La Convenzione di Montego Bay prevede che “la sovranità dello Stato si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne e, nel caso di uno Stato-arcipelago, delle sue acque arcipelagiche, ad una fascia adiacente di mare denominata mare territoriale” (UNCLOS, art. 2).
La predetta sovranità si estende allo spazio aereo sovrastante le acque territoriali, al suo fondo e al relativo sottofondo marino.
L’ampiezza massima del mare territoriale attualmente non può eccedere le dodici miglia marine dalla costa (UNCLOS, art. 3).
Il mare territoriale è misurato a partire dalla linea di base (cd. limite interno del mare territoriale). Le acque situate al di qua della linea di base costituiscono le acque marittime interne.
Per “mare territoriale” deve intendersi, dunque, la zona di mare adiacente al territorio, sulla quale lo Stato costiero è legittimato ad esercitare la medesima sovranità a cui è sottoposta la terraferma.
Pertanto, è possibile affermare che “la sovranità esercitata sulla costa implica la sovranità sul mare territoriale”.
La sovranità sul mare territoriale, tuttavia, non è assoluta in quanto incontra due ordini di limiti:
a) lo Stato costiero ha l’obbligo di consentire il “passaggio inoffensivo” (o innocente) nel mare territoriale delle navi straniere;
b) lo Stato costiero ha un limitato esercizio della giurisdizione penale per i fatti verificatisi a bordo delle navi straniere in transito o ancorate nel mare territoriale.
Tali prescrizioni si manifestano come una sorte di costrizione alla sovranità ovvero come un modo di essere della stessa sul mare territoriale.
All’obbligo per lo Stato costiero di permettere il passaggio inoffensivo corrisponde, emblematicamente, il diritto di tutte le navi straniere di attraversare il mare territoriale, entrare nelle acque interne e prendere il largo provenendo da queste, purché il passaggio sia “continuo e rapido”.
Detto passaggio, altresì, per essere considerato “inoffensivo” non deve arrecare pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello stato costiero.
Al contrario, il passaggio è qualificabile come “ostile” se la nave è impiegata in uso della forza, esercizi o manovre con armi, propaganda ostile, inquinamento, pesca (UNCLOS, art. 19).
In virtù dell’art. 25 della Convenzione di Montego Bay, lo Stato costiero è abilitato ad adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo.
In via del tutto eccezionale, ancora, lo Stato costiero ha potere di chiudere determinate zone del suo mare territoriale per motivi di sicurezza, ad esempio, per procedere a manovre militari, purché pubblicizzi adeguatamente la chiusura e non effettui discriminazioni di diritto o di fatto tra le navi straniere.
In particolare, le norme sul passaggio inoffensivo vanno applicate anche alle navi da guerra e singolare appare la disposizione per cui “nel mare territoriale, i sommergibili e altri veicoli subacquei sono tenuti a navigare in superficie ed esibire la bandiera nazionale” (UNCLOS, art. 20).
Il riferimento normativo del secondo limite enunciato innanzi è costituito dall’art. 27 della UNCLOS, secondo il quale lo Stato costiero non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione penale su fatti puramente interni ad una nave straniera che transita nel mare territoriale.
Per stabilire, quindi, se sussiste la giurisdizione penale dello Stato costiero sulle navi straniere, in forza della richiamata disposizione internazionale, diventa doveroso distinguere tra “fatti interni” e “fatti esterni”. In assenza di una definizione normativa di fatti interni e di fatti esterni è necessario ricorrere ai diversi orientamenti giurisprudenziali.
Peraltro, la giurisdizione penale dello Stato costiero è per legge riconosciuta nelle seguenti ipotesi:
a) quando le conseguenze del reato consumatosi a bordo delle navi straniere si estendono allo Stato costiero;
b) quando il reato è tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale;
c) quando l’intervento delle Autorità locali sia richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico dello Stato di bandiera della stessa;
d) se simile intervento è necessario per la repressione del traffico illecito di stupefacenti.