Nessun elemento da tanto si ricava in relazione alla diversa questione in esame della concorrenza tra il foro dell’avvocato e quello del consumatore.
5.1. La seconda questione che si pone è di esaminare se l’avvocato che conclude un contratto d’opera professionale intellettuale sia da ritenersi un professionista, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 206/2005.
La risposta è affermativa.
Invero, appare innanzitutto infondato l’assunto del ricorrente con il quale, facendosi riferimento al preambolo della direttiva comunitaria 5 aprile 1993, n. 93/13/CEE, da cui ha tratto origine la normativa nazionale sul consumatore, si sostiene che il rapporto tra avvocato e cliente esulerebbe dalla normativa de qua, in quanto l’attività del legale non rientrerebbe tra le “attività commerciali”, a cui soltanto la stessa normativa si riferirebbe, sostanziandosi in un’opera intellettuale basata sull’intuitu personae, di modo che l’avvocato non potrebbe essere annoverato tra i professionisti a cui si applica la normativa comunitaria.
5.2. Va, al contrario, rilevato che la direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, n. 93/13/CEE non limita il suo ambito di applicazione alle “attività commerciali”, come comunemente intese. Anzi la predetta direttiva comunitaria, al suo decimo “considerando”, afferma espressamente la sua applicabilità “a qualsiasi contratto stipulato tra un professionista e un consumatore”, eccezion fatta per alcuni contratti espressamente enucleati.
Il d.lgs. n. 206/2005 all’art. 3, lett. a), come modificato dall’art. 3, d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 definisce il consumatore come: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Lo stesso art. 3 (mod. dal d.lgs. n. 221/2007), alla lett. c) definisce il professionista come: “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”. Questa definizione di professionista, così come quella di consumatore, fa riferimento all’esercizio dell’attività “imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” che, nel nostro ordinamento, rispecchia la distinzione tra imprenditore, artigiano e prestatore d’opera professionale.
6.1. È evidente, quindi, che la disciplina del consumatore si applica anche al professionista prestatore d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.), qual è l’avvocato.
A tal fine, peraltro, a nulla rileva che il rapporto tra l’avvocato e il professionista sia caratterizzato dall’intuitu personae e sia, non di contrapposizione, ma di collaborazione (questo, tra l’altro, solo nei rapporti esterni con i terzi, ossia con le controparti del cliente), non rientrando tale circostanza nel paradigma normativo.
Nella fattispecie si versa nell’ipotesi di contratto (d’opera professionale) stipulato tra un professionista (l’avvocato), che tipicamente conclude quel tipo di contratto nella sua attività professionale, ed un cliente, il quale, a seconda delle circostanze, può esser un consumatore o meno (come si vedrà in seguito).
Invero, è evidente che un avvocato utilizza il contratto (di mandato per la rappresentanza e difesa giudiziale o extragiudiziale di un cliente) per agire nell’esercizio della propria attività professionale ed è, pertanto, da considerare un professionista, secondo la definizione data a tale figura dal legislatore nell’art. 3, lett. u), del citato d.lgs. n. 206/2005.
6.2. Ora, il professionista è colui che nell’esercizio della sua attività “utilizza” i contratti previsti dalla disciplina a tutela del consumatore. Il punto era espressamente dichiarato nel previgente art. 1469-bis c.c.; l’inciso non è stato poi riprodotto nel codice del consumo unicamente per il fatto che la definizione viene riferita, in apertura di codice, non solo alla disciplina dei contratti del consumatore ma del consumo in genere. Tuttavia non pare revocabile in dubbio che l’utilizzo del contratto da parte del professionista quale ordinario strumento per l’esercizio della propria attività sia uno dei presupposti sostanziali della normativa in esame.
6.3. Quanto alla prestazione professionale, lo stesso art. 3 del codice del consumo alla lett. e) individua nel “prodotto” destinato al consumatore anche una “prestazione di servizi”.
A questo fine va rilevato che già questa Corte aveva affermato con ordinanza 26 settembre 2008, n. 24257, l’applicabilità dell’art. 33, lett. u), del citato d.lgs 6 settembre 2005, n. 206, in tema di foro del consumatore nell’ambito di un giudizio instaurato dall’avvocato nei confronti del proprio cliente per competenze professionali, rilevando la prevalenza di detto foro esclusivo rispetto a quelli facoltativi di cui all’art. 20 c.p.c. (non si faceva questione – invece – del rapporto tra foro esclusivo del consumatore e quello alternativo speciale di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c.).
6.4. Più in generale questa Corte ha già ritenuto che il prestatore di opera professionale intellettuale (nella fattispecie il medico) integra la figura del professionista di cui all’art. 1469-bis (abrogato) c.c., e quindi dell’attuale art. 3 codice del consumo (Cass. 20 marzo 2010, n. 6824; Cass. 27 febbraio 2009, n. 4914, Cass. 2 gennaio 2009, n. 20), con la conseguenza che opera per il cliente – consumatore – il foro esclusivo della propria residenza. In questi predetti arresti si è rilevato che è professionista – ai fini dell’applicazione della disciplina sui contratti del consumatore – una persona che assume verso l’altra l’impegno di svolgere a suo favore un compito da professionista intellettuale, se l’impegno è assunto nel quadro di un’attività svolta in modo non occasionale.
6.5. Né la disciplina di protezione del consumatore è limitata al caso in cui il contratto sia concluso per iscritto con rinvio a condizioni generali di contratto o mediante moduli o formulari, come pure si evince sia dall’art. 35 del codice del consumo (e già dall’art. 1469-quater c.c.), sia dall’art. 34, comma 5, del citato codice e già dall’art. 1479-ter, comma 5, c.c. che considerano tali ipotesi come eventuali e le elevano a presupposto della applicazione di ulteriori disposizioni di tutela del consumatore.
Il che è del resto conforme a quanto risulta in modo espresso da uno dei “considerando” che introducono alla direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati dal consumatore, dove è scritto che “il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale e di un contratto scritto”.
Inoltre la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che sia “professionista” il prestatore d’opera intellettuale anche quando si è discusso e risolto negativamente il quesito se della tutela del consumatore possa egli fruire per contratti conclusi nel quadro della sua attività professionale (Cass. 5 giugno 2007, n. 13083; 9 novembre 2006, n. 23892, quest’ultima con specifico riferimento alla professione di avvocato).
7. Ne consegue che, per effetto dell’applicabilità dell’art. 33, lett. u), d.lgs. n. 206/2005, il foro alternativo speciale di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c. opera solo nell’ipotesi in cui il cliente, tenuto alla prestazione del corrispettivo all’avvocato, sia una persona giuridica oppure – nell’ipotesi in cui il cliente sia una persona fisica – che esso non rivesta la qualità di consumatore e, quindi, che abbia richiesto la prestazione professionale all’avvocato per uno scopo estraneo alla sua attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (l’art. 15 del Reg. CE 44/2001 utilizza il sintagma “scopo estraneo all’attività”).
8.1. Si pone a questo punto la terza questione: Se, ai fini dell’individuazione del consumatore, con la locuzione “scopo estraneo all’attività professionale” ci si riferisca necessariamente ad “attività professionale” diversa da quella del lavoratore dipendente.
Secondo il ricorrente, infatti, poiché il Ma. gli aveva richiesto l’attività professionale di avvocato relativamente ad atti in merito all’orario di insegnamento, la prestazione richiesta non era estranea all’attività professionale di insegnante del Ma., con la conseguenza che questi non era un consumatore, ma a sua volta un professionista, per cui non poteva invocare il foro del consumatore.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale italiano prevalente (Cass. S.U. n. 7444 del 20 marzo 2008) deve essere considerato consumatore e beneficia della disciplina di cui all’art. 1469-bis c.c. e ss., ed attualmente d.lgs. n. 2006 del 2005, artt. 3 e 33 e ss., la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività; mentre deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale e professionale, ricomprendendosi in tale nozione anche gli atti posti in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’impresa (cfr. anche Cass. 23 febbraio 2007, n. 4208).
8.2. Non sono mancate critiche a tale orientamento, finalizzate ad un’interpretazione estensiva del concetto di consumatore, fondata sulla distinzione tra atti della professione e atti inerenti alla professione e con la tendenza ad escludere dall’ambito di applicazione della tutela dei consumatori solo quegli atti che presentino una pertinenza specifica con l’attività professionale svolta e non quelli in cui il collegamento sia riconducibile ad un rapporto di pertinenza generica, sul presupposto che in tali situazioni il soggetto vessato, pur agendo per finalità diverse dal puro consumo privato, è sostanzialmente un profano, sfornito di quelle competenze specifiche che possono farlo ritenere in posizione di parità con il contraente forte, con conseguente asimmetria informativa.
8.3. Sennonché non vi sono ragioni per discostarsi dall’orientamento già espresso da queste S.U. e sopra indicato. Va, anzi, osservato che la tesi è corroborata dalla definizione di consumatore fornita nell’ambito del commercio elettronico (art. 2, lett. e), d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70): questa normativa prevede che anche la mera riferibilità dell’atto all’attività professionale svolta dalla persona fisica impedisce che quest’ultima possa essere qualificata come consumatore.
8.4. Ne consegue che anche la persona fisica che abbia richiesto all’avvocato la sua prestazione professionale per una questione non estranea alla sua attività imprenditoriale o professionale, sia pure occasionale, non ha la qualità di consumatore e quindi non può beneficiare del foro di cui all’art. 33, comma 2, lett. u), d.lgs. n. 206/2005, mentre rimane soggetto al foro alternativo di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c.
9.1. Sotto questo profilo non può essere condiviso l’argomento sotteso alla sentenza impugnata e fatto proprio dal resistente, secondo cui nella fattispecie il contratto di prestazione di opera professionale intervenuto tra l’avvocato ed il cliente non costituiva un atto finalizzato alla sua attività di professore di scuola pubblica statale, svolta dal cliente, per cui questi non era un consumatore.
Poiché nella fattispecie, invece, come emerge dalla sentenza impugnata, il mandato professionale era stato conferito, dall’opponente all’opposto, per ottenere l’annullamento dal TAR del provvedimento di smembramento delle ore di insegnamento del Ma., insegnante di topografia, costruzioni rurali e disegno presso istituti tecnici, tale prestazione difensiva richiesta, non era estranea all’attività del cliente, come rileva il ricorrente.
9.2. Osserva, quindi, questa Corte che se la questione della qualità di professionista (e quindi di non consumatore) dovesse essere impostata solo nei termini di inerenza della prestazione difensiva richiesta con l’attività svolta dall’opponente (cliente), nella fattispecie dovrebbe necessariamente concludersi che la prestazione richiesta all’avvocato non era “estranea” alla stessa, poiché atteneva espressamente a tale attività di insegnante del cliente.
Sennonché tale assunto si fonda su un presupposto errato e cioè che si possa predicare, ai fini che qui interessano, l’equazione tra “attività lavorativa” ed “attività professionale”.
Invece nella fattispecie la disciplina dei c.d. contratti del consumatore trova applicazione non perché manchi l’inerenza tra il contratto concluso con l’avvocato e l’attività lavorativa di insegnante del cliente, ma perché tale attività lavorativa, trattandosi di lavoro subordinato, non è qualificabile come “attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale”, come richiesto dalla legge e sostenuto dal ricorrente.
Solo se il soggetto persona fisica agisce per uno scopo relativo ad una di queste quattro “attività”, è esclusa la qualità di consumatore, subentrando invece la qualità di professionista.
10.1. Ritiene questa Corte che il rapporto di lavoro subordinato (sia privato che pubblico), contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non integri “attività professionale”, idonea (ai sensi dell’art. 3 d. lgs. n. 206/2005) a far ritenere sussistente la qualità di professionista e, per converso, escludere quella di consumatore.
Infatti anzitutto la disciplina relativa alla tutela del consumatore individua nel professionista un soggetto che opera direttamente sul mercato per un’attività imprenditoriale artigianale, commerciale o professionale, svolgendo su tale mercato un’attività economica, tendenzialmente nei confronti di tutti i soggetti che possono richiederla.
A fronte di tale attività vi è il consumatore, quale persona fisica, che, se non ha egli stesso in relazione a quel contratto la qualità di professionista, rappresenta la parte debole. Nel rapporto di lavoro subordinato, invece, il lavoratore non svolge sul mercato la propria attività economica, ma effettua la sua prestazione lavorativa esclusivamente con l’inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di lavoro (Cass. civ., sez. lavoro, 14 settembre 2009, n. 19770), e solo l’attività di quest’ultimo è un’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale o professionale (e non quella dei soggetti che all’interno svolgono per lui l’attività lavorativa dipendente).
Peraltro sarebbe ben strano che il lavoratore dipendente, all’interno del rapporto di lavoro, sia considerato la parte debole (Cass. 12 febbraio 2004, n. 2734), mentre quando poi “agisce nell’esercizio della propria attività”, ai fini del codice del consumo sia considerato un “professionista”, parte forte. Ulteriori elementi per escludere che nel concetto di “attività professionale” rientri anche l’attività lavorativa conseguente a rapporto di lavoro emergono dal decimo “considerando” alla direttiva 93/13/CEE, che ai contratti di lavoro ha attribuito una propria autonomia.
10.2. In definitiva con il sintagma “attività professionale”, di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 206/2005, come modificato dal d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221, ai fini della qualificazione del soggetto – persona fisica – come professionista, deve intendersi solo l’attività consistente nella prestazione autonoma d’opera professionale intellettuale (oltre all’attività imprenditoriale, commerciale ed artigianale, espressamente previste dalla norma), con esclusione quindi dell’attività di lavoro dipendente, sia pubblico che privato.
11. Nella fattispecie, poiché si versa in ipotesi di un contratto d’opera professionale intellettuale tra l’avvocato opposto ed il consumatore opponente, trova applicazione il foro esclusivo di quest’ultimo, a norma dell’art. 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, e non il foro di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c.
Quindi va affermata la competenza territoriale del tribunale di Larino, come correttamente statuito dalla sentenza impugnata.
Stante la novità della questione in questa sede di legittimità ed il contrasto nella giurisprudenza di merito, esistono giusti motivi per compensare le spese di questo regolamento.
P.Q.M.
Dichiara la competenza per territorio del tribunale di Larino. Compensa tra le parti le spese di questo regolamento.