Per quel che attiene al nostro Paese, talune statistiche riferiscono di una percentuale modesta, pari al 4,2 per cento del totale dei lavoratori dipendenti in Italia, circa 750.000 vittime. In realtà il dato che emerge, appare assai lontano dal vero, in quanto ancora oggi le violenze morali in ambito lavorativo, risultano particolarmente difficili da quantificare: sia perché lo studio del fenomeno giunge con notevole ritardo, rispetto alle altre nazioni, sia perché le stesse vittime rifiutano di considerarsi tali, per timore di ulteriori ritorsioni, o per altri motivi.
Una ricerca effettuata dall’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), avrebbe accertato l’esistenza di circa 1.500.000 lavoratori, vittime del mobbing nel giugno 2000.
Se si tiene conto, tuttavia, del fatto che oltre al lavoratore interessato, anche i familiari sono pienamente coinvolti dalle ritorsioni – sia di ordine pratico che psicologico – causate dal fenomeno sopra descritto, non è difficile pervenire ad un numero globale di circa 4.000.000 di soggetti perseguiti in via diretta o indirettamente.
Sempre l’ISPESL riferisce che il 71 per cento delle denunce riguarderebbe i dipendenti del pubblico impiego. Nel 62 per cento dei casi, si tratterebbe di persone con più di cinquanta anni; 1’81 per cento sarebbe, poi, composto da quadri e impiegati. Da un’altra analisi risulterebbe che a esercitare il mobbing sarebbero per il 57,3 per cento i superiori e per il 30,3 per cento i colleghi. Lo stesso mondo politico risulta influenzato dal mobbing visto che già negli anni Settanta a un deputato venne riconosciuta una indennità per effetto del mobbing, seguita da una pensione di invalidità. In proposito, si è inteso configurare all’articolo 7 la pratica del mobbing anche nel contesto della vita dei partiti politici e delle associazioni in genere, così come regolate dall’articolo 36 del codice civile.
(Fonte: Relazione Parlamentare ddl 434)