Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza 15 dicembre 2010 n. 25304, affermano che in caso di opposizione a verbale, il giudicante, in base al proprio libero convincimento, possa determinare la sanzione, in misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale.
Il richiamo al libero convincimento del giudice nella determinazione della sanzione, comporta che, rigettata l’opposizione e in assenza di una predeterminazione normativa, questi possa anche d’ufficio applicare la sanzione ritenuta congrua, ovviamente tra il minimo ed il massimo edittale.
In caso di opposizione a verbale, il giudice può applicare, anche d’ufficio, una sanzione superiore a quella prevista in caso di mancato ricorso, sempre secondo il suo libero convincimento, e, ovviamente, nei limiti edittali, in quanto non si spiegherebbe, in caso contrario, il motivo per cui il libero convincimento potrebbe attuarsi solo in bonam partem.
Emiliana Matrone
Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 15 dicembre 2010, n. 25304
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L.A. proponeva opposizione, di fronte al Giudice di pace di Civitanova Marche, avverso verbale di accertamento elevato nei suoi confronti dalla Polstrada di Macerata per violazione amministrativa susseguente ad infrazione all’art. 142 c.d.s., comma 9; l’adito Giudice con sentenza in data 19 dicembre 2005-9 gennaio 2006, rigettava l’opposizione e rideterminava d’ufficio la misura della sanzione amministrativa da irrogare in 1.300,00 Euro ed applicava all’opponente la sospensione della patente di guida per tre mesi, regolando le spese.
Avverso tale sentenza, il L. proponeva ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui resisteva il Prefetto di Macerata.
La seconda Sezione civile di questa Corte, con ordinanza in data 20 aprile 2010, ritenuta, ai soli fini della rilevanza, l’infondatezza dei primi quattro motivi del ricorso e della prima parte del quinto, rimetteva gli atti al Primo Presidente perché investisse le Sezioni unite dell’esame della questione di massima, ritenuta di particolare importanza, di cui alla seconda parte del quinto motivo in ordine al se il giudice dell’opposizione a verbale di accertamento, avuto riguardo all’art. 204-bis c.d.s. del 1992, commi 5, 6 e 7, abbia il potere di determinare, anche in assenza di una richiesta in tal senso della P.A. opposta, l’importo della sanzione pecuniaria da infliggersi al trasgressore (o al responsabile in solido) in misura superiore a quella indicata nel verbale impugnato.
Nell’imminenza della trattazione del presente ricorso, il Prefetto di Macerata ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 132 c.d.s., comma 2, n. 4, si lamenta che il giudicante, nella narrativa dello svolgimento del processo, avrebbe attribuito al Prefetto argomenti difensivi mai sollevati, decidendo poi la controversia sulla base di dette inesistenti difese; detta doglianza è infondata, atteso che tale mero errore, non costituisce di per sé motivo di nullità della sentenza, atteso che tanto non ha inciso in concreto sull’attività del giudice, impedendo che la decisione si fondasse, violando il principio del contraddittorio, sulle reali conclusioni delle parti; cosa che, nella specie, non è avvenuta.
2) Il secondo mezzo, con cui si lamenta che nella specie sia stata inviata al trasgressore solo una fotocopia informe del verbale, non ha del pari pregio, atteso che la sentenza impugnata da atto che il verbale notificato reca, in modo assolutamente visibile, il timbro a stampa del verbalizzante, la sottoscrizione dello stesso ed il timbro dell’ufficio procedente e che è stato consolidatamente ritenuto (v. Cass. 12 ottobre 2006, n. 21918; 21 agosto 2007, n. 17735) che, in subiecta materia, nel caso di non immediata contestazione dell’infrazione, il modulo prestampato notificato al trasgressore, pur recante unicamente l’intestazione del comando cui appartiene il verbalizzante, è parificato per legge al secondo originale ed alla copia autenticata del verbale ed è, allo stesso modo, assistito da fede privilegiata.
3) Con il terzo motivo, si censura che il giudicante non abbia ritenuta la nullità del verbale malgrado l’inadeguatezza della contestazione, siccome non recante i limiti massimi di velocità consentiti nella strada in questione, ma il rilievo appare del tutto infondato, atteso che tale specificazione, alla luce della sufficienza del verbale, contenente la sommaria esposizione del fatto, con l’indicazione de superamento del limite di velocità prescritto e della velocità in concreto tenuta dal conducente e della norma violata, risulta non necessaria, in ragione del sostanziale rispetto della prescrizione dell’art. 383 reg. esec. c.d.s., e pertanto non necessitante della ulteriore indicazione del limite di velocità consentito.
4) Il quarto motivo è del pari infondato; la disposizione che in esso si assume violata (d.l. n. 117 del 2007, art. 3, convertito con modificazioni nella l. 2 ottobre 2007, n. 117) è infatti entrata in vigore successivamente al 4 marzo 2005, data in cui è stata rilevata l’infrazione commessa, cosa questa che comporta come all’epoca, fosse in vigore unicamente il d.l. n. 121 del 2002, art. 4, in forza del quale, l’obbligo di previa segnalazione della esistenza di controllo effettuato con apparecchi installati sulla sede stradale sussisteva soltanto per gli apparecchi remoti, senza la presenza diretta dell’operatore di polizia, ipotesi questa che, come non è contestato, non ricorreva nella specie.
5) Con il quinto mezzo si lamenta in primis che non incombeva all’opponente dimostrare l’attendibilità dell’autovelox; tale tesi risulta priva di pregio, atteso che in materia di violazione delle norme sul codice della strada relative ai limiti di velocità la efficacia dello strumento rilevatore di tali limiti opera fino a quando sia accertato, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente (e debitamente provate) il difetto di costruzione, installazione o funzionamento del dispositivo elettronico (Cass. 16 maggio 2001, n. 212).
6) Con lo stesso mezzo si lamenta poi che sia stata applicata la pena accessoria della sospensione della patente di guida al proprietario del mezzo, pur trattandosi di sanzione schiettamente personale.
Prescindendo dalle considerazioni svolte al riguardo nell’ordinanza che ha rimesso gli atti a queste Sezioni unite, devesi rilevare che la sentenza impugnata, sin dalla pag. 1, identifica l’odierno ricorrente come “conducente-proprietario” per poi proseguire (pag. 3), con l’affermare che il ricorrente non aveva negato il fatto storico di aver guidato l’automezzo nella circostanza di cui al verbale, e ancora (pag. 6) con il rilevare che il L. aveva eccepito che egli viaggiava a velocità consentita e che occorreva prendere atto che il L. stesso aveva dichiarato che nella circostanza egli era il conducente del veicolo in questione.
Emerge con assoluta evidenza dalla lettura della sentenza che il giudicante ha applicato la sanzione accessoria de qua al L. nella ritenuta certezza che egli fosse, oltre che il proprietario, anche il conducente del mezzo. Questa Corte, rilevato che nulla aveva dedotto il ricorrente sul punto, non può procedere all’esame diretto degli atti e deve pertanto limitarsi a constatare la conclusione cui è pervenuto sul punto il giudicante. La censura in questa sede svolta investe un accertamento contenuto in sentenza su di un elemento di fatto e pertanto lamenta certamente un errore revocatorio, che non può dunque essere dedotto con il ricorso ordinario per cassazione e deve essere dichiarata inammissibile.
7) Viene ora in esame l’ultima parte del quinto motivo di ricorso, con cui si deduce, prospettandosi la violazione della l. n. 689 del 1981, art. 23, e art. 113 c.p.c., che sarebbe precluso al giudice dell’opposizione a verbale che la rigetti, la possibilità di determinare la sanzione amministrativa pecuniaria in misura superiore a quella stabilita nel verbale stesso in caso di mancato ricorso amministrativo (e ciò anche in mancanza di una richiesta in tal senso da parte della P.A. opposta).
8) Premesso che, nei termini suesposti, la questione è nuova, devesi rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, anche in caso di reiezione dell’opposizione relativamente alla legittimità del provvedimento impugnato, il giudice fosse legittimato a determinare, in senso migliorativo per l’opponente, la misura della sanzione, recependo le considerazioni svolte al riguardo dall’interessato, anche nell’ipotesi in cui la P.A. sia tenuta per legge, a determinare la sanzione con un limite non inferiore ad una data soglia (v. Cass. 17 novembre 1999, n. 12747; 20 maggio 2000, n 5070).
9) Si è anche ritenuto (cfr. Cass. 10 dicembre 2003, n. 18811) che il giudice investito della congruità della sanzione, non è propriamente chiamato a controllare la motivazione dell’atto sul punto, ma a determinare la sanzione stessa applicando direttamente i criteri di cui alla l. n. 689 del 1981, art. 11, ma pur sempre in accoglimento della corrispondente domanda dell’opponente (v. Cass. 11 novembre 2004, n. 21486).
Il complesso dei principi ricavabile dal ricordato excursus giurisprudenziale, non può però trasferirsi puramente e semplicemente all’ipotesi di opposizione a verbale; infatti, nello stesso non è determinata alcuna sanzione, ma è ricordato piuttosto un meccanismo di determinazione ex lege nel caso che il trasgressore opti per l’oblazione e nel caso in cui lo stesso non proponga ricorso nei termini (e non provveda al pagamento in misura ridotta).
Il giudice quindi in caso di mancata effettuazione del ricorso, può decidere l’entità della sanzione in tutto il suo intervallo edittale disponendo dei criteri di cui all’art. 195 c.d.s., comma 2; egli quindi determina, applica ed infligge la sanzione amministrativa pecuniaria.
È anche opportuno rilevare che questa stessa Corte, allorché ha respinto ricorsi avverso l’opposizione a verbale, non si è mai avvalsa, pur non avendovi provveduto il giudicante, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., del potere di determinazione della sanzione né ha mai rimesso gli atti a tal fine all’Autorità amministrativa.
Escluso che tanto possa essere ascritto alla ritenuta incostituzionalità della norma che, per la proposizione dell’opposizione, prevedeva il versamento di previa cauzione (Corte cost., n 114 del 2004) atteso che il collegamento tra il potere del giudice di fissare l’entità della sanzione era collegato alla previsione della cauzione solo per profili procedimentali di dettaglio, deve concludersi nel senso che la citata l. n. 689 del 1981, art. 23, commi 5 e 6, costituiscono la base normativa del potere del giudice di quantificare una sanzione pecuniaria anche in misura superiore alla terza parte del massimo della sanzione pecuniaria, ovvero, se più favorevole, al doppio del minimo (massimo previsto in caso di mancata proposizione del ricorso), atteso che è espressamente richiamato dalla legge (v. art. citato, comma 7) il libero convincimento del giudice stesso, cosa che risulterebbe priva di significato ove dovesse ritenersi sussistente un appiattimento sul minimo edittale.
Una sia pure indiretta conferma di tale tesi può trarsi dall’ordinanza n. 23 del 2009 della Corte costituzionale, ove si sottolinea “il ruolo non marginale rivestito – ai fini della coerenza complessiva e della funzionalità del sistema di accertamento e repressione della infrazioni stradali” dalla possibilità spettante al giudice di pace di determinare, anche in misura pari al minimo edittale, l’entità della sanzione pecuniaria irrogabile in caso di rigetto del ricorso.
La Corte con tale affermazione ha con ogni evidenza ritenuta la possibilità, per il giudicante, in base al di lui libero convincimento, di determinare l’entità della sanzione pecuniaria in una misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale, in quanto non si spiegherebbe, in caso contrario, il motivo per cui il libero convincimento potrebbe attuarsi solo in bonam partem.
Deve quindi concludersi nel senso che in caso di opposizione a verbale, il giudicante, in base al proprio libero convincimento, possa determinare la sanzione in misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale.
Altra questione, pure proposta all’esame di queste Sezioni unite, è quella connessa alla necessità o meno di una richiesta, da parte della P.A., di applicazione della sanzione in misura superiore a quella prevista in caso di mancato ricorso; il problema, che investe la tematica relativa al principio dispositivo che caratterizza il procedimento civile, non può che trovare soluzione nell’atteggiarsi del sistema derivante dall’applicazione della l. n. 689 del 1981, al riguardo; la necessità di una espressa domanda relativa alla misura della sanzione da parte della P.A. pur se correlata alla ricordata giurisprudenza secondo cui il giudice può ridurre la sanzione risultante dalla legge solo in caso di richiesta dell’opponente, non può essere considerato coerente con la diversa posizione delle parti nel procedimento di opposizione; se infatti l’opponente deve affidare a motivi specifici (e pertanto anche relativamente alla misura della sanzione) le sue doglianze, l’Amministrazione può limitarsi a ribadire la legittimità del suo operato.
Atteso che il richiamo al libero convincimento del giudice nella determinazione della sanzione, comporta che, rigettata l’opposizione e in assenza di una predeterminazione normativa, questi possa anche d’ufficio applicare la sanzione ritenuta congrua, ovviamente tra il minimo ed il massimo edittale, deve quindi affermarsi che in caso di opposizione a verbale, il giudice può applicare, anche d’ufficio, una sanzione superiore a quella prevista in caso di mancato ricorso, sempre secondo il suo libero convincimento, e, ovviamente, nei limiti edittali.
Il ricorso deve essere pertanto respinto; attesa la novità delle questioni trattate, sussistono valide ragioni per compensare le spese relative al presente procedimento per cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.