Gaio nelle sue Institutiones, scritte intorno al 161 d.C., indicò come fonti dell’obbligazione il contractus e il delictum.
Se il diritto primitivo fu l’era del delitto, il diritto classico fu l’era del contratto.
Il contrahere (il cui contrario era distrahere) designava la costituzione di qualsiasi vincolo anche non patrimoniale (c. nuptias, sponsalia) e il corrispondente participio sostantivato significava ogni atto lecito produttivo di obbligazione o, per estensione, obbligazioni derivanti da atto lecito .
Labeone , un giurista operante più di cinquant’anni prima di Gaio, dava al termine un significato ristretto e specifico, spiegando che ai contracta corrispondevano soltanto quei rapporti bilaterali che i Greci chiamavano synallagma , per noi moderni contratti a prestazioni corrispettive, tali erano la locazione, la compravendita, la società.
L’articolo 1321 cod. civ. individua l’elemento base del contratto nell’accordo tra le parti, invece in diritto romano il consenso (conventio o pactio) era requisito essenziale soltanto nei contratti consensuali, negli altri l’elemento essenziale e prevalente ai fini della nascita del rapporto era la forma, la pronuncia di parole o la consegna.
Proprio sulla base dei diversi “fattori” le obligationes contractae furono distinte in quattro categorie:
I. le obligationes quae consensu contrahintur (c.d. contratti consensuali) : erano quelle fondate sul mero consenso e derivanti da compravendita, locazione, società e mandato;
II. le obligationes quae litteris contrahintur (c.d. contratti letterari) : erano quelle costituitesi mediante documentazione scritta, ne era tipico esempio la expensilatio;
III. le obligationes quae verbis contrahintur (c.d. contratti verbali) : erano quelle che sorgevano dalla pronuncia di frasi solenni. Il negozio verbale più importante era la stipulatio, nata come forma di garanzia, derivava dalla sponsio, e seguiva lo schema di domanda e risposta (“spondes?”, “spondeo”) tra il futuro creditore e il futuro debitore.
IV. le obligationes quae re contrahintur (c.d. contratti reali) : per Gaio erano quelle che nascevano dall’avvenuta traslazione della proprietà di una cosa o di una quantità di res da un soggetto ad un altro, cui incombeva l’obbligo di restituirla o di restituire altrettanto.
I Romani non conoscevano il termine ‘contractus realis’, adoperavano, invece, l’espressione ‘obligatio re contracta’ e altre simili.
Era facile capire, riferendoci alle altre categorie di obligationes contractae, che ciascuna veniva in essere rispettivamente quando si parlava o si scriveva o si consentiva, piuttosto arduo era invece rendere con un concetto altrettanto sintetico e preciso l’obligatio re.
Le res, alla stregua dei verba, delle litterae e del consensus, dovevano indicare i fatti che davano origine a quella situazione per cui si era prigionieri, legati, debitori. Il fatto causativo del contratto reale era un atto materiale: la datio rei.
“Obligari re” , che si traduce letteralmente “essere legati dalla cosa”, significava “essere obbligati dalla, a causa della, colla dazione”, “dal fatto di essere diventati proprietari di cose provenienti da altri, dal fatto che una cosa appartenente ad un altro perveniva nel proprio patrimonio” .
Presupposto del contratto era l’esistenza di una situazione oggettiva tra le parti che non giustificasse la retenzione della cosa da parte dell’accipiens e ne determinasse l’esigenza della restituzione al dans.
Stando così i fatti, non è errato affermare che l’obligatio re era un’“obbligazione di restituzione” . La restituzione rappresentava ciò a cui il rapporto era diretto, meglio ciò che determinava la morte dell’obbligazione.